Nella tarda serata del primo dicembre scorso, varie agenzie battevano un comunicato della procura honduregna che annunciava una svolta nel caso dell’omicidio della dirigente indigena Berta Cáceres: era stato emesso un ordine di cattura nei confronti di un’altra persona coinvolta nel crimine. La notizia era stata diffusa immediatamente sui principali social.
Alcune ore più tardi, dopo che familiari dell’attivista assassinata quasi otto anni fa, membri dell’organizzazione indigena Copinh (Consiglio civico delle organizzazioni popolari e indigene dell’Honduras) e dell’equipe legale nella “Causa Berta Cáceres” avevano formulato ipotesi su chi fosse il nuovo implicato, era circolata copia di un ordine di cattura contro Daniel Eduardo Atala Midence, come presunto responsabile “in qualità di autore intellettuale”.
Nel momento in cui cadde vittima di un commando criminale 93 mesi fa, il 2 marzo 2016, tra le mure di casa sua nella cittadina di La Esperanza, Berta Cáceres e il Copinh, organizzazione di cui fu cofondatrice 30 anni fa, stavano sostenendo una lunga e difficile battaglia contro il progetto idroelettrico Agua Zarca, promosso da Desarrollos Energéticos S.A. (Desa) sulle acque del fiume Gualcarque, sacro per il popolo Lenca.
Daniel Atala Midence è membro della famiglia Atala Zablah, una delle più ricche e potenti dell’Honduras. È figlio di José Eduardo Atala Zablah e nipote di Pedro Atala Zablah e Jacobo Atala Zablah, tutti quanti membri del consiglio direttivo di Desa.
Nell’azienda, Daniel Atala ricopriva la carica di direttore finanziario. Dalla sua posizione – assicura il Copinh – autorizzava e amministrava i pagamenti a informatori che avevano il compito di vigilare i membri del Copinh, tra cui la stessa Cáceres. Le informazioni servivano anche per montare cause giudiziarie e incriminare le figure di maggior spicco dell’organizzazione indigena.
Insieme a David Castillo, presidente di Desa, anche lui implicato nell’omicidio, Atala Midence agì per ottenere permessi, licenze e concessioni del progetto Agua Zarca. L’illegalità di molte di queste azioni è stata dimostrata nel processo che si conosce come “Truffa sul Gualcarque”.
Fu questa struttura “familiare” degli Atala Zablah a dirigere in modo sistematico gli attacchi contro Berta e il Copinh, in un clima di odio e persecuzione, che sfociarono nell’assassinio della coordinatrice dell’organizzazione indigena Lenca e vincitrice del Premio Goldman per l’Ambiente 2015, il riconoscimento più importante per gli attivisti a favore dell’ambiente.
Sette mesi dopo il crimine, i familiari di Berta Cáceres consegnarono agli organi di giustizia tutte le prove che dimostravano come Castillo e i dirigenti di Desa avessero architettato un piano di persecuzione che sfociò nell’omicidio di Berta. Non è possibile comprendere il perché del suo assassinio senza capire il contesto di attacchi sistematici che lo avevano preceduto e che sono parte integrante del drammatico epilogo.
Nonostante ciò, le massime autorità della procura non hanno mai voluto approfondire certi aspetti e hanno rallentato volontariamente l’iter processuale. È stato esclusivamente grazie alla tenacia, al coraggio e alla totale dedizione della famiglia di Berta e del Copinh, al lavoro instancabile dell’equipe legale e alla solidarietà nazionale e internazionale, se sono stati fatti passi importanti per ottenere verità e giustizia.
Mani assassine e anello di una catena criminale
Nel dicembre 2019 vennero condannati a pene detentive tra i 25 e i 50 anni, i sette autori materiali del crimine, tra cui ex dirigenti e membri della sicurezza di Desa, ex militari e militari in servizio. Quattro di essi furono condannati anche per il tentato omicidio del sociologo messicano Gustavo Castro, che quella notte era ospite in casa Cáceres e che riuscì a sopravvivere all’attacco.
Nel luglio 2021 fu riconosciuto colpevole, in quanto coautore dell’assassinio di Berta Cáceres, David Castillo, ex presidente di Desa ed ex ufficiale dell’intelligence militare honduregna, graduato all’accademia di West Point. Dopo un anno fu condannato a 22 anni e 6 mesi di carcere. Nella struttura criminale che organizzò, finanziò e portò a termine il crimine, Castillo funse da anello di congiunzione tra i mandanti e gli autori materiali.
