(Riceviamo da Milad Jubran Basir , giornalista italo-palestinese)
Nissaa Hurat. Free Women Free Palestine. Cooperazione allo Sviluppo
Nissaa Hurat. Free Women Free Palestine, questo è il titolo del progetto di solidarietà presentato dall’associazione Orlando di Bologna e dalla associazione Women di Forlì alla Regione Emilia Romagna, la quale l’ha approvato e finanziato.
Il progetto ha coinvolto tre associazioni femminili palestinesi che sono l’Annahda Women Association di Ramallah, l’Ain Arik Women Center e la Women Benevolent Society di Taibeh, tutte in Cisgiordania .
Il progetto prevede diverse azioni per l’empowerment sociale e politico delle donne palestinesi.
Le associazioni palestinesi promotrici sono associazione storiche del movimento femminile palestinese, in quanto sia l’Annahda Women Association di Ramallah e quella la Women Benevolent Society di Taibeh sono nate negli anni quaranta del XIX secolo, con un curriculum molto ricco di attività e insediamento nel territorio e nel contesto sociale; invece la terza associazione coinvolta l’Ain Arik Women Center è di recente fondazione .
Tutte le tre realtà associative svolgono la loro attività nel campo sociale e in modo particolare quello relativo al mondo femminile.
Nel corso della serata organizzata tramite il sistema zoom presso il Centro per la Pace di Forlì il 30 novembre le tre presidentesse hanno illustrato ad un pubblico molto attento le loro associazioni in modo orgoglioso .
“ Sentiamo necessità di far conoscere la nostra realtà al mondo esterno ” – ci dice Valentina Nemeh, vicepresidente dell’associazione di Taibeh, un villaggio sulla strada che da Ramallah porta verso Gerico e il fiume Giordano “perché la narrazione è state fatta da un solo punto di vista.
Noi viviamo questa situazione di oppressione non solo dal 7 ottobre, ma da oltre 56 anni , noi rischiamo la vita ogni momento , ogni giorno che sorge può essere l’ultimo per noi.
Sentiamo la necessità di uscire da questo isolamento e dobbiamo fare conoscere al mondo intero la sofferenza che viviamo in questi difficili giorni come donne e abbiamo bisogno di vedere rispettati i nostri diritti.
Valentina afferma che l’associazione che rappresenta non ha mai smesso di operare , e anche nei momenti più critici ha cercato di fare fronte alla situazione, anche in questi giorni sta fornendo assistenza e raccolta fondi per aiutare i lavoratori palestinesi di Gaza cacciati da Israele che hanno trovato accoglianza a Taibeh; inoltre gestisce un asilo nido e organizza incontri formativi e informativi per le donne, oltre a organizzare dei laboratori per sarte.
Sina Shaheen, presidente del centro femminile a Ain Arik , ha detto: “La nostra associazione è di recente fondazione . Infatti è stata costituita nel 2017 al fine di assistere e aiutare le donne del paese.
L’associazione organizza incontri formativi e informativi sui temi dei diritti sociali e civili e organizza dei laboratori per insegnare alle donne come cucinare gli alimenti , la produzione e la conservazione dei cibi, la produzione del sapone all’olio di olive, il tutto per favorire l’autonomia finanziaria delle donne.
Sina afferma : “la nostra associazione era un luogo di incontro, di socializzazione e crescita personale e professionale per le donne del villaggio che è situato a pochi chilometri da Ramallah.
Il coprifuoco ci impedisce di uscire e per i tantissimi check point lungo le vie che collegano il nostro abitato con le città palestinesi limitrofe, siamo chiuse in casa, impossibilitate negli spostamenti.
Circa il 70% delle vittime di guerra, che ha avuto inizio il 7 Ottobre scorso, sono donne e bambini.
Viviamo nel terrore per i nostri figli : ogni qualvolta escono di casa possono anche non tornare purtroppo, il clima di paura che è dominante in questi giorni legato ad una nuova “Nakba”, ossia il timore che saremo deportati con la forza e obbligati ad abbandonare la nostra terra.”
