Gli ultimi avvistamenti di lupi sulle Prealpi e Alpi lombarde avevano scatenato mesi fa l’ennesimo allarmismo sul “pericolo lupo”, spesso innescato dai media locali e dalla lobby venatoria giocando sulla paura ancestrale della gente. Nella provincia di Bergamo oggi si torna a parlarne. Il primo appello, anche se in realtà non riguarda i lupi, è stato lanciato dalla polizia locale del Comune di Bergamo. “Il 15 dicembre – spiegano dal comando di via Coghetti – sei daini sono fuggiti dal territorio di Orio al Serio, in direzione Bergamo. Gli ungulati sono stati avvistati sulla carreggiata, nei pressi del sottopasso di Colognola. Si prega di prestare la massima attenzione per il loro possibile transito su strade e loro pertinenze, nonché per la possibile intrusione nelle proprietà private. In caso di avvistamento, si prega di contattare tempestivamente la Centrale Operativa”.
Il secondo appello, sempre a tema animali, lo lancia il Comune di Brusaporto, dopo un paio di segnalazioni arrivate all’attenzione dell’amministrazione. Segnalazioni da verificare, ma a scopo precauzionale il sindaco Roberto Rossi ha comunque voluto informare la cittadinanza, invitandola a “prestare attenzione lungo i sentieri pedecollinari in quanto è stato avvistato un lupo o comunque animale appartenente alla fauna selvatica, non ancora identificato” si legge in un comunicato rilanciato sui canali social e sul sito dell’amministrazione. “Sono in corso operazioni di controllo a cura del Nucleo Forestale dei Carabinieri competente per zona”. Il primo cittadino consiglia di non percorrere questi sentieri con cani o animali domestici, “in quanto potrebbero essere oggetto di predazione da parte di questi animali. Si consiglia invece di percorrere zone urbane lontane dalla collina, nel centro abitato e a sud, dove è situata la nuova area cani di Via Marche. Come ogni animale selvatico, il lupo teme l’uomo e non lo considera una preda”.
Le autorità stanno dicendo forse alla popolazione che anche loro potrebbero essere preda del lupo? Proprio un mondo strano quello degli umani, che al posto di prendersi le proprie responsabilità le scaricano su esseri innocenti e fuori dai nostri modi di ragionare. In pochi decenni certe specie animali, per un motivo o per l’altro, sono diventate nostri nemici. I cinghiali che “invadono i nostri spazi”; i daini che “assediano le nostre città”; le volpi “sempre più invadenti”; le nutrie “che distruggono gli argini dei fiumi”; gli uccelli che “devastano i raccolti”; i cormorani che “devastano le riserve di pesca” e i lupi che “prendono possesso delle nostre montagne”.
Animali diversi che, a quanto pare, hanno qualcosa in comune: “Ce l’hanno fatta! E talmente bene che sono diventati un problema per gli equilibri ecologici, per le altre specie e per gli uomini”. Queste sono le espressioni e gli epiteti usati da un documentario Wild Italy su Rai5.
Un “documentario” che dovrebbe avere una valenza naturalistica e trasmettere un senso di tutela delle specie animali, le identifica invece come problema. Un problema che spesso il potere politico e amministrativo tramuta in “allarme” o “pericolo”, come se non ce ne fossero di più importanti.
Questi stereotipi sono parte integrante del sentire comune e dimostrano come per l’essere umano, anche nei confronti degli animali, il problema sia sempre l’Altro. È ridicolo pensare che gli animali siano diventati un problema per le altre specie viventi, quando in verità questa si chiama catena alimentare o mantenimento delle cascate trofiche. È ridicolo pensare che gli animali siano diventati un problema per l’essere umano, quando, a oggi, siamo noi la causa della scomparsa del 60% delle popolazioni animali in 40 anni e che il nostro modello di sviluppo ha sconvolto gli equilibri ecologici. “Chi ha invaso i nostri spazi” è stata la tecnologia, anche se non vogliamo ammetterlo e spesso la nostra ipocrisia. “Chi ha assediato la nostra città” non sono i daini, ma è la cementificazione e la speculazione edilizia. “Chi ha preso possesso delle nostre montagne” non sono i lupi, ma coloro che pretendono di controllarle, di usarle come materia per farci dei buchi per lasciare spazio al libero transito di automobili. “Sempre più invadente” è il consumismo. Quelli “che distruggono gli argini dei nostri fiumi” sono le nostre grandi opere, le nostre infrastrutture e la nostra spazzatura. “Coloro che devastano i raccolti” sono i nostri pesticidi, insetticidi, erbicidi e fitofarmaci, che oltre ad avvelenarci intossicano le specie viventi e i delicati ecosistemi. “Chi devasta le riserve di pesca” sono le nostri reti killer, la nostra pesca intensiva, l’inquinamento delle nostre acque, che portano i pesci a morire di anossia, ovvero di mancanza di ossigeno nell’acqua.
Tutte cause umane, tutte opere nostre che riversiamo contro le vittime della nostra devastazione ambientale. Il linguaggio specista e antropocentrico è una colonizzazione dell’immaginario, uno dei tanti metodi che servono per assolverci dai nostri danni, per distrarci dall’obiettivo e per giustificare le vigenti politiche ambientali sempre meno ecologiche, l’attuale modello di sviluppo e di produzione e la nostra visione patriarcale del mondo, fondata sulla superiorità dell’essere umano.