Sabato 13 gennaio nel capoluogo regionale si è svolta una partecipata iniziativa indetta da Malamente e dal gruppo consiliare “Altra idea di città”, dopo il suicidio in carcere del giovane Matteo Concetti di Rieti, avvenuto il 5 gennaio. «Verità e giustizia per Matteo Concetti! Giulianelli dimettiti!» Questi i due striscioni presenti in piazza Cavour, davanti alla sede del Garante dei diritti dei detenuti, Giancarlo Giulianelli.
Questi, tra gli altri, i dati riportati dall’associazione Antigone per quanto riguarda il carcere del capoluogo marchigiano: nel 2023, i tentativi di suicidio sono stati 14 (raddoppiati rispetto all’anno precedente), 177 gli atti autolesionistici, i detenuti presenti sono 330 su una capienza di 257, gli agenti 115 per un fabbisogno di 176.
Al momento del suicidio Matteo si trovava in cella di isolamento per la seconda volta, per motivi disciplinari nonostante fosse una persona affetta da bipolarismo e psicologicamente fragile; più volte e con più persone aveva esternato il suo forte malessere, il desiderio di andare in comunità, nonché l’intenzione di togliersi la vita. Il malessere incalzante dipendeva, tra le altre cose, anche dalle condizioni di detenzione: una cella di 23 mq condivisa con altre quattro persone.
Il suo avvocato, Cinzia Casciani, si era opposta alla revoca dei domiciliari depositando al Tribunale di Sorveglianza di Ancona la perizia del ctu del Tribunale di Rieti, che aveva diagnosticato la bipolarità del 25enne, sostenendo l’incompatibilità per il suo assistito con il regime carcerario. Ma il tribunale non ne ha tenuto conto. Nuovamente, il 28 dicembre, l’avvocato aveva avvisato la struttura penitenziaria che il suo assistito aveva già tentato il suicidio in precedenza, nel 2017, aveva fatto gesti autolesionistici e pertanto aveva bisogno di una cura farmacologica di supporto; ne chiedeva contezza alla casa circondariale, senza ricevere risposta.
Anche alla luce di questi fatti, i manifestanti hanno chiesto spiegazioni al garante Giulianelli, indignati per la mancanza di competenza e preparazione, in seguito alle dichiarazioni fatte al TGR Marche: «Non mi risultano problematicità di carattere psichiatrico o il rischio suicidario». In seguito alla denuncia dei genitori del ragazzo, seguiti dall’avvocato Giacomo Curzi, la Procura di Ancona ha aperto un fascicolo contro ignoti, ipotizzando il reato di istigazione al suicidio.
Incisivi gli interventi che si sono susseguiti durante il presidio. Il portavoce della rivista Malamente ha ribadito: «Ogni anno le prigioni d’Italia inghiottono almeno 80 persone. In carcere il suicidio è 20 volte più probabile che tra la popolazione in libertà. Matteo doveva e poteva avere non solo un’altra opportunità nella vita, ma proprio un’altra vita, rispetto alla miseria e alla sofferenza che il sistema nel quale viviamo relega spesso le persone giovani. Matteo era etichettato come una persona con disturbi mentali e dipendenze patologiche e per questo forse è stato trattato peggio di altri, messo in carcere per un ritardo di un’ora, in cella di isolamento per un atto di disobbedienza ai carcerieri».
Con microfono aperto per accogliere chiunque volesse portare il proprio contributo, si sono susseguiti i vari interventi, tra cui Monia Caroti dell’associazione Antigone, che ha ribadito le criticità del sistema carcerario, e tra le altre, come soltanto una piccolissima parte dei detenuti, che si aggira intorno al 5%, riesce a entrare in programmi di recupero. Poi ha preso la parola Alì, un ragazzo ex detenuto che ha riportato la sua personale esperienza nel carcere di Monteacuto ed evidenziato, in generale, le difficoltà che si è trovato ad affrontare: «Il carcere è una rappresentazione della vita qui fuori, ci sono le stesse paure, con la differenza che lì dentro non puoi scappare. Le guardie penitenziarie non sono educate all’umanità. Ti lasciano da solo a latrare come un cane. Anche loro sono in difficoltà, ma spesso mi sono sentito un rifiuto». Molto sentite anche le parole di una giovane studentessa: «Quello che è accaduto a Matteo mi ha fatto stare molto male. Mi sarebbe piaciuto vedere più persone qui oggi, ma sono contenta e ringrazio tutti voi che siete intervenuti, perché è importante non rimanere soli e lottare insieme per i diritti di tutti. Chiunque di noi poteva e può trovarsi al posto di Matteo, vittima di un susseguirsi di eventi che lo hanno portato a togliersi la vita. La mancanza di prospettive fa stare male, la viviamo anche noi giovani. Non è giusto quello che è successo. Non è giusto sentirsi così.»
Al termine del presidio che ha visto una buona partecipazione, un corteo di un centinaio di persone ha attraversato il centralissimo Corso Garibaldi, pieno di gente, spiegando ai tanti che guardavano le ragioni della manifestazione. Infine c’è da rilevare lo spropositato schieramento di polizia che ha fatto da “cornice” al tutto.