Antefatto
Scriveva il 26 novembre 2023 Ahmad Thougan Hindawi sul Jordan Times:«(Benjamin Netanyahu, ndr.), i vostri obiettivi economici sono altrettanto chiari: la creazione del canale Ben Gurion che collega il porto di Ashdod a Eilat, pronto a fungere da sostituto del canale di Suez (…) Inoltre, il vostro obiettivo si estende al controllo delle vaste riserve di gas naturale di Gaza all’interno del giacimento Gaza Marine, situato di fronte alla Striscia e che ospita più di 30 miliardi di metri cubi di gas naturale».
Queste affermazioni, rilanciate dalla stampa internazionale (in Italia in un articolo pubblicato sul Fatto Quotidiano) sono state bollate da molti commentatori israeliani come «illazioni» ma in base a diversi documenti ufficiali appaiono piuttosto fondate.
Il canale di Suez
Progettato a metà del 1800 dall’ingegnere italiano Luigi Negrelli, fu completato nel 1869 da una compagnia francese ed ebbe un ruolo importante nella colonizzazione e spartizione dell’Africa e delle Indie tra le potenze europee.
Nell’ottobre 1956 Israele, Francia e Regno Unito occuparono militarmente il canale (crisi di Suez). USA e URSS imposero a israeliani, francesi e britannici il ritiro, attuato nel marzo del 1957 e mantenuto attraverso la creazione della prima missione di peacekeeping dei caschi blu (UNEF).
Nel giugno 1967, con un attacco a sorpresa, le forze israeliane in sei giorni occuparono Gerusalemme, il Golan, la Cisgiordania, il Sinai e Gaza, allora territorio egiziano. L’operazione si estese fino alla sponda orientale del canale di Suez; ne risultò un blocco della navigazione da parte dell’Egitto durato fino al 1975.
Dall’agosto del 2015 il canale di Suez dispone di un secondo braccio di navigazione che consente il passaggio contemporaneo delle navi in direzioni opposte, aumenta il flusso da 49 a 97 navi al giorno e ha aumentato i ricavi a quasi 10 miliardi di dollari all’anno.
Le rotte alternative al Canale di Suez sono la circumnavigazione dell’Africa, il canale di Panama e, a causa della crisi climatica, la sempre più praticabile rotta artica che, dalla Cina all’Europa, permette di risparmiare migliaia di chilometri.
Il canale Ben-Gurion
Negli anni ’60, successivamente alla crisi di Suez, gli Stati Uniti presero in considerazione lo scavo di un canale alternativo attraverso il deserto del Negev, a Sud di Israele: un report del Dipartimento per l’Energia del 1963, declassificato nel 1996, prevedeva il collegamento del golfo di Aqaba con il mar Mediterraneo attraverso un canale di 160 miglia scavato con 520 esplosioni nucleari sotterranee. Il piano è ancora disponibile sul sito tecnico del dipartimento stesso.
Tuttavia, secondo un documento dell’Arava Institute for Environmental Studies israeliano, i primi a proporre un canale dal Mediterraneo al Mar Morto furono i britannici attorno al 1850. Essi sapevano che sarebbe stato relativamente semplice collegare successivamente il Mar Morto al Mar Rosso attraverso la valle Arava, nella quale un tempo scorreva il fiume Giordano. L’idea venne ripresa da Ben-Gurion nel 1935 e da Chaim Weizmann nel 1947.
L’idea di costruire un canale israeliano tra il mar Rosso e il mar Mediterraneo riappare in un articolo pubblicato a marzo del 2015 sul Jerusalem Post. In esso l’autore supporta l’idea originale aggiungendo ai benefici economici una serie di fattori positivi tra cui la possibilità di riempire nuovamente il mar Morto e, soprattutto, utilizzare l’acqua desalinizzata per avviare coltivazioni e nuovi insediamenti nella parte più secca e inutilizzata del territorio israeliano, il deserto del Negev.
Gli altri progetti
Ferrovia. In un articolo pubblicato su Haaretz a gennaio 2023 viene illustrato il progetto di collegamento ferroviario «Med-Red» tra Eilat e Beersheba. Promosso da Netanyahu vent’anni or sono è stato cancellato da Olmert poiché economicamente non sostenibile. Tuttavia, in seguito a un accordo tra Israele e Cina del 2012, la costruzione è ripresa per fermarsi nuovamente nel 2021 per mancanza di fondi.
Secondo il progetto originale, il collegamento ad alta velocità (fino a 300 km/h) permetterebbe di trasportare merci e passeggeri tra Qiryat Shemona ed Eilat attraverso Tel Aviv e la valle Arava. Il percorso include 60 ponti e 6 tunnel in parte situati «nel cuore di una delle aree escursionistiche più belle e amate del paese».
