Abla Lafi ha 59 anni e viene dal villaggio di Turmus Ayya, a nord di Ramallah, nella Cisgiordania occupata. Parla con passione dei suoi uliveti, che l’esercito israeliano e i coloni ebrei illegali impediscono agli abitanti del villaggio di raccoglierne le olive.
“Questa è la nostra terra”, ha detto con aria di sfida. “Come osano impedirci di entrarvi e di raccogliere le olive dagli alberi, come se fossimo dei ladri? Le abbiamo piantate con le nostre mani. I coloni sono i ladri e noi siamo i proprietari della terra”.
I mesi di ottobre e novembre costituiscono la principale stagione di raccolta delle olive per gli agricoltori palestinesi. Migliaia di famiglie dipendono da un buon raccolto per il loro sostentamento. Circa il 45% dei terreni agricoli della Cisgiordania occupata è piantato con circa 10 milioni di ulivi, che producono tra le 32-35.000 tonnellate di olio d’oliva ogni anno.
Quest’anno, a causa della guerra a Gaza, i coloni e l’esercito israeliano stanno impedendo a migliaia di agricoltori di raggiungere i loro uliveti. Il mese scorso, il ministro delle Finanze di estrema destra dello Stato di occupazione, Bezalel Smotrich, ha invitato il governo israeliano a proibire ai palestinesi della Cisgiordania di raccogliere le loro olive. Secondo Smotrich, Israele deve stabilire “zone di sicurezza sterili”, senza la presenza di palestinesi, intorno agli insediamenti e alle strade riservate ai coloni. Sembra che le forze di occupazione israeliane stiano attuando questa politica per impedire ai palestinesi di accedere alla propria terra.
“Danni estesi alla terra e agli alberi e severe restrizioni di movimento e di accesso da parte delle forze israeliane ostacolano l’accesso agli ulivi, specialmente quelli vicini agli insediamenti”, ha riferito l’ONU. “Alla fine di novembre, una prima stima indica che 800.000 dunum di terra non sono stati raccolti a causa della violenza dei coloni israeliani e delle restrizioni di accesso”.
Gli ulivi non hanno solo un’importanza economica per i palestinesi, ma sono anche il simbolo delle loro radici, della loro resistenza e del loro attaccamento alla terra. Per i palestinesi, l’ulivo rappresenta il loro spirito e la loro identità.
“Andavamo a lavorare la terra con gioia e amore per tutti i membri della famiglia, uomini, donne, bambini e animali, perché coltivare significa appartenere alla terra, un sentimento che trasmettiamo ai nostri figli e nipoti”, spiega Lafi. “La stagione delle olive è come l’Eid (festa del sacrificio, equiparabile al Natale per i cristiani ndr) per noi; celebriamo le sue benedizioni con gioia e felicità, anche il sapore del cibo è diverso”. Tuttavia, ha aggiunto, da quando sono stati creati gli insediamenti ebraici illegali in terra palestinese, la gente del posto ha vissuto la stagione delle olive in un’atmosfera di paura, ansia e terrore nei confronti dei coloni e dell’esercito. “L’ansia e la tristezza sono aumentate quest’anno a causa della guerra a Gaza”.
Il capo del comitato agricolo del villaggio, Nidal Rabie, ha confermato che dall’inizio della guerra contro i palestinesi di Gaza, i coloni e le guardie degli insediamenti hanno impedito ai residenti locali di raggiungere i loro uliveti nella pianura adiacente agli insediamenti illegali costruiti su terre confiscate al villaggio. “Ci hanno espulso proprio oggi”, ha detto Rabie. “Abbiamo cercato di accedere alla nostra terra, ma sono venuti e ci hanno espulsi sotto la minaccia delle armi”.
L’agricoltore palestinese di 61 anni, che ha la cittadinanza statunitense, ha aggiunto: “Ora siamo a metà dicembre e stiamo cercando di raccogliere le nostre olive senza successo. Ogni agricoltore che cerca di raccogliere le olive viene colpito. Se aspettiamo ancora, le olive si rovineranno e la qualità dell’olio diventerà bassa e immangiabile”.
Sebbene i coloni e i soldati ostacolino ogni anno la raccolta delle olive, ha spiegato Rabie, a volte i palestinesi riescono a raccogliere almeno una parte delle olive entro le ore e i giorni stabiliti dall’esercito israeliano. “Quest’anno i soldati ci hanno impedito di raccogliere le olive nella pianura. Io personalmente possiedo 30 dunum che non posso raccogliere affatto”.
Qualche giorno fa, l’esercito ha persino fatto irruzione a Turmus Ayya di notte e ha confiscato 50 veicoli appartenenti agli abitanti del villaggio, perché utilizzati per i lavori agricoli. In totale, circa 2.500 dunum appartenenti agli abitanti del villaggio ma adiacenti agli insediamenti illegali non sono stati autorizzati a essere raccolti. “Avrebbero prodotto circa 70.000 litri di olio d’oliva”, ha aggiunto.
Ai contadini palestinesi del villaggio viene anche impedito di coltivare la propria terra, accanto alla quale sono stati costruiti insediamenti illegali. Mishal Al-Quq, 43 anni, ha raccontato di aver vissuto negli Stati Uniti e di essere tornato in Palestina due anni fa per prendersi cura della terra e coltivarla. “Quest’anno stiamo affrontando un grosso problema nella coltivazione del grano nella pianura a est del villaggio, poiché l’esercito di occupazione ci ha proibito di lavorarci, ma ora è la stagione per piantare i semi. Dobbiamo piantare in fretta, altrimenti sarà troppo tardi”. Il grano è molto importante ed è una coltura di base per gli abitanti del villaggio, ha detto. “Dobbiamo coltivarlo”. Questo è stato confermato da Rabie, che ha sottolineato di aver comprato semi di grano e orzo, ma di non sapere se sarà in grado di seminarli o meno.
