Prosegue il processo Salvini/Open Arms a Palermo: una mossa a sorpresa del ministro e i sospetti rilanciati contro la Open Arms _
L’ennesima udienza del processo nei confronti di Matteo Salvini per il caso Open Arms, a Palermo, con l’audizione dell’imputato, interamente registrata da Radio Radicale, è stata caratterizzata da una lunga “dichiarazione spontanea” dell’attuale ministro delle infrastrutture, al Viminale al tempo dei fatti, che, prima dell’esame da parte della procura ha voluto puntualizzare i principali punti su cui basa la sua difesa, peraltro già emersi nel corso del procedimento. Si è paventato ancora una volta il rischio della presenza di terroristi a bordo della nave, pur escludendosi che ve ne fossero davvero. Così l’ex ministro dell’interno: “Io tutelavo la sicurezza nazionale come dimostra il fatto che almeno tre episodi delittuosi in Francia, Germania e Belgio sono imputabili a persone sbarcate a Lampedusa”. “Al contrario di quel che sostiene qualcuno l’allarme terrorismo c’era. Quindi la particolare attenzione all’immigrazione irregolare era un obiettivo giusto”.
Alcune fonti giornalistiche riportano invece dichiarazioni contrastanti, escludendo il pericolo “terrorismo” a bordo della Open Arms, ma come su altri punti la lunga dichiarazione spontanea di Salvini è stata piena di elementi dubbi (non ricordo) o contraddittori.
Poi l’ex ministro dell’interno ha aggiunto :“avemmo un sospetto legato all’immigrazione clandestina perché sul comandante dell’imbarcazione, Marc Reig Creus, pendeva una richiesta di rinvio a giudizio”. Secondo quanto riferisce il quotidiano Libero Salvini avrebbe chiamato in causa l’attuale ministro dell’interno Piantedosi: “fu il capo di gabinetto Piantedosi a dirmi della presenza della Ong in mare: la storia precedente ci diceva che avrebbero provato a dirigersi in Italia, ebbi un sospetto che si trattasse di un caso di immigrazione clandestina perché l’allora comandante era stato rinviato a giudizio per il suddetto reato, cosa che mi fu comunicata prima di emanare il divieto d’ingresso. Il passaggio della nave nonostante il divieto è stato valutato come un’offesa verso l’Italia“. Un procedimento penale che poi, come tanti altri intentati contro le ONG, sarebbe stato archiviato. Salvini ha anche accennato ad un comportamento sospetto della Open Arms che sarebbe transitata nella zona SAR di competenza libica, e poi in quella maltese, a “bighellonare”, come affermavano i maltesi, secondo una rotta che si supponeva preordinata ad incontrare barconi carichi di migranti salpati dalla Libia. Ma su questo non ha citato neppure un atto di indagine, limitandosi ad un linguaggio allusivo.
Si deve invece escludere qualsiasi intento elusivo del comandante e dell’equipaggio della Open Arms che, secondo quanto ha fatto intendere l’ex ministro dell’interno, avrebbero tentato in sostanza di agevolare l’ingresso irregolare di migranti nel territorio italiano. I soccorsi in alto mare non sono atti discrezionali ma costituiscono comportamenti dovuti e in ogni caso la navigazione in acque internazionali con naufraghi a bordo non è censurabile da un ministro dell’interno che vieta lo sbarco rifiutando l’assegnazione di un POS, come se si trattasse di un evento di immigrazione clandestina. A meno che la magistratura o le autorità inquirenti non accertino la natura illecita del comportamento del comandante della nave, cosa che, per quanto tentata più volte dagli organi di poilizia, e da qualche procura della Repubblica, non ha mai trovato riscontro in una sola sentenza emessa da un giudice italiano nei confronti di una ONG. Salvini adombra una presunta natura illecita del comportamento del comandante della nave che nessuno ha mai contestato sul piano giudiziario ma non potrà utilizzare questo argomento per escludere responsabilità in ordine alla mancata assegnazione di un POS (Place of safety) ed al divieto di ingresso nel porto di Lampedusa (vedi art. 19 del Protocollo addizionale alla Convenzione ONU di Palermo del 2000 contro la criminalità transnazionale)
Le esigenze di contrastare l’immigrazione irregolare non possono dunque prevalere sulla tutela dei diritti fondamentali delle persone e sul rispetto effettivo degli obblighi di soccorso e di sbarco sanciti dal Diritto internazionale del mare. L’adempimento degli obblighi di soccorso e sbarco in un porto sicuro non possono essere elusi in base alla condizione giuridica dei naufraghi. E non si possono qualificare come meri “eventi migratori” attività di ricerca e salvataggio che sono obbligatorie per i comandanti delle navi e per le centrali (MRCC) di coordinamento dei soccorsi che, anche al di fuori dell’area di propria competenza, devono assumere in carico qualunque chiamata di soccorso che ricevono, sulla base degli obblighi di coordinamento e di intervento fissati dalle Convenzioni internazionali.