Alcuni tra gli enti intervistati, tra cui la Società per la Protezione della Natura e l’Autorità della Natura e dei Parchi, specificano che il progetto dal punto di vista della conservazione ambientale sarebbe devastante. Di parere opposto il sindaco di Eilat:«Credo che, grazie alla posizione geografica di Eilat e al fatto che qui abbiamo due porti, uno marittimo e uno aereo, insieme agli accordi di Abramo sullo sfondo, la ferrovia fungerà da ponte terrestre verso il mondo arabo, il che ovviamente la renderà una preziosa risorsa nazionale».
Secondo un esperto dell’Istituto israeliano per gli Studi sulla Sicurezza nazionale però la linea ferroviaria non è economicamente fattibile, inoltre:«Se si considera la quantità di merci che potrebbero essere spostate su una linea ferroviaria tra Eilat e Ashkelon si scopre che la ferrovia sarebbe in grado di gestire al massimo poche centinaia di container, non i 20 mila di una gigantesca nave cargo».
Energia elettrica. Il documento dell’Arava Institute citato precedentemente analizza una serie di condotte idroelettriche tra il mar Mediterraneo e il mar Morto. L’opzione più meridionale, passante attraverso la striscia di Gaza, viene valutata positivamente per diversi motivi: il minore inquinamento delle acque dovuto alla lontananza da Ashdod, il minore impatto sulle falde acquifere e l’assenza di problematiche politiche dovute al passaggio attraverso i territori occupati della Cisgiordania, ma lo stesso documento precisa che «Israele non metterebbe una risorsa importante come una condotta idrica sotto il controllo di Hamas».
Gas. Il giacimento offshore Gaza Marine, scoperto a 36 km dalla striscia di Gaza grazie a una licenza esplorativa concessa dall’Autorità Palestinese alla British Gas nel 1999, è soggetto a notevoli problematiche di tipo territoriale. Gli accordi di Oslo (1993-95) pongono parte del giacimento entro il limite di 37 km entro il quale i palestinesi hanno competenza sulle risorse marine, tuttavia il rigido blocco navale imposto dal Governo israeliano ne impedisce di fatto lo sfruttamento.
Conclusioni
Un documento del ministero dell’Intelligence israeliano considerato autentico e pubblicato dal quotidiano israeliano indipendente Local Talk, raccomanda il trasferimento forzato di tutti gli abitanti della striscia di Gaza in Egitto. Il documento, datato 13 ottobre 2023, auspica il trasferimento dei palestinesi in tendopoli e, successivamente la creazione nel nord del Sinai di nuove città per i profughi.
A questo bisogna aggiungere dichiarazioni sempre più esplicite riguardo l’intenzione di trasferire forzatamente gli abitanti di Gaza fuori dal loro territorio: crescono infatti i politici israeliani che chiedono il ripristino degli insediamenti a Gaza e, in un articolo pubblicato sul Jerusalem Post il 25 dicembre 2023, un geografo israeliano definisce la penisola egiziana del Sinai:«un luogo ideale per sviluppare un ampio reinsediamento per la popolazione di Gaza».
Al di là delle questioni geografiche, il fatto è che gli esponenti politici stanno cercando di trasformare quello che è un crimine di guerra in un imperativo categorico: già il 17 novembre il quotidiano Hareetz pubblica un lungo articolo dal titolo:«La destra israeliana sta cercando di riformulare il trasferimento della popolazione di Gaza come un atto morale».
Il 13 novembre i deputati della Knesset Danny Danon — ex ambasciatore presso le Nazioni Unite — e Ram Ben Barak — ex vicedirettore del Mossad —, scrivono sul WSJ un editoriale dal titolo:«Il mondo dovrebbe accogliere i rifugiati di Gaza».
Il 19 novembre Gila Gamliel — ministro dell’Intelligence israeliano — pubblica sul Jerusalem Post un editoriale simile che invita i paesi occidentali ad accogliere i residenti della Striscia di Gaza in un atto di «reinsediamento volontario».
L’ultranazionalista Bezalel Smotrich — ministro delle Finanze israeliano — ha recentemente dichiarato:«Se ci fossero cento o duecentomila arabi a Gaza e non due milioni l’intera discussione su cosa avverrà dopo la guerra sarebbe totalmente differente», suggerendo che almeno 9 palestinesi su 10 debbano essere espulsi, mentre secondo Itamar Ben Gvir — ministro della Sicurezza nazionale — il trasferimento dei gazawi è una «scelta corretta, giusta, morale ed umana».
I piani del governo più nazionalista della storia di Israele sono custoditi nella sua ideologia etnocratica e revisionista ma l’occupazione della Striscia di Gaza e l’espulsione dei suoi abitanti non potrà che peggiorare i già difficili rapporti con i Paesi confinanti, con la Turchia, con l’Iran e con la Cisgiordania, riducendo dunque la sicurezza di Israele.
L’espulsione dei gazawi non avrebbe dunque motivi di salvaguardia ma piuttosto di espansione e sfruttamento esclusivo dei territori palestinesi e delle loro risorse e il traguardo successivo, geograficamente naturale, potrebbe consistere nel controllo completo della Cisgiordania.