È di venerdì la pronuncia della Corte dell’Aja in merito all’azione giudiziaria da parte del governo del Sud Africa che il 29 dicembre scorso, ha per l’appunto, denunciato Israele alla Corte internazionale di Giustizia con l’accusa di aver violato la Convenzione del 1948 per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio. La sentenza letta nell’aula del Palais de la Paix dalla presidente della Corte, l’americana Joan Donoghue è durata oltre 40 minuti. La Corte internazionale di Giustizia ha stabilito che le azioni intraprese da Israele a Gaza sono plausibilmente genocidio e ha indicato misure provvisorie su questa base. In riferimento all’attuazione dello Stato di diritto internazionale, la decisione è epocale. Ma, guardando i telegiornali italiani venerdì sera, l’impressione avvertita era che da parte della Corte non ci fosse stata una richiesta di cessate il fuoco ma solo di prevenzione del reato di genocidio. Per comprendere meglio ho chiesto aiuto all’avvocato Michela Arricale, che da molti anni segue da vicino la questione palestinese.
Per i nostri telegiornali la Corte non ha chiesto il cessate il fuoco ma solo di non commettere atti di genocidio, è così?
E’ vero, non ha usato espressamente le parole “cessate il fuoco”, ma lo ha imposto di fatto. Mi spiego: la Corte Internazionale di Giustizia è stata chiamata dal Sud Africa a verificare il rispetto degli obblighi di Israele in relazione al trattato internazionale per la prevenzione e la punizione del crimine di genocidio, quindi l’indagine è circoscritta da un testo di legge ben preciso. Questo testo tipizza tutti i comportamenti che, ai fini del trattato e quindi della verifica del rispetto delle obbligazioni ivi contenute, hanno caratteri genocidiari, tra cui: l’uccisione dei membri del gruppo, causare gravi danni fisici o psicologici ai membri del gruppo, imporre deliberatamente condizioni di vita destinate a tradursi nella distruzione totale o parziale dei membri del gruppo, come la privazione di acqua, cibo e medicinali, l’espulsione e/o la distruzione forzata e sistematica dalle abitazioni. Come appare chiaro anche a prima vista, tutti i comportamenti elencati rappresentano – di fatto – le principali tattiche militari usate dalla ISF contro Gaza. E tali comportamenti sono stati espressamente vietati. E’ di fatto un ordine di cessate il fuoco: come faranno le SFD a portare avanti una guerra “legittima” – ahimè, la guerra non è illegale in sé. Per il diritto esiste un modo “legittimo”, consentito, di fare la guerra – senza poter uccidere, assediare, distruggere le abitazioni, gli ospedali e le infrastrutture dei palestinesi?
Ciò che invece non lascia adito ad alcun dubbio è che la Corte ha escluso l’archiviazione della denuncia e così il processo per genocidio va avanti, cosa potrebbe comportare questo per l’attuale governo israeliano e per il futuro del popolo palestinese?
Non solo questo è un dato assolutamente rilevante, ma anche un altro che rischia di passare inosservato perché un po’ tecnico: quello di aver riconosciuto nel popolo palestinese, in questo momento residente a Gaza, quelle caratteristiche di “gruppo” necessarie a fondare la giurisdizione della Corte ai sensi del trattato contro il genocidio. I palestinesi sono un soggetto di diritto internazionale in quanto gruppo etnico/nazionale, e questo contraddice uno dei pilastri della narrazione israeliana, che continua erroneamente e illegittimamente a far riferimento a loro genericamente come “arabi”.
Qualche giorno fa il nostro ministro deli affari esteri Antonio Tajani ha dichiarato che quello che sta compiendo Israele a Gaza non è genocidio. Ci dai la definizione giuridica di genocidio?
Sulla definizione di genocidio ci viene in aiuto l’art. 2 della Convenzione in oggetto:
“Nella presente convenzione, per genocidio si intende ciascuno degli atti seguenti, commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale:
Uccisione di membri del gruppo; lesioni gravi all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo, sottoposizione deliberata del gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale, misure miranti ad impedire nascite all’interno del gruppo, trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro.”
Inoltre, il crimine di genocidio è considerato talmente grave che non si punisce solo il fatto compiuto, ma anche “l’intesa mirante a commettere il genocidio, l’incitamento diretto e pubblico a commettere genocidio, il tentativo di genocidio e la complicità nel genocidio”. Non solo chi commette, aizza o tenta di compiere atti genocidiari sarà punito, ma anche i loro complici. A tale proposito è rilevante sottolineare come tutti gli Stati contraenti il trattato, i quali non facciano tutto quanto in loro potere per evitare che vengano compiuti atti genocidiari da altri soggetti, potrebbero essere considerati complici, e in base a questo puniti. L’Italia anche è obbligata ai sensi del trattato, come si sta attivando in tal senso? Qualora, alla fine della procedura, la Corte dovesse verificare che sono stati compiuti, come lo sono, atti genocidiari, allora anche l’aver garantito ai colpevoli, ad esempio, armi e assistenza militare potrebbe concretizzare una vera e propria responsabilità punibile a carico del nostro Paese. Od anche, a questo punto, emergerebbero come rilevanti le posizioni degli italiani con doppia cittadinanza, chiamati a servire in un operazione che potrebbe essere definitivamente statuita come genocida dalla CIG.