Appare poi arbitraria l’affermazione, sulla quale stanno impostando la comunicazione i media vicini al governo, secondo cui “a differenza di quanto avvenuto dopo”, durante a gestione degli sbarchi di Salvini al Viminale “non ci fu alcun episodio luttuoso” (ANSA). Nel 2018 è vero che il numero delle persone soccorse in alto mare era fortemente diminuito, come gli arrivi, in calo dal mese di luglio del 2017, dopo il Memorandum di intesa (MoU) Gentiloni con i libici e il Codice di condotta Minniti, ma è anche vero che mai in precedenza il numero delle vittime, in rapporto alle persone soccorse era stato tanto alto. Sulla rotta tra Libia e Italia, nel corso del 2019 sarebbe morto un migrante su 33 rispetto al rapporto di uno a 51 del 2017 e di uno a 35 nel 2018, secondo quanto calcolato da ricercatori dell’OIM-Organizzazione internazionale delle migrazioni. Una affermazione, quella di Salvini, sul numero delle vittime durante il suo mandato come ministro dell’interno, che si può facilmente smentire, purtroppo, ma che non ha alcun nesso diretto con i fatti oggetto di accertamento nel processo di Palermo. Quali che siano i meriti (o i demeriti) politici del ministro, la conta delle vittime, che avrebbe potuto documentare meglio, non incide sull’accertamento dei fatti oggetto del processo penale, e neppure sull’accertamento dei profili soggettivi su cui si dovrà pronunciare il Tribunale di Palermo.
Nel caso dei soccorsi operati dalla Open Arms nell’agosto del 2019, Salvini ignora o finge di ignorare la presenza sulla scena di un sommergibile italiano che monitorava la nave civile, che neppure il ministro della difesa pro-tempore Trenta ha detto di ricordare. Si spera che nelle prossime udienze si chiarisca almeno chi ha tirato fuori il filmato dei primi soccorsi in acque internazionali girato da un misterioso sommergibile italiano, spuntato durante l’audizione del Capo dipartimento del ministero dell’interno Mancini, che si è spinto a divagare su circostanze del tutto ininfluenti sull’accertamento delle responsabilità dell’imputato, Magari, con la prossima audizione dell’attuale ministro dell’interno Piantedosi, nel 2019 capo di gabinetto di Salvini al Viminale, prevista per il 16 febbraio, si riuscirà a chiarire questo aspetto oscuro della vicenda sulla quale, dopo la ex ministro della difesa Trenta, anche Salvini dichiara oggi di non sapere nulla. Ma ormai sembrano ripetersi i casi di filmati messi in circolazione verosimilmente da fonti militari, per rafforzare le tesi di un ministro, ma privi di una provenienza certa, come si è verificato nel caso-Apostolico.
Salvini continua comunque a parlare di “eventi migratori” anche di fronte all’evidenza documentale di una situazione di pericolo imminente (distress) durante i salvataggi operati dalla Open Arms a partire dal 2 agosto 2019, e ha dichiarato di non essere stato a conoscenza della situazione di particolare pericolo nella quale si trovavano i naufraghi al momento del primo soccorso operato da Open Arms, o del fatto che questi avessero manifestato la volontà di chiedere asilo in Italia, quando già si trovavano all’interno delle acque territoriali. In diversi passaggi delle sue dichiarazioni richiama la natura sospetta del percorso seguito dalla nave prima dei soccorsi operati a partire dal 2 agosto 2019, senza però offrire alcun riscontro documentale di supporto alle sue affermazioni che rilanciano, ancora oggi con una chiara finalità propagandistica, la criminalizzazione dei soccorsi civili operati dalle ONG.
L’oggetto del processo di Palermo riguarda invece la legittimità dei divieti di ingresso nelle acque territoriali e dei conseguenti divieti di sbarco, a cui seguiva una prolungata permanenza dei naufraghi a bordo della Open Arms ormai all’interno delle acque territoriali italiane. Si tratta di una materia continuamente modificata dal legislatore, che è già stata affrontata dalla giurisprudenza in casi che non si possono trascurare.
L’argomentazione sulla responsabilità libica e poi maltese nel coordinamento dei soccorsi operati dalla Open Arms, richiamata per insinuare una presunta iniziativa del comandante della nave che avrebbe portato a sospettare la ricorrenza di un tentativo di agevolazione dell’immigrazione irregolare, e quindi ad escludere l’assenza di una responsabilità italiana nel coordinamento dei soccorsi operati dalla ONG, appare del tutto priva di fondamento alla luce della giurisprudenza della Corte di Cassazione (vedi il caso Vos Thalassa, giusta sentenza depositata il 26 aprile 2022, con riferimento a fatti avvenuti nel luglio del 2018).
Come osservato nella richiesta di autorizzazione a procedere dal Tribunale dei ministri di Palermo, «appare incontrovertibile come la decisione di vietare l’ingresso nel porto di Lampedusa alla nave Open Arms, non abbia contribuito alla sicurezza dei cittadini o alla difesa delle frontiere, ma abbia prodotto in modo diretto e immediato, effetti pregiudizievoli alla sfera giuridica individuale dei migranti soccorsi da settimane e ristretti a bordo della stessa nave, come non si sarebbe verificato se il ministro dell’interno si fosse limitato ad una scelta politica di carattere generale senza violare la normativa interna ed internazionale che stabilisce procedure vincolate per lo sbarco dei naufraghi soccorsi in alto mare».
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