1. Come ogni anno, alla fine di dicembre, il Viminale dà i numeri degli sbarchi ed affida alle agenzie di informazione più “vicine” dati che dovrebbero giustificare un ulteriore inasprimento delle politiche di abbandono in mare e accordi con paesi terzi che non rispettano i diritti umani. Per non parlare della collusione, fino ai più elevati livelli di governo, delle milizie e delle bande criminali che controllano in terra ed a mare il traffico di esseri umani. Poche le voci che ancora documentano quanto avviene, come Sergio Scandura da Radio Radicale, o Nello Scavo dalle pagine di Avvenire. Molti altri, informati e indipendenti, sono relegati a canali informativi che non raggiungono un numero di destinatari tale da incidere su un opinione pubblica sempre più assuefatta. La grancassa di Stato ha così buon gioco a fare passare vere e proprie bufale, come si è riscontrato nel caso del Memorandum UE-Tunisia, neppure firmato dai leader europei, e del Protocollo Italia Albania, ancora sospeso per effetto di una decisione della Corte Costituzionale albanese.
Alla fine, anche se il ruolo delle ONG è ormai marginale, si tenta di fare passare le navi del soccorso civile, che ancora riescono a salvare migliaia di persone dall’abbandono in mare, come responsabili dell’aumento degli arrivi (anche se la teoria farlocca del pull-factor è ormai ampiamente smentita dai fatti, oltre che dalle decisioni dei giudici). Ma si nasconde che i libici (della sola Tripolitania) hanno recentemente dichiarato una zona contigua alle loro acque territoriali e quindi hanno creato il presupposto per interdire la libera navigazione ed i soccorsi da parte delle navi umanitarie, e per una attività ancora più violenta e di contrasto, non solo dell’immigrazione illegale, ma anche dei soccorsi operati dalle organizzazioni non governative, in linea con le indicazioni politiche, e con il coordinamento operativo, provenienti dall’Italia. Eppure il governo di Tripoli non ha mai ratificato la Convenzione di Montego Bay (UNCLOS) del 1982 che prevede e regola la istituzione di zone contigue. Su tutto questo un silenzio generale.
Ancora una volta dunque, menzogne ed omertà dei media compiacenti, per coprire politiche governative e prassi amministrative e militari prive di basi legali ed in contrasto con il diritto internazionale. Si nasconde anche il ruolo crescente affidato al naviglio commerciale per operazioni di respingimento collettivo illegale, camuffate da soccorsi in acque internazionali, ricadenti all’interno della cd. zona SAR “libica, una finzione che dura da anni.
La maggior parte dei mezzi di informazione riporta così, come si trattasse di una “velina” diffusa dal governo, la notizia, di un “aumento del 50 per cento”, se non di un “raddoppio”, come si annunciava ad agosto, degli arrivi via mare, un raddoppio smentito anche dai numeri. Ma negli anni tra il 2016 e il 2018, prima che la guerra ai soccorsi umanitari producesse i suoi effetti letali, e prima che gli Stati e Frontex ritirassero le navi militari presenti nel Mediterraneo centrale, gli arrivi via mare sulle rotte del Mediterraneo centrale erano stati annualmente tra 160.000 e 180.000 persone. Si nasconde anche che il 2020 ed il 2021 non possono essere anni di riferimento per confronti statistici, per la diffusione della pandemia da Covid 19, che aveva comportato una generale limitazione della mobilità umana su scala globale, Ma per fare notizia tutti i dati sono buoni se scorporati dai riferimenti storici e geografici. Invece non si può guardare solo agli arrivi alle frontiere italiane, magari sarebbe bene guardare anche un poco più a sud. Ed anche al vicino oriente, a quello che si definisce come “Mediterraneo allargato”, da dove potrebbero aumentare le persone in fuga. Nel medio periodo non si può attendere tanto un aumento dei profughi palestinesi in fuga dalla pulizia etnica in corso a Gaza, quanto un sostanziale deterioramento dei rapporti di collaborazione tra i paesi nordafricani e gli Stati europei schierati a fianco di Israele. Ma anche su questo possibile sviluppo di una guerra di annientamento, oltre che di una crisi umanitaria senza precedenti, non si deve dire nulla, per non allarmare l’opinione pubblica prima delle prossime scadenze elettorali. Anzi ci si congratula con quei governi che hanno contribuito a rallentare le partenze verso l’Europa. Come se questa collaborazione non avesse avuto costi umani enormi.
