Ieri si è svolta la seconda udienza pubblica della Corte di Giustizia dedicata all’ascolto della difesa di Israele. Un’argomentazione debole e difensiva, che ha voluto mirare alla mancata competenza della Corte, mettendo in guardia che un’eventuale sentenza con l’ordine di cessate il fuoco minerebbe il diritto di Israele a difendersi.
Molti osservatori sostengono che la risposta israeliana non è stata convincente e soprattutto non è entrata nel merito delle accuse avanzate dalla delegazione sudafricana, se non con una retorica sprezzante. Per esempio, la deportazione di massa verso il sud di Gaza presentata come un’attenzione alla salvezza della popolazione.
La Corte adesso valuterà le dichiarazioni delle due parti e acquisirà le documentazioni fornite da parti terze inerenti alla guerra a Gaza, per poi emettere a breve un primo responso alla richiesta di un pronunciamento urgente in via provvisoria per un ordine di cessate il fuoco immediato, per evitare la messa in atto del genocidio, in attesa di un giudizio definitivo.
Il governo Netanyahu teme fortemente questo giudizio, perché in caso di un pronunciamento positivo Tel Aviv si troverà di fronte alla scelta di fermare le operazioni, segnando una sconfitta politica, oppure disobbedire e trovarsi in una condizione di Paese canaglia, isolato a livello internazionale. Gli stessi Paesi europei che finora lo hanno appoggiato politicamente, diplomaticamente e militarmente si troveranno in difficoltà a continuare questo appoggio nello stesso tenore.
La Corte non ha una forza militare per imporre l’applicazione delle sue sentenze, ma il secondo passaggio alla Corte Penale potrebbe mettere sotto mandato di cattura i politici e i militari al vertice del potere a Tel Aviv, da Netanyahu, al Ministro della guerra Galant, al generale Halevi.