Organizzato da Era Umana, in collaborazione con Sovranità Popolare e la piattaforma Terra Neutrale, il webinar tenuto il 7 dicembre sul macro-tema della “Neutralità permanente dell’Italia” e il focus di approfondimento dedicato a “Neutralità e Corpi Civili di Pace”, ha avuto, tra gli altri, il merito di sviluppare, in un dialogo collettivo, alcuni temi di grande spessore ed estrema attualità. Temi, peraltro, spesso sottaciuti e dimenticati, relegati ai margini dell’agenda. Perché, ad esempio, di una questione globale stringente ed essenziale, quale l’impegno attivo, nel senso della neutralità o della terzietà, per la prevenzione della guerra, la soluzione politica e diplomatica delle crisi internazionali, e la costruzione di prospettive efficaci e durature di pace, semplicemente, non si parla?
Il tema costituisce, viceversa, un vero e proprio snodo. Ci troviamo in un panorama strategico in transizione, nel quale il blocco occidentale, cosiddetto «euroatlantico», con i suoi dispositivi politici e militari, a partire dalla NATO, rilancia la sfida di medio periodo contro la Russia e, in prospettiva, contro il vero e proprio antagonista strategico, la Cina; dove nuovi attori e nuove piattaforme di cooperazione, a partire ad esempio dai BRICS+ e altre iniziative multilaterali, avanzano nuove istanze e prospettano la maturazione di un nuovo multilateralismo e di un inedito mondo multipolare; dove, sullo sfondo di queste contraddizioni, nuovi contrasti e nuove crisi si manifestano, con la novità, drammatica e allarmante, di due guerre dalle vaste implicazioni strategiche, la guerra per procura degli Stati Uniti e della NATO contro la Russia in Ucraina e la guerra di Israele contro il popolo palestinese a Gaza, combattute in contemporanea, infiammando Europa, Mediterraneo e Vicino Oriente. Proprio nel momento della stesura di quest’articolo, gli Stati Uniti impediscono l’approvazione, in Consiglio di Sicurezza, di una risoluzione per un «cessate il fuoco umanitario immediato» nella Striscia di Gaza.
Si tratta di uno scenario che impone (dovrebbe imporre) il primato della politica, la centralità della soluzione positiva dei conflitti, l’attivazione delle forze sociali, con il proprio protagonismo e la propria autonomia dagli attori istituzionali (fin troppo spesso coinvolti nell’esercizio della guerra) e dagli apparati militari. Il tema della neutralità o terzietà, che fa da sfondo alla riflessione, emerge dunque come tema caratterizzante l’intervento delle forze della società civile, impegnate, in primo luogo, nella forma degli interventi e dei corpi civili di pace, quale proposta, in base alle indicazioni avanzate dalle associazioni impegnate, di una «azione civile, non armata e nonviolenta, di operatori professionali e volontari che, come terze parti, sostengono gli attori locali nella prevenzione e trasformazione dei conflitti. L’obiettivo degli interventi è la promozione di una «pace positiva», intesa come cessazione della violenza ma anche come affermazione di diritti umani e benessere sociale».
Una proposta che, come detto, a maggior ragione nel panorama strategico poc’anzi delineato, si alimenta del protagonismo e dell’autonomia della soggettività sociale: «sul campo – infatti – si possono attivare relazioni di collaborazione con altre ONG, agenzie di organizzazioni internazionali, istituzioni pubbliche, solo se tali rapporti non minano l’indipendenza e l’imparzialità della missione. Con attori armati – regolari e non regolari – non sono ammesse forme di collaborazione o sinergia né scorta armata; può esserci dialogo finalizzato alla gestione nonviolenta del conflitto o scambio di informazioni sulla sicurezza, ove questo non pregiudichi la legittimità nonviolenta della missione, in termini di modalità d’azione e di ricezione presso le parti».
Se, per un verso, la crescente aggressività delle potenze, in primo luogo occidentali, spinge sempre più lungo il crinale della militarizzazione (con una rinnovata corsa al riarmo e un impressionante incremento della spesa militare, giunta nel 2022, tanto per intenderci, alla cifra mostruosa di 2.240 miliardi di dollari) e della guerra (con tutto il suo portato di vittime, distruzione e disperazione), occorre, per l’altro, ripristinare i presupposti per una autentica cultura della prevenzione e, in generale, per una «cultura della pace». L’orizzonte politico della soluzione delle crisi e la proposta della diplomazia dei popoli per la prevenzione delle guerre e la promozione del processo di pace viaggiano infatti in uno con il recupero di centralità dei diritti umani e, in generale, del diritto internazionale e della giustizia internazionale, sempre più minacciati e compromessi.
I principi basilari dell’architettura internazionale (eguaglianza sovrana delle nazioni; indipendenza politica, integrità territoriale e non ingerenza nelle questioni interne dei singoli Paesi; autodeterminazione dei popoli) sono non solo capisaldi di giustizia, ma anche baluardi contro i piani di dominio e di ingerenza delle grandi potenze. Sono carte di cui celebrare la vita, non la morte: la Carta delle Nazioni Unite (1945), la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (1948), i Patti internazionali sui diritti (1966) e, evidentemente, la Risoluzione 53/144 (1999) che riconosce e tutela l’impegno e l’azione dei Difensori dei diritti umani. Quest’ultima ci ricorda che «tutti hanno il diritto, individualmente e in associazione con altri, di promuovere e lottare per la protezione e la realizzazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali a livello nazionale e internazionale». Nel tempo della crisi che agita il nostro presente, un diritto (e un monito) di cui fare tesoro.