Ieri pomeriggio nella stessa Piazza di Santa Maria Novella dove successivamente si è radunato il corteo di Firenze per la Palestina, si è tenuto un sit-in di denuncia del Protocollo di intesa Italia-Albania con il quale il governo Meloni vorrebbe esternalizzare e confinare il flusso migrante.
Firenze Must Act, ramo locale di attivisi che a livello europeo si occupano dell’immigrazione, ha diffuso questo comunicato con l’adesione di molte realtà fiorentine:
Documento di Adesione su Protocollo Italia-Albania, Florence Must ActIllegittimo, Illegale ed Impraticabile: No al Protocollo Italia-Albania sui centri per migranti!
Sit – in Sabato 16 Dicembre 2023
Piazza Santa Maria Novella, Firenze Ore 14:00
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Il 6 Novembre 2023 viene firmato dalla Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e dal Primo Ministro albanese, Edi Rama, un Protocollo di intesa tra Italia e Albania sulla gestione dei migranti (Protocollo tra il Governo della Repubblica italiana e il Consiglio dei Ministri della Repubblica di Albania per il rafforzamento della collaborazione in materia migratoria). Secondo le prime dichiarazioni alla stampa, i migranti soccorsi in mare da navi italiane verrebbero portati in due strutture sul territorio albanese gestite dall’Italia a proprie spese e sotto la propria giurisdizione.
La pubblicazione del Protocollo ha da subito destato numerose critiche da parte di esperti ed organizzazioni circa il contrasto con le leggi nazionali, europee ed internazionali in materia di asilo.
Il 21 Novembre 2023 il Ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha poi annunciato che l’accordo dovrà passare dall’approvazione del Parlamento con un disegno di legge di ratifica ed il 5 Dicembre 2023 il Consiglio dei Ministri ha approvato un disegno di legge di ratifica del Protocollo tra Italia e Albania.
Il Protocollo ed il testo del disegno di legge riportano i seguenti punti principali:
si prevede la costruzione di due strutture, operative dalla primavera 2024, con una capienza massima di 3 mila persone alla volta, per esaminare le richieste di asilo di persone migranti salvate nel Mediterraneo (solo in acque extraterritoriali) da navi delle autorità italiane;
i due centri saranno costruiti a Shengjin (nord Albania) dove verranno effettuate le procedure di sbarco, identificazione, e screening delle persone approdate e a Gjadër, in un’ area più interna (dove sembra che il centro avrebbe una funzione simile a quella dei CPR italiani). In entrambi i centri i migranti saranno trattenuti, senza possibilità di uscire;
tutti i costi relativi al mantenimento delle strutture e al trasferimento delle persone saranno a carico dell’Italia. Entro i primi 90 giorni l’Italia dovrà versare all’Albania 16,5 milioni di euro come anticipo delle spese da sostenere. In seguito, dovrà rimborsare il Governo Albanese del 100% delle spese sostenute per personale di polizia, mezzi e carburante, prestazioni sanitarie, eventuali spese legali. Altri 75 milioni di euro saranno spesi dall’Italia fino al 2028 per i costi del personale impiegato al Ministero dell’Interno, della Giustizia, della Sanità.
Il Protocollo ha una durata di cinque anni, rinnovati automaticamente (per un massimo di altri 5) a meno che una delle due parti non comunichi il proprio dissenso entro sei mesi dalla scadenza.
Secondo le dichiarazioni fatte alla stampa, in questi centri verranno trasferiti uomini e donne maggiorenni (non minori, donne incinta o soggetti vulnerabili), da ospitare sotto la responsabilità e la giurisdizione dell’Italia. Questa specifica non è però contenuta nè nel testo del Protocollo nè nel disegno di legge di ratifica.
Perché questo accordo è illegittimo, illegale ed impraticabile?
Di seguito alcuni dei punti, a nostro avviso, più allarmanti del Protocollo Italia-Albania, in linea con i pareri dell’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI), del Tavolo Asilo e Immigrazione (TAI) e dell’European Council on Refugees and Exiles (ECRE) [1]:
– È possibile applicare le norme italiane al di fuori del territorio dell’Italia? Secondo il Protocollo, nonostante i centri si trovino in territorio albanese, la giurisdizione di riferimento è quella italiana (quindi applicata fuori dal territorio italiano). Tuttavia, applicare le leggi del proprio Stato in un altro territorio è in contrasto sia con il diritto internazionale sia con il diritto europeo. Nel caso specifico, secondo le norme UE, tutte le procedure di screening, richiesta di asilo e rimpatrio devono svolgersi sul territorio di uno Stato Membro dell’Unione Europea (quindi non l’Albania).
– Trasferire le persone in Albania, e non in Italia, è illegittimo. Perché? Prima di tutto perché se una persona viene salvata da una nave italiana e manifesta la volontà (anche solo oralmente) di voler fare domanda di protezione internazionale, secondo le norme e garanzie UE (che si applicano al territorio italiano, quindi anche alla nave italiana), il richiedente ha diritto di rimanere in territorio italiano per tutta la durata della procedura di esame della domanda, salvo specifici casi che comunque non possono essere valutati in tale occasione. Infatti, la persona che si trova su nave che batte bandiera italiana, è come se avesse fatto entrata direttamente in territorio italiano. Ciò è affermato anche dall’art. 10 comma 3 della nostra Costituzione, la quale garantisce l’asilo e, quindi, anche il diritto di ingresso sul territorio italiano e non in Paesi terzi come l’Albania.
