Tra pochi giorni (27 gennaio) il calendario segna la data decisa dall’ONU con risoluzione 60/7 nel 2005 come “Giorno della Memoria”: la data corrisponde a quella in cui nel 1945 l’Armata Rossa (Unione Sovietica) liberò il campo di concentramento di Auschwitz. Chiaramente si fa riferimento alla memoria dell’Olocausto, che per la maggior parte della gente significa lo sterminio di una moltitudine di persone di religione/discendenza ebraica (che furono la maggioranza insieme a diverse altre “categorie”, come per esempio i “meno considerati” popoli rom).
In questo breve articolo, in maniera sintetica e mi scuso in anticipo se risulterà troppo “concentrata”, cercherò di spiegare perché secondo me la pretesa di “fissare” nella memoria collettiva (evocando la “Memoria” maiuscola come se la memoria umana cominciasse e finisse quel giorno) degli eventi storici nefasti con lo scopo dichiarato che tali eventi non si abbiano più a ripetere, in un contesto di poca consapevolezza sul come e perché “le cose accadano”, di una concezione di storia lineare e oggettivante e la considerazione della coscienza umana come “contenitore passivo”, essa risulta quanto meno ingenua e sicuramente fuorviante.
Anticipatamente, a mo di trailer, vi illustro alcune conseguenze di questa tendenza: oggi nel 2024, alla vigilia di questa “data speciale”, i rappresentanti di uno Stato generato nel dopoguerra da persone di discendenza ebraica stanno attuando uno sterminio di un altro popolo, ma accusarli di ciò, per la “memoria da calendario”, risulta un atto di “antisemitismo” e quindi di incitamento a quei sentimenti che portarono all’Olocausto, mentre non comporta nessun problema se attacchi i Russi, eredi in parte di quella Armata Rossa che liberò il campo di Auschwitz , anzi si rischia l’encomio, mentre chi provocò un altro Olocausto in quel periodo, lanciando due bombe nucleari in Giappone, è tutt’ora dipinto da molti come il difensore della democrazia e della libertà (mentre ora spalleggia l’eccidio in Palestina e tante altre delicatezze del genere).
Come funziona dunque questa “Memoria”? Perché anche le oneste persone in buona fede che credono e spingono affinché quei periodi non vengano dimenticati e si adoperano per preservarne il ricordo rimangono increduli di fronte all’aumento delle barbarie, anche da parte degli eredi di chi tra gli altri le subì in prima persona? Perché coloro che, in alcune situazioni passate e presenti, ha osato paragonare alcune procedure discriminatorie, umilianti e coercitive da parte delle istituzioni nazionali e sovranazionali come podromi di quel sentimento che ha portato a cose terribili nel passato, è stato zittito e dileggiato? Perché queste ricorrenze non producono la sensibilizzazione sperata e perché alcuni “segni” di quello che successe si ripropone, talvolta mascherato, talvolta con attori differenti? perché le vittime a volte diventano carnefici?
Come nel concentrato per fare il brodo, butto dentro alcune considerazioni per dare consistenza all’articolo:
1) ci si concentra sui “fatti nel calendario” senza sapere perché “le cose accadano”.
I dati storici messi uno dietro l’altro come semplice “cronaca” finiscono per svuotare il fatto storico, che include lo sguardo dello stesso storico che lo osserva, di ogni significato, e ancor di più “svuotata” se si tratta di storia “mediata” da chi non ha vissuto il fatto. Si prendono in considerazione gli accadimenti e non il “senso” dell’accadere, ovvero si prova ad analizzarne i fattori scatenanti e i retroscena con semplici ragionamenti di “causa ed effetto”, non si tenta uno sguardo completo e “compartecipante” che include credenze epocali, intenzioni in campo, diverse temporalità in dinamica date dalle diverse generazioni che si “incontrano” in un determinato momento storico, ognuna con il proprio “sguardo” e il proprio progetto.
