Come se non avessimo già abbastanza guerre e atrocità corrispondenti di cui occuparci in questi giorni assistiamo a un’insensata escalation nella guerra tra Russia e Ucraina con preoccupanti risvolti che potrebbero portarla fuori della dimensione, già terribile in cui era finora, all’approssimarsi del terzo anno di combattimenti.
In un momento dove la guerra sembrava in fase di stallo e l’attenzione dei riflettori puntata altrove abbiamo assistito in rapida sequenza a tre attacchi “spettacolari” e di una notevole virulenza: l’attacco alla nave russa in Crimea, il bombardamento massiccio sulle città ucraine e la rappresaglia ucraina sulle città russe di confine.
Ovviamente la spiegazione mediatica convenzionale, ed anche quella ufficiale dei vari stati maggiori, è quella della rappresaglia per l’azione precedente; in termini di nonviolenza questo si chiama escalation e non ha nessuna soluzione se non l’interruzione della sequenza da una parte o la distruzione totale di uno dei contendenti.
Ma questa insensata fiammata di violenza (che ha pesantemente colpito, come al solito, popolazione civile non implicata nel conflitto) ha anche un’altra possibile spiegazione: le difficoltà di varie amministrazioni occidentali, a partire da quella degli Stati Uniti, a rinnovare sine die l’invio di armi in Ucraina; e queste difficoltà hanno spinto i vari piazzisti di armi (travestiti da Presidenti e Generali) a costruire un bello spot affinché si continui a vendere e usare armi: uno spot fatto di sangue e distruzione che i telegiornali trasmettono gratis senza nemmeno bisogno di pagare la pubblicità.
L’immoralità del commercio di armi, in cui l’Italia è pesantemente coinvolta, genera ulteriore sofferenza e rende sempre più sensato e urgente l’obiettivo di un mondo senza armi, guerre e violenza.