Alla vigilia della sfilata, alla festa di Atreju, dei peggiori rappresentanti delle politiche internazionali contro le persone costrette a migrare, l’ennesima strage annunciata, nelle acque del Mediterraneo centrale, che ha comportato anche un respingimento illegale verso la Libia, permette di scoprire una catena di responsabilità che da anni condanna a morte, o alla deportazione, chi cerca di fuggire verso l’Europa. Persone che scompaiono in mare, e nel mare dell’indifferenza dei media e dell’opinione pubblica, ormai assuefatta, dopo settimane di massacri a Gaza, alla cronaca quotidiana di crimini contro l’umanità, che sembrano destinati a restare impuniti.
I fatti sono documentati dalla cronaca, inattaccabile perchè basata su rilevamenti e documenti ufficiali, raccolti dal corrispondente di Radio Radicale Sergio Scandura, una delle pochissime voci che non hanno mai smesso di denunciare le responsabilità delle centrali di coordinamento italiane e maltesi, dei relativi governi, di Frontex e delle istituzioni europee, che utilizzano la morte per omissione di soccorso in mare come strumento di deterrenza, con l’obiettivo dichiarato di dissuadere quanti si apprestano a tentare la traversata del Mediterraneo.
Persone disperate, molte donne, bambini che fuggono da conflitti sempre più crudeli e da territori dove la sopravvivenza è a rischio, che l’Occidente continua a sfruttare, per chiudere la porta in faccia a chi cerca la salvezza anche a costo di rischiare la vita in mare o nei campi di concentramento in Libia. Questa è l’immigrazione “illegale” che la Meloni, Rama, Sunak, i loro comprimari, le agenzie che controllano, e gli altri esponenti dei governi europei in guerra contro i migranti, vogliono combattere, per conquistare il più ampio consenso elettorale.
Naturalmente tutti in nome della lotta all’immigrazione “illegale”. Come stanno cercando di fare con il Memorandum UE-Tunisia e con il Protocollo d’intesa con l’Albania. Anche sulla pelle di chi viene abbandonato in mare o deportato in Libia o verso altri paesi terzi non sicuri. Ma quello che viene fatto passare in modo assilante è solo la criminalizzazione degli scafisti, ormai scambiati con i trafficanti, che invece rimangono al sicuro in Africa, nei paesi terzi dove godono di estese protezioni.
Come riferisce Sergio Scandura, l’allarme per un barcone partito dalla Libia due giorni fa era stato già diffuso, ed anche l’agenzia Frontex che con assetti aerei tracciava l’imbarcazione ne era a conoscenza, quando una nave delle ONG, la Ocean Viking, poteva intervenire per soccorrere il gommone, che era stato localizzato in condizioni di distress (pericolo imminente), una situazione che anche in base al Regolamento Frontex n.656 del 2014, avrebbe dovuto comportare l’intervento immediato di salvataggio e lo sbarco dei naufraghi in un porto sicuro. Come non è successo, neppure questa volta. Oltre alla Ocean Viking, che ormai si trovava nei pressi di Lampedusa, nessuna altra nave civile che pure transitava nel Mediterraneo centrale è stata coinvolta nelle operazioni di ricerca e salvataggio poi affidate al rimorchiatore VOS TRITON della compagnia VROON. Il problema dei soccorsi mancati, o affidati ad autorità che non intervengono in tempo, o che non garantiscono porti sicuri di sbarco, come scelta politica di deterrenza delle partenze dalle coste nordafricane è dunque molto più ampio del ruolo residuale ancora giocato dalle singole ONG presenti in quell’area.
L’infame decreto legge n.1 del 2023, poi convertito nella legge n.15/2023 consente al governo italiano di allontanare le navi delle ONG dopo il primo soccorso, anche se hanno raccolto in mare soltanto qualche decina di persone e potrebbero salvarne ancora centinaia, che invece vengono abbandonate al loro destino di morte. Il Consiglio d’Europa aveva immediatamente avvertito che “la norma che obbliga le navi dopo l’operazione di salvataggio, a raggiungere senza ritardo il porto assegnato, ritenuta da Strasburgo una previsione che impedisce i salvataggi multipli, rischia nella sua applicazione pratica di inibire un’effettiva attività di ricerca e salvataggio, costringendo le navi ad ignorare ulteriori chiamate di soccorso in violazione del diritto internazionale”. Ed è lo stesso decreto “anti ONG” che consente alle autorità di governo di assegnare alle navi umanitarie porti di sbarco sempre più lontani, in modo da tenerle lontano per il maggior tempo possibile dall’area dei soccorsi a nord delle coste libiche e tunisine. Un espediente che serve anche per trasferire sulle autorità libiche (e tunisine) attività di ricerca e salvataggio che, quando non si traducono in intercettazioni su imbarcazioni tracciate da Frontex, comportano ritardi ed omissioni di soccorso che sono costate la vita di migliaia di persone.