Adesso, mentre continuano le missioni a Roma di esponenti dei governi di Tripoli e di Tunisi, si rende anche noto un numero altissimo di persone migranti che nel corso del 2023 sono state intercettate in mare e deportate in Tunisia ed in Libia. In un’intervista a La Stampa, il ministro dell’interno ha osservato che “la collaborazione con le autorità tunisine e libiche ha consentito di bloccare molte decine di migliaia di altri arrivi”. Si parla di 121.883 persone, “un numero non molto lontano da quello delle persone arrivate, e di arrestare centinaia di trafficanti”. Il ministro Piantedosi indica questi numeri come un parziale successo dell’azione di governo e delle molteplici missioni compiute nei paesi terzi per ottenere un maggiore impegno nelle politiche di esternalizzazione, in quella che si definisce come “lotta all’immigrazione illegale”, se non “caccia ai trafficanti su scala globale”, che evidentemente è rimasta nelle dichiarazioni propagandistiche di Giorgia Meloni. Ma anche in questo caso si gioca alla disinformazione, scambiando forse il numero dei trafficanti con le cifre degli scafisti arrestati in Italia dopo gli sbarchi, persone che molto spesso vengono poi riconosciute come innocenti quando si arriva, se ci si arriva, alla sentenza di un giudice. Ma che, per le statistiche di polizia da fornire ai media, per disinformare l’elettorato, sono già condannati e stigmatizzati come trafficanti subito dopo l’arresto. Invece, proprio l’ammissione di un numero tanto elevato di persone bloccate in acque internazionali e riportate in Libia ed in Tunisia accresce la corresponsabilità del governo italiano per le violazioni dei diritti umani subite da queste persone dopo essere state intercettate in alto mare, Ma anche queste responsabilità vanno tenute nascoste dietro gli allarmi sicurezza e i presunti “successi” nella lotta ai “trafficanti”. Dalla disinformazione come sistema di governo si scade poi nella criminalizzazione delle vittime, come nel caso dei genitori dei minori vittime della strage di Cutro, ai quali si attribuisce la responsabilità di avere imbarcato i propri figli sul barcone poi naufragato a pochi metri dalle coste italiane, perchè “la disperazione non può mai giustificare condizioni di viaggio che mettono in pericolo la vita dei propri figli”, o al loro annientamento come esseri umani, come si è fatto quando si sono definiti “carico residuale” i migranti trattenuti a bordo di una nave umanitaria ai quali si voleva impedire lo sbarco nel porto di Catania, con un decreto ministeriale del 4 novembre 2022, poi ritenuto illegittimo dal Tribunale. Ma non si intravede nessuna giustizia riparatoria per le vittime di una stigmatizzazione che ha nascosto responsabilità che i giudici faticano ancora ad individuare. E intanto l’opinione pubblica sembra avere dimenticato.
2. Ormai non basta più fornire un numero maggiore di motovedette alle guardie costiere dei paesi terzi che si affacciano sul Mediterraneo centrale. Diventano pratica sempre più diffusa le deportazioni verso veri e propri campi di tortura,sotto forma di respingimenti collettivi illegali in acque internazionali, con delega alle autorità tunisine e libiche, resi possibili grazie agli accordi stipulati con i governi di Tunisi e di Tripoli (ma non con le autorità che controllano la Cirenaica), ed al supporto tecnico operativo garantito da Frontex, con il tracciamento aereo, e dalle autorità italiane e maltesi con i coordinamenti delle attività di ricerca e salvataggio (SAR) in acque internazionali, su richiesta libica. Attività non certo di “salvataggio” nelle quali il contrasto della cd. immigrazione “illegale” (law enforcement) è spesso prevalso sugli obblighi degli Stati di garantire la salvaguardia della vita umana in mare e in violazione del diritto internazionale, che impone lo sbarco in un place of safety, che in questo momento non viene garantito nè in Tunisia, nè tantomeno in Libia. Perché dalla Tunisia si sono moltiplicati i respingimenti collettivi verso la Libia ed altri paesi non sicuri. Ed anche questo si nasconde. In Libia non si è ancora riusciti a costituire un governo unitario ed una centrale di coordinamento unificata per i soccorsi in mare (MRCC), che dovrebbe essere una condizione per il riconoscimento di una zona SAR, ma che dal 2018 ad oggi, da quando il governo di Tripoli ha comunicato all’IMO una zona SAR di propria competenza, non esiste.
Si registra ancora oggi, dunque, una totale incapacità di coordinamento autonomo dei soccorsi in acque internazionali da parre dei libici, di tutte le diverse autorità che si dividono il territorio. Come è confermato dai soccorsi coordinati da anni dalle autorità italiane “on behalf” della sedicente Gurdia costiera “libica”,verso la quale si indirizzano per lo sbarco dei naufraghi le navi civili e commerciali, che operano effettivamente i soccorsi in acque internazionali .