– Mancato rispetto del diritto internazionale e del diritto UE! Secondo il diritto internazionale del mare le persone salvate in mare devono essere portate nel luogo di approdo più vicino. Le linee guida sul soccorso in mare fanno riferimento alla “minima ulteriore deviazione” possibile rispetto al luogo in cui è stato effettuato il soccorso (si rimanda alla Convenzione SOLAS). Decidere preventivamente che questo luogo sia, di default, sempre l’Albania è una violazione di tale diritto. Infatti, secondo le norme dell’UE il diritto sulla protezione internazionale si applica nel territorio degli Stati Membri Ue (quindi in questo caso non l’Albania), alle frontiere, nelle zone di transito e nelle acque territoriali.
– È possibile limitare la libertà di un richiedente asilo? No! Il diritto UE vieta agli Stati di applicare misure di limitazione della libertà personale nei confronti dei richiedenti asilo ‘per il solo fatto di essere un richiedente’ (Direttiva 2013/33/UE art. 7).
– Come saranno garantiti il diritto all’informazione ed il diritto effettivo alla difesa? Il cittadino straniero ha il diritto ad essere informato sulla possibilità di presentare domanda di protezione internazionale, come avverrà questo all’interno dei centri in territorio albanese? Come sarà possibile che ogni cittadino straniero si veda garantito il diritto alla difesa e l’esercizio della libertà di scelta del proprio legale? Sarà possibile consultare il proprio legale di fiducia? Sarà concesso ad organizzazioni legali di fornire assistenza ai richiedenti asilo? Nessun riferimento a questo fondamentale diritto è previsto nel Protocollo.
– Come si certificherà la vulnerabilità del cittadino straniero per decidere se può essere trasferito nei centri in Albania? La condizione di vulnerabilità e di minore età di una persona necessita di attenzioni accurate e di professionalità specifiche, e spesso di analisi approfondite: come possono queste essere valutate a bordo di una nave? Il rischio è che ciò avvenga di fretta e in modo inadeguato effettuando il trasferimento forzato di una persona vulnerabile che necessita, invece, di accoglienza e di un sistema sanitario in grado di trattare le sue condizioni di vulnerabilità.
– L’utilizzo di soldi pubblici è ragionevole? Molti costi ancora non risultano quantificati. Ancora mancano i dettagli sui costi specifici a carico dell’Italia. Sono però quantificati i costi che l’Italia dovrà versare all’Albania e ad ora sembra che l’accordo sia molto vantaggioso per la controparte albanese. Vorremmo sapere quale sarà l’effettiva spesa pubblica che l’Italia dovrà sostenere, oltre ai contributi iniziali di 16,5 milioni di euro con la garanzia di successivi contributi, secondo le dichiarazioni fatte alla stampa, che l’Italia erogherà all’Albania. (Un esempio di spesa ancora non quantificabile riguarda coloro che non potendo essere rimpatriati a seguito del trattenimento in Albania dovranno essere trasferiti sul territorio italiano a spese dell’Italia).
– Si tratta davvero di un accordo? Nonostante il Ministro degli Esteri, Antonio Tajani, abbia recentemente annunciato che l’accordo dovrà passare dall’approvazione del Parlamento con un disegno di legge di ratifica, il Protocollo Italia-Albania, per come è stato reso pubblico il 6 Novembre, risultava come un ‘accordo’ siglato tra il Governo italiano e il Consiglio dei Ministri albanese senza che il Parlamento italiano venisse coinvolto. Tuttavia, questo Protocollo rientra tra quei “trattati internazionali che sono di natura politica…” e che quindi secondo l’art. 80 della Costituzione italiana dovrebbero imporre la ratifica del Parlamento.
Proposte alternative: perché le soluzioni esistono! Ed è il momento di discuterne insieme
Esistono, anche se poco spesso menzionate, delle proposte alternative alle politiche di esternalizzazione (ossia tutte quelle politiche che vogliono delegare la gestione dei flussi migratori ad altri ed in altri Paesi extra-Ue) e di criminalizzazione (ossia di preconcetto del cittadino straniero come un criminale). Qui ne riportiamo alcune su cui ci impegniamo come Italy e Florence Must Act partendo dal livello locale:
– Investire sull’integrazione invece che sull’esternalizzazione della gestione della migrazione, con l’obiettivo di collegare la società civile italiana ai temi dell’accoglienza e delle buone pratiche, alla conoscenza dei percorsi migratori delle persone richiedenti asilo, rifugiate o migranti attraverso reti, mappature, indagini guidate, che fotografino il più nitidamente possibile la proiezione di chi arriva rispetto a ciò che ha intorno e con cui si trova a doversi relazionare.
– Promuovere l’ampliamento del sistema di accoglienza diffusa (SAI, Sistema Accoglienza e Integrazione) evidenziando le buone pratiche e gli ottimi risultati ottenuti attraverso di esso. Per far ciò, è necessario portare avanti un duplice lavoro: uno sui Comuni e le possibili città aderenti, e l’altro sulla società civile – a partire dalle scuole e dalle giovani generazioni – affinché possano conoscere e decodificare queste realtà, anche attraverso percorsi e progetti di esperienza diretta all’interno delle strutture del Sistema, in modo da (ri)pensare efficaci percorsi di coabitazione, sia lavorativi che socio-culturali, scrivendo insieme un’offerta ampia e condivisa che prenda in considerazione aspetti e ambiti della socialità a tutto tondo, come il lavoro, la religione, le relazioni affettive, lo sport.
– Fare pressione sulle istituzioni locali, nazionali ed europee per aumentare i canali di migrazione legale. In questa fase storica nella quale il principio di corresponsabilità e condivisione dell’accoglienza trova numerosi ostacoli nella sua concreta applicazione, dobbiamo dare un segnale concreto partendo dal promuovere politiche di ricollocamento e canali di migrazione legale nonché un progetto di accoglienza diffusa condiviso che parta dai territori locali.
Foto del sit-in di Cesare Dagliana:
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