Tutto ciò in un tempo che ingenuamente si fa corrisponedere a quello lineare del calendario o dell’orologio, ma che soprattutto è un “tempo di coscienza”, è un tempo “storico” nelle coscienze individuali e collettive. Una storia priva di una vera e propria dimensione temporale. Chiaro che allora gli avvenimenti recenti ci colgono stupefatti, quando ci sfugge il come e il perché un momento “x” si trasformi nel momento “y”, irretiti da una sorta di percezione sequenziale ingenua che è quella dello storico classico.
2) il tempo ridotto ad un “dietro”, “ora” ed “avanti” scollegati e in sequenza, in una spazialità “da orologio”.
Questo tipo di spazializzazione del tempo, con un “ora” sempre presente che da “ambo i lati” presenta infiniti istanti passati e futuri, è il tempo che serve all’uomo per occultare, per allontanare da sé la percezione della propria finitudine. E’ un tempo quindi dell’eterno presente che allontana da sé passato e futuro, cristallizzando la propria esperienza, non avendo così veramente comprensione del “tempo della coscienza” che è una struttura continua di ritenzioni dal passato e di futurizzazioni. In questa situazione è alquanto arduo capire come qualcosa del passato “viva in me”, viva nella “mia memoria”; non posso recuperarne il significato “vivo in me” se la mia coscienza fugge questa realtà temporale “interiore”, si “scollega” dall’esperienza e si conforma a delle “date di calendario”, a dei ricordi “vissuti” da altri che dovrebbero permanere nella memoria a mo di cianfrusaglie messe lì dentro un baule. Un forziere che mi fanno aprire ogni tanto per “ricordarmi di qualcosa” che qualcuno ha messo lì affinché io la ricordi, mentre nel fattempo “le cose che ho da fare”, istante per istante, cose che stanno lì per eludere la sensazione della finitudine, mi portano da tutt’altra parte. Ingenuità che coinvolge quindi anche chi sente l’urgenza di trasmettere dati di “memorie passate”, ingenuità che si fonda nella credenza della passività dell’essere umano nella costruzione del tempo storico, per cui io devo riempire queste coscienze di ricordi che un giorno serviranno per non ripetere gli errori del “passato”, un passato che è già in quella concezione un “mai più”, un “non ora”.
La coscientizzazione esperienziale, personale e sociale che il tempo è un tempo della coscienza umana in cui gli istanti passati, presenti e futuri agiscono in modo strutturale e dove memoria e conoscenza risultano determinanti quanto i progetti che si tenta di rendere operanti attraverso azioni nel presente, viene occultata. L’essenza intenzionale, storico-sociale, della Storia Umana ci sfugge, la stessa viene considerata un “riflesso” di quella naturale. In questo modo l’accadere non ha un vero senso se non nell’urgenza del “per me-ora”, per cui è un controsenso, in questo tipo di concezione”, parlare di “preservare la memoria”, in quanto privo di senso se non per quell’istante del “per me-ora”.
3) Se l’evoluzione è naturale, non è umana, e dunque non è storica: questa è la contraddizione che fa si che non possiamo “imparare dal passato”. Visitati molto velocemente e condensati i temi di “storia” e “temporalità”, andiamo al tema della “naturalizzazione” dell’esperienza umana, in un panorama culturale dominato ancora dalla concezione darwiniana della sopravvivenza del più adatto sempre come riflesso alle condizioni naturali. Non dirò molto su questo, perché credo che in differenti campi dell’agire umano possa risultare abbastanza palese, sopratutto per chi sta sviluppando (e non sono pochi), una nuova “sensibilità”, che questa ideologia che non vuole esserlo, ma solo “spiegare” ciò che è “naturale” (come “naturali” sostengono essere le “leggi di mercato” e “naturali” stanno diventando i dogmi di quella che viene attualmente chiamata “scienza”), stia diventando un cappio al collo per il genere umano, giustificando l’assurdo di una competizione verso il nulla della specie “vincente”, che di volta in volta cambia i connotati ma che fondamentalmente è quella del, momento-per-momento, più forte militarmente ed economicamente.
