Lo scorso 18 dicembre, a seguito di una assemblea tenutasi nei locali dell’Istituto Gramsci Siciliano, su iniziativa di un pool di associazioni panormite, si è costituita la  “Rete palermitana per la difesa e l’attuazione della Costituzione”. I promotori si propongono l’obiettivo di allargare la partecipazione al mondo dell’associazionismo democratico e del volontariato laico e religioso, coinvolgendo anche i movimenti sociali «che si battono nei territori per attuare concretamente i valori della Carta costituzionale». 

Dopo gli annunci di revisione della Carta da parte del governo postfascista in carica, v’è la piena consapevolezza che la posta in palio è talmente alta che la battaglia non può svolgersi esclusivamente sul terreno dello spazio della rappresentanza. Si avverte la necessità di una nuova resistenza, sostenuta « da una larga partecipazione dal basso, indispensabile – scrivono nel comunicato diramato il 22 dicembre scorso – per difendere e realizzare pienamente quel modello di democrazia e di società configurato dalla nostra Costituzione nata dalla resistenza antifascista, che pone alla base della Repubblica il lavoro, l’uguaglianza di tutte le persone, i diritti civili e sociali fondamentali».

La Rete, nel denunciare il tentativo di revisione costituzionale, mette in evidenza  la volontà di una restaurazione autoritaria, ovvero di un disegno organico perseguito del governo-Meloni volto allo stravolgimento radicale del suo assetto, non solo dal punto di vista sostanziale già consumato nel corso degli anni della cd. “seconda repubblica”, ma anche a livello formale sia nel riassetto degli organi previsti dalla repubblica parlamentare sia nei principi solidaristici enunciati sul “piano  socio-economico, istituzionale e culturale”, i quali soprattutto con l’introduzione dell’autonomia differenziata verrebbero totalmente cancellati.

Ad onor del vero, questa tendenza alla destrutturazione dei valori mutualistici di protezione dei  soggetti più deboli – una massa fattasi sempre più consistente, date le continue crisi susseguitesi negli ultimi decenni, e che veniva prima tutelata dalla società rettasi sul “contratto  antifascista” postbellico – è stata inaugurata da tempo con la sovrapposizione giuridica della normazione-UE che, con le sue interferenze pattizie (vedi il trattato sul Patto di bilancio europeo), ha elevato a rango di norma fondamentale il  cd. “fiscal compact”, introducendo così automaticamente in Costituzione, senza alcun processo di revisione, la regola aziendalista dell’ordoliberismo imperante: il pareggio di bilancio tra entrate\spese quale  cogenza della contabilità pubblica, sulla base del quale le politiche economiche hanno avuto l’effetto di falcidiare la gran massa di bisogni sociali, in primis quello della cura, diritto tutelato mediante il riconoscimento universale all’assistenza sanitaria.

Inoltre vogliamo ricordare l’arroganza con la quale l’Europa ha risposto alla Grecia quando chiedeva – in forza di un referendum popolare e di un suffragio elettorale che aveva portato la sinistra al governo – la rinegoziazione dei piani della famigerata Troika per il rientro dal debito sovrano. Orbene, avverso a tale richiesta, Schäuble in nome dell’UE oppose un deciso e netto rifiuto, sostenendo parimenti  la subalternità degli atti politico-giuridici degli stati membri quand’anche essi siano pure suffragati dalla volontà generale dei suoi cittadini. Veniva così sancito il diritto di sospensione de facto di ogni pretesa d’esercizio della democrazia, allorquando essa non fosse vincolata alla razionalità economica determinata dai centri decisionali della governamentalità degli apparati politico-burocratici e finanziari.

Sostanzialmente vogliamo dire che la difesa della Costituzione – non solo astrattamente intesa sul piano della forma che pure è un aspetto simbolicamente importante – passa attraverso la riapertura del dibattito pubblico europeo, con il doveroso tentativo di riaprire gli spazi ristretti in cui è stato incanalato, uscendo fuori dalla logica dominante della “guerra permanente” imposta dall’euro-atlantismo.

Detto in altri termini, è necessario ricostruire lo stesso spirito di partecipazione democratica dal basso, quello che riconosceva il sacrificio resistenziale della lotta partigiana come atto costituente del  Patto sociale repubblicano, andando però oltre l’idea confinata nello spazio dello stato-nazione, guardando bensì ad una nuova Europa come vera possibile frontiera di un sistema condiviso, di cui per un momento – eravamo ancora nel pieno della devastazione pandemica – sembrava avesse preso corpo, prima che la guerra ci ricacciasse indietro nella storia, al tempo degli stati in competizione, piuttosto che andare avanti nella costruzione della solidarietà fra le sue genti.