Sina conclude il suo ragionamento dicendo “noi desideriamo vivere in pace come tutti i popoli della terra, il mio augurio che la pace un giorno arriverà qui da noi nella terra della pace”.
Nadia Musleh, presidente dell’Annahda Women Association, presentando l’associazione che rappresenta che opera a Ramallah dall’inizio del 1945 , dichiara con orgoglio che Annahda non ha mai smesso o sospeso la sua attività, anche durante l’intifada era presente sul campo.
Nadia ha informato che la sua associazione offre un servizio alle famiglie più emarginata della società in quanto opera nel campo dell’ handicap dei ragazzi, in particolare i sordomuti.
Oltre all’attività di solidarietà e assistenza alle donne, organizza anche dei momenti informazioni , sportelli sui diritti delle donne.
Nadia sottolinea che le donne palestinesi “soffrono due condizioni di oppressione, quella dell’occupazione militare e quella derivante da una società maschilista.
E in questo senso, quando la situazione peggiora, sono le prime a perdere i loro diritti.
Ma quelle che soffrono una ulteriore condizione di disagio , tra queste donne, sono le mamme di bambini portatori di handicap sia fisico sia psichico.
L’isolamento imposto dal coprifuoco ci impedisce di raggiungere queste donne e le loro famiglie. La nostra associazione infatti si occupa di sviluppare programmi di sostegno dei minori con handicap, garantendo educazione scolastica e professionale, offrendo anche ai genitori informazione e orientamento per una migliore gestione della condizione di disparità vissuta dai loro figli.
Tutte le famiglie che seguiamo stanno patendo attualmente un grande stress e il disagio psicologico sta aumentando.
Oltre all’impoverimento economico, le donne vivono una condizione di blocco psicologico, che impedisce loro qualsiasi attività anche nella cura dei loro congiunti: in questa situazione tutte loro necessitano di supporto per riacquistare un po’ di serenità e sicurezza”.
Alla domanda venuta dal pubblico, relativamente a cosa chiedono alle associazioni femministe al movimento pacifista occidentale, nonché alle istituzioni italiane, la risposta è stata unanime da tutte le donne : al livello politico, interrompere e fermare la catena di soprusi e di vessazioni che le donne palestinesi stanno subendo , a causa dell’occupazione militare israeliana che è illegale secondo il diritto internazionale , attraverso il raggiungimento di una soluzione politica del conflitto palestinese – israeliano che garantisca i diritti non negoziabili di tutto il popolo compresa la componente femminile.
Dal punto di vista economico e sociale occorre fermare la catastrofe umanitaria che si sta verificando a Gaza e in Cisgiordania con questa nuova guerra, agendo immediatamente per garantire aiuti alimentari e cure sanitarie di prima necessità ai civili, e per garantire loro protezione da azioni militari, che si stanno caratterizzando sempre di più come azioni punitive e vendicative contro l’intero popolo palestinese.
Tutte le nostre interlocutrici hanno affermato che l’occupazione militare israeliana rappresenta l’ostacolo principale per lo sviluppo di una piena autonomia delle donne in Palestina e la loro emancipazione , perché ha interrotto tutte le attività che le nostre associazioni svolgevano per sostenere il ruolo delle donne nella società, e impedisce alle donne che lavorano di recarsi sul posto di lavoro, impedisce anche ai mariti di proseguire nelle loro attività professionali e, impoverendo le famiglie, crea il substrato favorevole alla perdita di ogni diritto.
Infine le nostre amiche hanno ribadito l’importanza di questo progetto e di questo incontro che ha permesso a loro di illustrare al pubblico italiano la loro situazione di sofferenza e d’isolamento mediatico.
Hanno ringraziato molto l’associazione Orlando di Bologna e l’associazione Women di Forlì che hanno presentato il progetto e la Regione Emilia Romagna per averlo adottato e finanziato auspicando che sia l’inizio di un percorso di collaborazione e di cooperazione i movimenti femminile italiane e quelli palestinese.