I comportamenti a Gaza dell’esercito israeliano sono stati definiti genocidiari dalla Presidente della Corte, “Gaza è diventata un luogo di morte e disperazione” ha detto la Donoghue riportando le parole del vicesegretario agli Affari umanitari dell’Onu, Martin Griffiths. Di qui la natura “urgente” delle decisioni prese, che mirano a evitare ulteriori danni “irreparabili” ai palestinesi, un rischio che si ritiene “plausibile”. Quali conseguenze pratiche potrebbe avere questa sentenza per il governo israeliano nel caso non la rispettasse?
Purtroppo Israele è abituato a ignorare il diritto internazionale, e ha già inadempiuto agli ordini della Corte Internazionale di Giustizia in relazione alla sentenza del 2005, sulla costruzione del muro. Ha ignorato impunemente oltre 300 decisioni dell’ONU, forte del suo rapporto privilegiato con gli USA, che di fatto gli ha garantito 75 anni di impunità totale. Ma la situazione odierna è diversa: in primo luogo la Convenzione contro il Genocidio è uno strumento fondamentale della Comunità Internazionale, molto sentito. Infatti è stata già convocata una riunione straordinaria del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, chiamato a garantire l’ottemperanza agli ordini emessi dalla CIG. Inoltre, non siamo più in un sistema di relazioni internazionali unipolare, il che significa che ci sono altri Paesi in grado di contrapporsi efficacemente alle pretese di impunità invocate da alcuni. Vedi, quando si dice che “Il diritto internazionale non serve”, oppure che “non esiste”, in realtà si fa riferimento alla frustrazione che deriva dall’impossibilità di obbligare le grandi Potenze ad adempiere agli obblighi su di loro gravanti nel sistema del diritto internazionale. Tale impossibilità, in un modello unipolare come è stato il mondo fino a ieri, è conseguenza del fatto che esiste un’unica potenza in grado di imporre i propri interessi a discapito di tutti gli altri. Un sistema di diritto ha bisogno, invece, che chiunque possa essere ritenuto responsabile delle proprie azioni e punito. Il merito di questa sentenza è anche questo: aver scardinato quel muro di impunità che ha sempre difeso Israele dalle conseguenze delle proprie azioni. Staremo a vedere…
Dopo aver visto immagini incontrovertibili di quello che è, e diciamo pure che è stato per decenni o da sempre, l’atteggiamento dell’esercito israeliano nei confronti del popolo palestinese, ritieni plausibile dal punto di vista umano e giuridico che lo stesso esercito possa esercitare in futuro, un controllo sulla popolazione palestinese?
Certo che no. Israele deve ritirarsi da tutti i territori occupati e il pieno diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese deve potersi compiutamente esercitare: se parliamo di statualità della Palestina allora questa deve avere tutte le caratteristiche proprie di uno Stato, a partire dal controllo del proprio territorio e alla formazione di un proprio esercito regolare. Nessun controllo da parte di Israele sui palestinesi e sulla Palestina, questa è l’unica soluzione accettabile, tutto il resto è permanere dell’occupazione.
Un’ultima domanda: adesso si discute del riconoscimento dello Stato palestinese, da parte di Israele ma non solo, quando e come è successo che lo Stato di Palestina venisse cancellato dalle mappe geografiche di tanti Paesi tra cui l’Italia?
Ovviamente non è capitato per caso, ma è il frutto del lavoro politico e di propaganda svolto certamente da Israele, ma soprattutto dai vincoli esterni che gli USA ci hanno sempre imposto. Diciamo che, a mano a mano che il dominio unipolare USA si consolidava, è sempre diventato più difficile per un Paese come il nostro compiere scelte autonome di politica estera. Oggi l’indipendenza di giudizio sembra una chimera, messa quasi fuorilegge dal nuovo strategic concept della NATO del 2021.
Ho sempre sostenuto che la questione palestinese fosse uno dei veri fronti in cui si combatte per il futuro di noi tutti, ed ancora più vero oggi quando nuove potenze emergono e si cominciano ad intravedere nuove possibilità. Intorno a questo giudizio, intorno a questo conflitto, si decide il mondo che vogliamo: fondato sul diritto e costruito intorno al principio di eguaglianza e cooperazione, tra persone, Popoli e Stati oppure quello che abbiamo: fondato sulla violenza ed alimentato da disuguaglianza, morte, infelicità e sfruttamento.
Articolo pubblicato su L’Antidiplomatico il 29 gennaio