La Valle di Susa, con la sua gente, non starà a guardare, non accetterà ulteriori soprusi. L’8 dicembre a Venaus sarà l’occasione per dimostrare che mai nessun devastatore dell’ambiente, nessun loro sodale saranno mai i benvenuti nella terra a cui apparteniamo.
Il 21 novembre 2023 è stata la giornata mondiale degli alberi, istituita per valorizzare il ruolo fondamentale che gli alberi, i boschi e le foreste svolgono per il nostro ecosistema. In Val di Susa, provincia di Torino, dove da decenni il Movimento No Tav si oppone alla costruzione della nuova linea ferroviaria ad alta velocità Torino – Lione, gli attori del lobbistico sistema Tav hanno pensato di onorare questa giornata dedicata agli alberi disboscando un’ulteriore area di bosco secolare attigua al cantiere del tunnel geognostico di Chiomonte. Mappe catastali alla mano la distruzione ha interessato un’area boschiva secolare, una vasta area di terrazzamenti agricoli contenuti da muretti a secco e alcune costruzioni in pietra contenenti gli impianti proto industriali quali la “pesta” per la canapa e un’antica forgia.
L’intervento delle ruspe avrebbe poi coinvolto una porzione del “corridoio ecologico” creato da TELT e Università degli Studi di Torino per consentire la sopravvivenza della farfalla Zerynthia polyxena. Il volto ecologico delle due istituzioni, disegnato in comunella, è stato sfigurato dalle benne delle ruspe, giustificando una volta di più le contestazioni del Movimento No Tav, che aveva guardato al progetto di tutela come ad un’ipocrita passerella di greenwashing.
Con la loro solita spavalderia e il disprezzo che esibiscono per l’ambiente naturale e l’ecosistema, l’ampliamento dell’area di cantiere è stata resa possibile attraverso un vile stratagemma. È infatti grazie al decreto del Tribunale Ordinario di Torino, che ha posto sotto sequestro preventivo i due presidi del movimento a San Didero e a Chiomonte (i Mulini), che i devastatori della Valle hanno avuto libertà di azione, avviando le ruspe in concomitanza con l’apposizione dei sigilli e il blocco delle aree di accesso ai presidi.
Mentre polizia e operai apponevano i sigilli e stendevano la recinzione arancione da cantiere, agenti della Digos di Torino si presentavano a casa di attiviste e attivisti No Tav per notificare l’atto di sequestro preventivo. Nel decreto si legge che il sequestro si è reso necessario per evitare il reiterarsi degli attacchi ai cantieri (lanci di razzi, bengala, fuochi artificiali e petardi), indicati come condotte criminose, atti di danneggiamento e resistenza perpetrati a danno dei siti di interesse strategico nazionale. Tutte le accuse ricadono in un più ampio quadro che il Tribunale di Torino definisce di terrorismo ed eversione dell’ordine democratico.
La concomitanza di tempi e di intenti, così come il peso delle accuse, non hanno lasciato dubbi sulle reali e celate intenzioni dei promotori della linea AV fra Torino e Lione, fedelmente e solidamente appoggiati dalla Procura e dal Tribunale di Torino. Nel decreto di sequestro preventivo si legge che gli attivisti del movimento No Tav si sono avvalsi dei presidi di San Didero e dei Mulini quali basi operative per l’organizzazione di violenti attacchi ai danni dei rispettivi cantieri. I fatti riferiti in decreto sono relativi, nei tempi, agli incontri ai presidi del Movimento e di altri gruppi di attiviste e attivisti ambientali dell’estate 2023, che terminavano con le cosiddette battiture o “cacerolazo” e con altre azioni di “fastidio” ai cantieri, fra cui alcuni tentativi di divellere la concertina posta sulla recinzione dei cantieri accompagnati da lanci pirotecnici.Sulla definizione di tali azioni come “condotte criminose” e “violente” inserite in un quadro terroristico ed eversivo è questione semantica prima ancora che giuridica.
Chi da anni subisce le conseguenze di un uso arbitrario del diritto, fedelmente propenso a soddisfare le richieste e i bisogni di importanti gruppi di interesse economico, non fatica a leggere il decreto di sequestro preventivo come lo strumento più efficace e rapido per consentire l’allargamento del cantiere di Chiomonte e criminalizzare il movimento No Tav.
Un terzo obiettivo di questa operazione giudiziaria e di repressione riusciamo a leggerlo fra le righe ed è il tentativo di fiaccare gli animi e dissuadere parte del movimento a partecipare alla marcia dell’8 Dicembre. Da anni appuntamento fisso del movimento No Tav, di attivisti e attiviste della Valle o provenienti da tutta Italia e dalle regioni di confine francesi, la marcia vuole ricordare la cacciata delle imprese da Venaus che, nel 2005 e grazie all’intervento violento delle forze di polizia, avevano preso possesso dei terreni antistanti l’attuale presidio per impiantare il cantiere.
La militanza No Tav ha determinato, in ciascuno di noi, un forte senso di appartenenza, che non è né proprietà né possesso. Non è la terra della valle che ci appartiene, siamo noi ad appartenere a questo lembo di terra fra i monti, che non ha altri strumenti per difendersi se non quelli delle idee e dei corpi delle persone che lo abitano.
E questa strenua difesa l’abbiamo garantita alla terra proprio partendo dai presidi che avete sequestrato, luoghi di vera comunità, di vera democrazia, di solidarietà e comunanza di intenti.
Se la GIP ritiene di aver fatto il suo dovere, se gli agenti della DIGOS sono convinti del loro ruolo di sicurezza pubblica, se gli operai hanno fatto il loro lavoro convinti che disboscare e distruggere un territorio sia un lavoro come un altro, tutti costoro hanno scelto di stare, con indifferenza o in piena coscienza, da una parte.
Questa è la parte di chi accetta che l’ambiente e i territori che lo compongono possano essere violentati, distrutti, depredati, impoveriti nel nome di un progresso la cui misura sta nei profitti delle società private e nei conti correnti di pochi. È la parte a cui non importa se il mondo diverrà “una terra deserta e desolata” (cfr Jean Giono – l’Uomo che piantava gli alberi).
Non è la violenza poliziesca e mediatica inferta alla popolazione a far cambiare loro idea. Non è nemmeno il cambiamento climatico e i disastri ambientali che a questo si accompagnano che faranno aprire loro gli occhi. È la routine di un sistema che tutto appiattisce, che silenzia quel che risuona, che annienta chi dissente e che deve autoassolversi celando le proprie colpe e coprendo i propri misfatti.
La Valle di Susa, con la sua gente, non starà a guardare, non accetterà ulteriori soprusi.
Come ha sempre fatto, anche questa volta il Movimento si rimetterà in marcia, per ricordare e per far sì che nuovi ricordi si imprimano nell’orgoglio di “stare dalla parte giusta”. Noi sappiamo che occorrono “tanto tempo e tanta pazienza per trasformare il mondo arido e desolato, per renderlo una foresta capace di incantare” (Jean Giono). In questo tempo noi ci siamo stati, ci siamo oggi e ci saremo domani.
L’8 dicembre sarà l’occasione per dimostrare che mai nessun devastatore dell’ambiente, nessun loro sodale saranno mai i benvenuti nella terra a cui apparteniamo.
Roberto Mairone