Ci sono esperienze di partecipazione del passato che sarebbe opportuno far conoscere e recuperare.
Per esempio, la candidatura a sindaco di Mario Primicerio nel 1995 nacque da un processo che coinvolse tutta l’area progressista della città, dall’associazionismo ai movimenti alle realtà di base ai centri sociali.
Le varie iniziative di confronto sfociarono in un incontro cittadino che si svolse al Teatro Niccolini e che si chiamò “Convenzione Democratica”, da cui emerse l’indicazione di candidare Primicerio.
Anche in tempi più recenti si sono avuti processi ampi e diffusi per giungere alla candidatura – vedi com’è nata, nell’ambito dell’area a sinistra del PD, quella di Antonella Bundu -.
A differenza di allora, però, l’arco di forze che vi hanno partecipato è stato molto inferiore e, soprattutto, non si sono avuti tutti quegli apporti di conoscenza, di approfondimento, di dibattito che segnarono il percorso che precedette la Convenzione e la Convenzione stessa.
Fu attraverso tale percorso che fu possibile intrecciare i vari temi da affrontare come governo cittadino e giungere ad un programma ampio e condiviso, che venne fatto proprio dal candidato indicato.
In tutto questo ebbero sì un ruolo i partiti, ma si andò ben oltre, cogliendo il contributo della “società civile attiva”, con una visione della politica che non la confinava nel recinto degli “addetti ai lavori”, ma la voleva diffusa e partecipata, rendendone protagonisti/e cittadini/e.
Si ricordano
– dibattiti sui cosiddetti “campi nomadi” – in cui veniva confinata la popolazione Rom – svoltisi all’interno dei centri sociali,
– confronti sull’importanza dei diversi centri di aggregazione per rendere possibili processi di socializzazione e, quindi, più vivibile la città,
– incontri centrati sul ruolo dell’associazionismo in un’ottica di governo cittadino (con un associazionismo capace sia di cooperare che di avviare vertenze con le istituzioni).
Certo, vi erano notevoli differenze nelle analisi e nelle proposte, ma vi era la volontà comune di fare uno sforzo unitario per giungere ad una svolta significativa a Palazzo Vecchio, una svolta in grado di mantenere un rapporto vitale con le energie positive presenti sul territorio al di là del momento del voto.
Ritengo che un tale livello di partecipazione e di tensione unitaria raramente si sia raggiunto a Firenze (se non durante la stagione dei Comitati di Quartiere, a partire da quelli dell’alluvione del 1966, e nelle straordinarie giornate del Social Forum Europeo del 2002).
Non è per adagiarsi in un consolante “amarcord” che vanno ricordate e recuperate esperienze come quella della Convenzione Democratica, ma per riproporle con forza in un periodo in cui prevalgono la tendenza a dividersi, a rinchiudersi nel proprio angolo, a sottolineare ciò che distingue ciascun soggetto dagli altri, ad essere autoreferenziali anche quando si portano avanti obiettivi giustissimi (mentre l’orientamento generale è caratterizzato dall’egemonia della destra – con i post-fascisti al governo –, dalla disillusione di molti/e, dall’indifferenza di moltissimi/e).
La promozione del referendum per la salvezza di Firenze, negato dal Sindaco e svoltosi in forma autorganizzata, va sicuramente nella giusta direzione.
Ma occorre, a parer mio, un di più di capacità di proposta innovativa per il governo della città e di tensione unitaria per riuscire a raggiungere un vero e proprio salto di qualità. Come fu quello realizzato con la Convenzione Democratica del 1995.