L’anacardio (o anacardo) è un frutto secco ricco di grassi, carboidrati, proteine e magnesio. L’hanno definito la coltura dei poveri, il cibo dei ricchi. Spinto dalle diete salutiste e vegetariane, che ne pubblicizzano qualità antiossidanti e nutritive, ha conquistato i mercati occidentali in tempi molto rapidi. Lo troviamo nelle ciotole dell’aperitivo, nel sushi, nelle barrette e in alcuni prodotti pronti, come il pesto, dove ha sostituito i pinoli, più costosi. I dati Eurostat confermano che in Europa è boom: in dieci anni le importazioni sono aumentate del 111 per cento schizzando dalle 71mila tonnellate del 2012 alle 151mila del 2022. L’Italia è il quarto consumatore, dopo Germania, Olanda e Francia. Il 2023 sembra abbia segnato un crollo della domanda internazionale, ma le previsioni dell’Agenzia di promozione delle importazioni dagli stati in via di sviluppo dei Paesi Bassi, specializzata nell’analisi dei mercati europei, parlano – almeno in Europa – di una crescita stabile.
Su scala globale, nel 1988 gli ettari coltivati ad anacardio erano poco più di un milione. Nel 2020, la cifra è salita a 7,1 milioni. Sempre nel 2020, l’area del mondo coperta dalle coltivazioni di questo frutto era ancora molto più bassa rispetto a quella occupata dalla soia (127 milioni di ettari) e dall’olio di palma (29 milioni), ma aveva quasi raggiunto la scala del cacao (12 milioni) e del caffè (11 milioni). Al momento, metà della produzione si concentra in Africa, e in particolare in Africa occidentale (il 42 per cento). Il resto si trova in Asia (43 per cento) e in America Latina. La Guinea-Bissau, più di altri stati, si presenta come un caso studio particolarmente interessante per l’analisi della filiera di produzione dell’anacardo e del suo impatto ambientale. In meno di vent’anni questo paese è diventato uno dei primi dieci produttori del mondo. Per qualche tempo, nel continente africano, è stato secondo solo alla Costa d’Avorio che però è una nazione otto volte più grande. Oggi il caju rappresenta il 90 per cento delle esportazioni del paese, dà da vivere al 70 per cento della sua popolazione, e copre la quota più alta di superficie coltivata (34,4 per cento), superando il riso (14,7 per cento): l’alimento base.
Per indagare gli impatti dell’espansione della coltivazione di caju, Mani Tese e lavialibera hanno condotto una ricerca sul campo in Guinea-Bissau, con l’obiettivo di avere un quadro completo della filiera, nonché delle sue ricadute ambientali e sociali, evidenziando che: “l’estensione delle coltivazioni di anacardi sta contribuendo in modo significativo alla deforestazione della Guinea-Bissau, distruggendo l’habitat di molte specie animali, con ricadute importanti sulla biodiversità del paese; le aree protette, implementate dai governi della Guinea-Bissau a partire dagli anni Novanta, non sono sufficienti a tutelare l’ambiente; l’introduzione degli anacardi su larga scala ha reso i contadini più vulnerabili alla malnutrizione e assoggettato tutta la loro economia alle fluttuazioni del mercato internazionale; la trasformazione del 95 per cento dei semi di caju avviene all’estero e la vendita della materia prima produce un valore, a livello locale, di oltre il 4000 per cento più basso rispetto al prezzo che ha l’anacardo nella vendita al dettaglio sul mercato europeo. In altri termini, al contadino va lo 0,004 per cento del valore che uno snack di anacardi ha nei nostri supermercati.”
Il miglioramento che questo frutto secco ha portato nella vita dei contadini della Guinea-Bissau è visibile soprattutto nelle zone in cui le piantagioni di caju sono più estese. Tutti gli agricoltori hanno raccontato di aver migliorato le proprie condizioni di vita grazie agli anacardi, ma in Guinea-Bissau la proprietà delle terre coltivate ad anacardi e l’innalzamento del livello del mare, stanno alimentando conflitti tra le tribù. Un caso interessante è quello di Djobel, un arcipelago che lotta per non essere sommerso, diventato un simbolo del cambiamento climatico. Come si legge nel Report di Mani Tese: “Trasporto e deforestazione sono i due principali impatti ambientali della filiera dell’anacardo. Il primo è legato al lungo tragitto che il prodotto affronta prima di arrivare sui banchi dei nostri supermercati. I paesi africani piantano, raccolgono ed esportano. Mentre a seccare e tostare la noce – racchiusa in un guscio che contiene del liquido caustico – sono fabbriche che hanno sede in Asia dove, scrivono le Nazioni Unite in un rapporto del 2021, avviene l’87,5 per cento della lavorazione. Una volta lavorati, o semilavorati, gli anacardi affrontano un nuovo viaggio verso l’Europa. Ma ogni passaggio inquina. Nel giugno del 2022, uno studio dell’università di Sydney ha stimato che l’impatto ambientale del trasporto del cibo consumato rappresenta il sette per cento delle emissioni globali. L’espansione incontrollata delle piantagioni sta, invece, contribuendo al disboscamento dei paesi di origine della materia prima, al pari di cacao e caffè. Monocolture che – a differenza di quelle di anacardi – stanno ormai crescendo a ritmi più lenti.”
Gli impatti causati dalla monocoltura dell’anacardio in Guinea-Bissau, in termini sia ambientali sia socio-economici sono fortemente negativi, ma l’opinione prevalente, anche tra gli scienziati, è che il problema non sia l’albero in sé, bensì il tipo di sfruttamento del suolo agrario che consiste nella coltivazione di una sola specie, o varietà, di piante per più anni sullo stesso terreno. Occorrerebbe fissare dei limiti chiari all’estensione delle piantagioni di anacardi per tutelare le foreste e la biodiversità presenti in Guinea-Bissau, nonché migliorare l’implementazione delle aree protette, al momento non sufficienti a garantire un’adeguata tutela delle foreste native e dei corridoi ecologici. “Da parte sua, si legge nel Caso di Studio condotto da Mani tese all’interno del Progetto Food Waver cofinanziato dalla Commissione Europea e coordinato dal Comune di Milano, la società civile in Europa potrebbe sensibilizzare l’Unione Europea affinché la legge contro la deforestazione sia in grado di tenere il passo con le colture emergenti.” Nella nuova legge contro la deforestazione l’Unione Europea non tiene conto infatti di questa evoluzione che, secondo la denuncia di alcuni ricercatori pubblicata sulla rivista scientifica Science, rende le norme inefficaci e tardive rispetto al passo veloce delle colture emergenti.
In conclusione, la coltivazione degli anacardi in Guinea-Bissau, se ben studiata e pianificata, potrebbe contribuire in modo significativo al miglioramento delle condizioni di vita dei produttori, fornendo ulteriore occupazione con la progressiva industrializzazione del settore, e limitando l’impatto ambientale entro un perimetro di sostenibilità.
Qui la ricerca