Purtroppo i due casi giudiziari non sono ancora chiusi e le sentenze non sono definitive, in quanto i ricorsi in cassazione presentati dalle difese degli accusati sono tuttora in attesa di delibera da parte della sezione penale della Corte suprema di giustizia.
Anche nel processo “Truffa sul Gualcarque”, conclusosi a marzo di quest’anno, durante il quale si dimostrò la responsabilità penale delle persone incriminate, tra cui, come detto, David Castillo e vari funzionari pubblici, per i reati di frode, violazione dei doveri dei funzionari, falsificazione di documenti, uso di documenti falsi e usurpazione di funzioni, il tribunale del circuito anticorruzione non si è ancora pronunciato.
La famiglia della dirigente indigena assassinata, l’equipe legale ed il Gaipe (Gruppo di consulenza internazionale di esperti) hanno inoltre sottolineato l’importanza di procedere contro gli autori intellettuali del crimine e le istituzioni coinvolte. Nella sentenza emessa contro gli autori materiali, si afferma infatti che l’assassinio fu perpetrato “a conoscenza e con il consenso dei dirigenti dell’azienda Desa, tra cui il signor Sergio Rodríguez (uno dei sette condannati n.d.r.), oltre ad altri che non fanno parte di questo processo”.
Mancano i mandanti
Per le vittime, processare e punire i mandanti del crimine è imprescindibile, se si vuole ottenere giustizia completa per Berta e per tutte le persone che sono state vittime di persecuzione a causa della lotta contro il modello estrattivo.
Per il Copinh, la famiglia di Berta e l’equipe legale ci sarà giustizia completa, che comporta verità, riparazione e non ripetizione dei crimini commessi, soltanto quando saranno catturati, processati e condannati coloro che organizzarono e finanziarono l’assassinio. Daniel Atala Midence è uno di loro.
Per sette anni ha prevalso l’impunità. Ora, le nuove autorità (elette ad interim) della procura sembrano voler andare a fondo di questo e di altri crimini che sono rimasti impuniti per la mancanza di volontà di un sistema di giustizia corrotto e venduto ai gruppi di potere economico e politico.
“Dopo la loro nomina, come membri del Bufete Estudios para la Dignidad, abbiamo chiesto una riunione urgente per affrontare vari temi, in particolare quello della Causa Berta Cáceres”, mi dice Víctor Fernández, membro dell’equipe legale che rappresenta la famiglia della leader indigena.
“Ci hanno assicurato che stanno seguendo il caso da vicino e, in effetti, siamo stati piacevolmente sorpresi dall’ordine di cattura emesso contro Daniel Atala. Se da un lato apprezziamo quindi l’interesse e la determinazione che stanno mostrando – ha continuato Fernández – dall’altro vorremmo che tutto ciò si combinasse con un maggiore senso di responsabilità e rigore nella persecuzione della paternità intellettuale dell’assassinio di Bertita (Cáceres)”.
Per l’avvocato nonché coordinatore del Madj (Movimento ampio per la dignità e la giustizia) è importante che le nuove autorità prendano anche in considerazione le varie connessioni della “Causa Berta Cáceres”, quali le responsabilità di funzionari pubblici, attori finanziari nazionali e internazionali che sponsorizzarono economicamente il progetto Agua Zarca, gruppi economici legati al modello estrattivo-energetico che opera in Honduras, intrecciato con strutture di corruzione e violenza.
“I dirigenti di Desa elaborarono una condotta, un modo di agire proprio di un’associazione criminale. La nuova amministrazione della procura deve condurre un procedimento giudiziario su questa via. Inoltre – ha continuato Fernández – devono riconoscere e trattare le vittime, la famiglia di Bertita e il Copinh, come soggetti protagonisti, come parti in causa di questo processo, cosa che gli è sempre stata negata”.
Per l’avvocato, è il momento di dimostrare che sta avvenendo un cambiamento cruciale nel sistema di giustizia honduregno.
“L’insieme di persone e organizzazioni che chiedono giustizia all’interno della Causa Berta Cáceres hanno dovuto sostenere una grande battaglia contro un sistema di giustizia corrotto, che produce impunità. Si sono ottenute condanne per gli autori materiali e per un autore intermediario del crimine a forza di esercitare pressioni. Ora dobbiamo passare ad un nuovo anello della catena. Soltanto così si riuscirà, non solo ad assicurare giustizia completa per Bertita, ma anche ad aprire la strada per garantire verità, giustizia, riparazione e non ripetizione alle centinaia di vittime di questo modello estrattivo criminale”, ha concluso Fernández.
Fonte: LINyM (spagnolo)
Traduzione: Adelina Bottero