Ma tutto questo si nasconde al “popolo” che deve votare, e le poche voci in dissenso vengono emarginate o intimidite, anche a colpi di querele temerarie. Come si nasconde la situazione di emergenza umanitaria “permanente” nei centri di prima accoglienza e di transito, come l’hotspot di Contrada Imbriacola a Lampedusa, una situazione illegittima di accoglienza/detenzione che perdura ancora oggi, malgrado le condanne da parte della Corte europea dei diritti dell’Uomo sull’approccio hotspot “all’italiana”. E si utilizza la bufala del congestionamento dei centri di accoglienza per legittimare l’assegnazione di porti di sbarco sempre più lontani alle navi delle ONG, prima di imporre, in base al decreto legge Piantedosi n. 1 del 2023, fermi amministrativi in contrasto con il diritto internazionale dei soccorsi in mare. Come è successo ancora alla fine di questo 2023.
Se il ministero dell’interno chiude l’anno con le sue statistiche sugli sbarchi e sui soccorsi in mare, noi non possiamo che riprometterci per l’anno che verrà una intensificazione delle attività di inchiesta, di documentazione e di informazione, anche attraverso le richieste di accesso civico e il supporto alle denunce rivolte alla magistratura. Troppi respingimenti collettivi e troppe stragi per abbandono in alto mare, come l’ultima del 14 dicembre scorso, totalmente nascosta all’opinione pubblica, sono ancora senza responsabili. La disinformazione di sistema su quanto avviene alle frontiere marittime non serve soltanto a nascondere un numero crescente di vittime, e le responsabilità di chi decide sui soccorsi negati o ritardati, magari per fare intervenire le motovedette libiche e tunisine, ma costituisce espressione di un attacco su più fronti alle garanzie costituzionali, tra cui anche il diritto all’informazione e la libertà di opinione, e dunque alla democrazia che ancora (r)esiste in questo paese.
3. Ma esiste anche un altro pericolo che si nasconde all’opinione pubblica. Gli accordi con i paesi terzi extra-UE, all’esclusivo fine di ridurre le partenze verso l’Italia, possono avere effetti destabilizzanti in quegli stessi paesi i cui governi cercano di lucrare in questo modo vantaggi politici ed economici, condividendo le politiche di abbandono in mare e di respingimento su delega dei governi europei. Si nasconde quello che sta avvenendo nel Sahel, dopo i tentativi di accordo con il governo del Niger (adesso deposto) per tentare di coinvolgerlo nella esternalizzazione dei controlli di frontiera. Ed analoghi tentativi, al centro del cd. Piano Mattei per l’Africa,sulle migrazioni sono destinati a fallireper la situazione che si sta determinando in tutta la regione a sud della Libia e dell’Algeria. Ma anche questo va tenuto nascosto. Meglio attribuire tutte le colpe ai trafficanti che nessuno arresta nei paesi nei quali godono della libera circolazione, senza neppure nascondersi, ed alle Organizzazioni non governative che si ostinano a salvare vite umane nelle acque del Mediterraneo centrale, sulla rotta migratoria più pericolosa del mondo, con oltre 2500 vittime nel corso del 2023, nel silenzio generale.
Politiche contro i diritti umani, basate sulla esternalizzazione dei controlli di frontiera, che sembrano trovare conferma nel Patto europeo sulle migrazioni che, se, e quando, verrà attuato con le previste misure legislative, come i nuovi Regolamenti in materia di protezione internazionale e rimpatri, potrebbe rafforzare la collaborazione con i paesi terzi. Ma tanto più questi accordi porteranno soldi e dotazioni tecniche in questi paesi, per fermare i migranti, senza il ripristino di regole democratiche e di corretto accesso alle risorse, senza aiuti economici che non si risolvano nella fornitura di armi, tanto più la situazione politica e sociale in questi paesi potrebbe deteriorarsi. Come si verificò pure in Libia, quando dopo il Trattato di amicizia con l’Italia del 2008 (ed i precedenti Protocolli operativi del dicembre del 2007) scoppiò una guerra civile che nel 2011 portò alla caduta del regime di Gheddafi e come si è verificato in tempi più recenti in Sudan. Forse, chi sta riempiendo di armi e soldi le milizie e le guardie di frontiera in Tunisia e in Libia, per bloccare i migranti in fuga da centri lager su cui si vorrebbe imporre il silenzio, potrebbe avere fatto male i propri calcoli, e si troverà costretto, come potrebbe verificarsi anche nel caso dell’Albania, a spiegare come e perché, dopo gli accordi bilaterali, i governi che li hanno stipulati con l’Italia sono caduti, con una grave destabilizzazione che ha favorito i trafficanti di esseri umani e un ulteriore aumento delle partenze. La guerra ai migranti potrebbe presto sfociare in una ulteriore estensione dei conflitti regionali, in una situazione di guerra globale sulla quale si continua a tacere. Senza giustizia sociale e senza libertà di circolazione, senza il rispetto del diritto internazionale e delle garanzie costituzionali, non esistono prospettive di pace. I fatti lo dimostrano, continueremo a gridarlo forte.
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