Non mi dilungherò molto perché mi sembra palese che nel “solco” di questa direzione distorta risulti un controsenso, o meglio un banditismo “spirituale”, oltrechè semantico, quello di stilare una “linea morale” che, proveniente dal passato proceda, istante-per-istante, risultando sempre quella del “più forte” la posizione più giusta nella Storia, quella che va dunque giustificata con funambolici giri mentali a livello morale e storico, “girando la frittata” sulla padella ogni volta che serve a cucinare il piatto che interessa a chi ha il potere in quel momento, contando con un esercito di prezzolati (o ricattati) “giullari di corte”.
Orbene, seguendo questi tre punti in struttura tra di loro ho voluto intendere che questa “ricorrenza da calendario” non risulterà utile a prevenire altri disastri, se questa era l’intenzione, ma più facilemente risulterà (e questo sospetto sia stato l’intento più o meno intenzionale della sua promulgazione) una operazione di “pulizia della coscienza” e di parafulmine contro chi di volta in volta solleverà delle tematiche contro la violenza e la discriminazione di quello Stato o di quell’entità istituzionale o finanziaria, perché non si potrà mai far paragoni con “quell’evento”, segnato con tutti gli onori nel calendario, che rimane bello là, “chiuso nel passato” mentre i “vincenti” hanno sempre ragione, perché si vuole far risalire in modo menzognero il loro “trionfo” da quella famosa “linea morale” che la ricorrenza stabilita dall’ONU sembra sancire.
Concludo con lo scusarmi per l’approssimazione di concetti che andrebbero sviluppati più ampliamente e con precisare che io credo che comunque la coscienza sia attiva, che la sua temporalità permetta all’essere umano di fare tesoro del passato per migliorare nel futuro e che la sua identità storico-sociale sia guidata da un Proposito, che le permetterà, magari procedendo in modo “irregolare”, di trovare l’uscita da questo momento di crisi e di apparente “arretramento del senso”. Ma, proprio per questo, bisogna andare oltre gli schemi di questa società morente e delle sue “etichette” da calendario e si, magari istituire non un giorno, ma dedicare una intera stagione al tema della Riconciliazione Profonda, al rinnovamento della coscienza, una coscienza di ciò che è stato mentre sperimento ciò che vivo e ciò che mi prospetto nel futuro e lo assumo come esperienza viva.
Perché nonostante i buoni propositi personali e sociali sembra che “la vita” mi/ci trascini verso la contraddizione? Perché la coscienza personale e sociale risulta ora “paralizzata” da un passato che non vogliamo veramente affrontare e da un futuro informato da una “coscienza catastrofica”. La coscienza deve essere liberata e continuare a fluire verso un futuro di senso. Una Riconciliazione non tanto con ciò che successe più di 80 anni fa, operazione che purtroppo non andò in porto nell’epoca in cui il vissuto era comune a gran parte delle generazioni presenti, ma con noi stessi come comunità umana, come prossimo, come essere in processo, per ritrovare la direzione. Che si possa proclamare che nessuno è colpevole di ciò che è successo e tutti siamo responsabili di ciò che abbiamo fatto, e che si possa reclamare la riconciliazione con il proprio passato, come individui e come comunità. Riconciliarsi con sé stessi e col prossimo. Altrimenti si allargherà la schiera di quel popolo indifferente anche a se stesso, che però magari sarà subito pronto a puntare il suo dito accusatorio contro il prossimo “nemico”, per scaricare le sue frustrazioni e per paura, mentre fa il suo buon dovere civico (?) e rispetta le date comandate.
Questo articolo prende le tracce da una libera interpretazione basata sulle mie esperienze e riflessioni di ciò che Silo scrisse in “Discussioni Storiologiche” (incluse in “Contributi al Pensiero”, edito in italiano da Multimage) e in altri suoi discorsi.