La distruzione degli uliveti da parte di Israele mette in luce un fatto che non molti in Occidente conoscono; si sente spesso dire che gli israeliani hanno la doppia cittadinanza statunitense, ma non si sente parlare così tanto dei palestinesi americani. Si stima che nella Cisgiordania occupata vivano tra i 45 e i 60.000 palestinesi americani, secondo la Reuters. Tuttavia, questo non impedisce a Israele di prenderli di mira. Sono trattati dallo Stato di apartheid come palestinesi e non hanno privilegi “americani”. Ad esempio, Israele impedisce ai palestinesi americani di entrare negli Stati Uniti dalla Cisgiordania, un’apparente violazione di un recente accordo in base al quale i cittadini statunitensi e israeliani possono recarsi nell’altro Paese senza visto. Secondo Rabie, la maggior parte dei cittadini residenti di Turmus Ayya ha la doppia cittadinanza palestinese e statunitense, ma il governo americano non fornisce alcuna protezione ai contadini. “Alcuni abitanti del villaggio, che hanno la cittadinanza americana, hanno contattato l’Ambasciata degli Stati Uniti e hanno chiesto protezione per lavorare sulla loro terra. Ma l’ambasciata ha risposto che poteva solo aiutare a garantire il viaggio negli Stati Uniti. Questo significherebbe farli sfollare dalla nostra terra a Turmus Ayya”.
Sebbene l’amministrazione Biden abbia dichiarato l’intenzione di negare i visti ai coloni violenti, Rabie dubita che ciò avverrà. “Questa era solo propaganda. La vera posizione di Biden è stata chiara quando ha detto che se non ci fosse Israele, gli Stati Uniti dovrebbero crearne uno. Questo dimostra la collusione di Washington con Israele”.
Abla Lafi ritiene che l’obiettivo delle “molestie” israeliane sia quello di impadronirsi delle terre palestinesi vicine agli insediamenti illegali che sono stati fondati su terreni rubati che contengono ulivi coltivati da centinaia di anni. “Non hanno alcun diritto o proprietà su di essa”, ha insistito. “Abbiamo ereditato la terra dai nostri antenati e non dovrebbe esserci impedito di accedervi”. Anche se quest’anno è più difficile, abbiamo affrontato lo stesso problema ogni anno dalla fondazione del primo insediamento, che ricordo essere Shilo, nel 1978, quando avevo 14 anni. All’inizio c’erano case mobili e la strada che le conduceva attraversava il nostro villaggio. Le strade furono costruite sulle terre confiscate a Qaryut e Turmus Ayya, dopodiché cominciarono a diffondersi come un cancro e scesero dalla cima della collina fino alla nostra terra in pianura e si diffusero nei villaggi vicini”.
Sono stati costruiti altri insediamenti, come Rachel, Adei Ad, Amichai e altri avamposti random abitati da terroristi conosciuti come “Hilltop Youth” (i giovani delle colline ndr), ha aggiunto. “Hanno iniziato a terrorizzare la popolazione, sparando, distruggendo proprietà e bloccando le strade. Prima che venissero costruiti quegli insediamenti, quando ero bambina, vivevamo in pace, aravamo e piantavamo. Ho bellissimi ricordi delle diverse stagioni di fichi, olive e grano che coltivavamo”.
Rabie ha confermato che i crimini dei coloni, la confisca delle terre e il taglio e l’incendio degli ulivi nel suo e in altri villaggi, sono stati compiuti costantemente dai coloni e dall’esercito israeliano anche prima dell’ultima guerra di Israele contro i palestinesi a Gaza. L’attacco più feroce da parte dei coloni è avvenuto il 21 giugno di quest’anno, quando centinaia di coloni hanno preso d’assalto il villaggio uccidendo Omar Qutain, bruciando decine di case e auto, centinaia di ulivi e campi di grano, distruggendo il villaggio. L’esercito israeliano è rimasto a guardare, ma non è intervenuto.
Non è stata presentata alcuna accusa contro nessuno, e questo non è un caso eccezionale. Secondo Yesh Din, su mille casi di atti di violenza commessi dai coloni tra il 2005 e il 2021, il 93% è stato chiuso senza un’incriminazione.
“Questi attacchi non hanno impedito e non impediranno agli agricoltori di continuare a lavorare sulla loro terra”, ha dichiarato Rabie. “Se smettiamo di coltivare la terra, le autorità israeliane ne approfitteranno per affermare che la terra è terra di nessuno, confiscarla e darla ai coloni. Lo hanno già fatto in passato”.
Il riferimento è all’uso da parte di Israele, nel 1979, di una legge ottomana del 1858 che stabilisce che se la terra privata non viene coltivata per tre anni di fila diventa proprietà dello Stato. “A quel punto Israele la consegna ai coloni”.
Abla Lafi è determinato a far sì che questi attacchi e queste politiche israeliane non scoraggino gli agricoltori palestinesi dal coltivare la loro terra. “Amo la mia terra e amo la pianura fertile. Questa è la terra che è stata irrigata dal sudore dei contadini e dal sangue dei martiri che sono caduti per difenderla”: Joda Awad, ucciso dall’esercito israeliano nel 1988, e Khamis Abu Awad, ucciso da un colono nel 1993 mentre arava la terra. Anche il ministro Ziad Abu Ain è stato martirizzato nella pianura per difendere la terra e, più recentemente, Omar Al-Qotain quest’estate. Non possiamo rinunciare alla terra per cui in molti sono morti per difenderla. La trasmetteremo ai nostri figli”.
Traduzione in italiano di Nazarena Lanza