Come riferisce Sergio Scandura “Dalle 19:26 UTC (20:26 CET) del 14 dicembre ITMRCC della Guardia Costiera Italiana, “per conto della c.d. “guardia costiera libica”, trasmette un via InMarSAT(idem via Navtex) per un gommone alla deriva, con 60 Persone stimate a bordo”.
L’espresione “on behalf“, per conto della Guardia costiera libica è da anni consueta nei comunicati della Guardia costiera italiana, quando dirama un allerta su una imbarcazione in situazione di distresse nella zona SAR libica nella quale, a differenza di quanto avveniva fino al 2017 non sono più operative navi militari italiane o maltesi, e quelle che ci sono, magari quelle italiane impegnate nell’operazione “Mediterraneo sicuro”, non vengono generalmente coinvolte in attività di ricerca e salvataggio. Nelle quali, più ad oriente, davanti le coste della Cirenaica, non vengono neppure coinvolte le navi dell’operazione europea Eunavfor Med IRINI, che si richiama solo quando si pone l’attenzione non sul salvataggio delle persone in mare, ma sul contrasto dei traffici illeciti e dell’immigrazione che definiscono “illegale”. Ma la Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati definisce legittimo il tentativo di chiedere protezione fuggendo attraverso canali irregolari, gli unici che rimangono aperti per la quasi totalità dei potenziali richiedenti asilo.
Secondo un comunicato dell’AGI del 16 dicembre “Sono 61 i dispersi del naufragio di un gommone con a bordo 86 migranti avvenuto al largo della Libia. Lo riferisce su X il giornalista di *Radio Radicale Sergio Scandura* citando una fonte dell’Oim. i superstiti sono 25, sbarcati a Tripoli dal rimorchiatore Vos Triton. I migranti, di origine subsahariana, erano partiti due giorni fa da Zuara.
Due giorni fa, spiega Scandura, era stato diramato da Imrcc di Roma un avviso di distress per conto della Guardia costiera libica relativo a un gommone partito dalla Libia. Nel punto del naufragio c’era stato un sorvolo di due velivoli Frontex: il gommone era già alla deriva. In quell’area il giorno prima del naufragio era presente Ocean Viking, poi costretta ad allontanarsene con 26 migranti a bordo per ottemperare all’assegnazione del porto di Livorno da parte delle autorità italiane. La nave della ong ha poi dovuto riparare per il maltempo nella rada di Sciacca, in Sicilia”.
Le condizioni meteomarine in questi giorni erano pessime e tutte le autorità coinvolte, a conoscenza della posizione dell’imbarcazione in pericolo avrebbero dovuto attivare una operazione di ricerca e soccorso (SAR),anche avvalendosi della nave della ONG presente in zona, indipendentemente dalla zona nella quale si trovava il barcone in difficoltà. Secondo Flavio Di Giacomo dell’OIM “Nigeria, Gambia e altri subsahariani le nazionalità degli 86 a bordo: tra loro alcune donne e un paio di minori. Naufragio dovuto al maltempo”. Questi naufragi non sono dovuti soltanto al maltempo, ma chiamano in causa la responsabilità di chi chiude tutte le vie di ingresso legale, stipula accordi con autorità che non garantiscono una vera attività di ricerca e salvataggio, e tantomeno porti sicuri, ed allontana le navi del soccorso civile imponendo porti di sbarco sempre più lontani.
A differenza del naufragio di Steccato di Cutro non sarà facile provare la giurisdizione italiana, gli accordi stipulati con i libici servono proprio a scaricare tutte le responsabilità dei respingimenti collettivi e dei naufragi sulla sedicente Guardia costiera libica, ma la Centrale di coordinamento italiana, come quella maltese, agisce da tempo in stretto collegamento con le autorità di Tripoli e Frontex non può nascondere la sua collaborazione con i libici nelle attività di tracciamento delle imbarcazioni che attraversano il Mediterraneo centrale.