Scrivere sullo sciopero generale soltanto oggi potrà forse apparire intempestivo ma permette alcune riflessioni che nel fuoco delle polemiche scaturite da questa azione di lotta probabilmente sarebbero state viziate dalla necessità di schierarsi.
Premetto che ho vissuto diverse precettazioni nei decenni della mia militanza nei COBAS e che quindi capisco quanto possa risultare odiosa ed autoritaria questa azione volta a limitare il diritto di sciopero, ma il punto penso che sia se e quando questa misura possa essere applicata in base alla legge 146/90 e successive modifiche e non in base al clima politico. Rischio di apparire ingenuo perché in effetti sia tutti i governi che si sono succeduti dal 1990 ad oggi sia i sindacati concertativi non hanno mai messo in dubbio la terzietà della commissione di garanzia che decide la legittimità degli scioperi anche se questa è di nomina governativa, insomma si entra con lo spoil sistem. La domanda sorge a questo punto spontanea, chi ci garantisce dai garanti? E come mai questo sistema è stato accettato dai sindacati concertativi?
A rischio di tediare il già paziente lettore è necessario proporre alcuni brevissimi cenni storici. Nel 1987 nascono i COBAS della scuola e ,a ruota, all’Alfa Romeo di Arese, il COMU nelle ferrovie, le RDB nel pubblico impiego la CUB in diverse fabbriche del nord. Sembra nascere e rafforzarsi una forte alternativa a CIGL, CISL, UIL e altri, un’alternativa fatta di lotte molto dure e incisive ma soprattutto partecipate e che portavano risultati. Insomma un vero pericolo per quegli anni ( i terribili 80) che dovevano sancire la sconfitta definitiva del movimento operaio e della cultura antagonista che lo rappresentava. La parola d’ordine di governi , padronato e ,purtroppo, sindacati era concertazione, una fase necessaria all’avvio del neoliberismo che da lì a poco ,come un rullo compressore, avrebbe schiacciato salari e diritti dei lavoratori , licenziato migliaia di operai,avviato la privatizzazione di molti servizi e di parte del patrimonio dello Stato, garantito la delocalizzazione delle imprese in nome della globalizzazione. Ovvio che un tale programma doveva necessariamente addomesticare le lotte e spuntare le armi a quei settori che volevano ostinarsi a resistere. Nel 1990, nonostante nelle categorie esistessero già i codici di autoregolamentazione, lo sciopero viene regolato per legge dopo alcuni tentativi di legalizzare il crumiraggio , in particolare nella scuola con la nomina di commissari ad acta per sabotare un blocco degli scrutini. Negli anni immediatamente successivi vengono smantellati anche il diritto di assemblea in orario di servizio nonché il diritto di partecipare alle trattative per i CCNL per quelle organizzazioni che non sono firmatarie di contratto, resta il mistero di capire come si possa firmare un contratto se ti impediscono per legge di partecipare alle trattative.
Tutte queste iniziative avranno il plauso di CGIL, CISL, UIL &co. che vedranno in questo modo salvaguardato il loro monopolio della rappresentanza, la moderazione salariale diventa il mantra. Le elezioni delle RSU nel Pubblico impiego e nella scuola nel 2001 e nelle scadenze successive non riusciranno purtroppo a modificare questo quadro. E arriviamo all’oggi; dopo oltre trent’anni di moderazione salariale ci ritroviamo con gli stipendi più bassi d’Europa, con livelli di sfruttamento da prima rivoluzione industriale, con un Welfare quasi inesistente , con una deregulation contrattuale che, in alcune categorie, ha praticamente abolito ogni tutela e con una massa di lavoratori poveri costretti in numero sempre maggiore a rivolgersi alla Caritas per andare avanti.
Di fronte a questo disastro una risposta era necessaria. E come mai non ci hanno pensato i sindacati di base? Semplice, non hanno i numeri né una presenza capillare in tutti i settori, ma soprattutto in tutti questi anni all’oggettivo moltiplicarsi dei conflitti si è contrapposta l’incapacità dei soggetti che lo agiscono a comunicare tra loro a mettere esperienze a confronto, a creare strutture comuni che li candidassero ad essere alternativa credibile ai concertativi. Questo limite non ha certo impedito che in questi anni non siano esplosi movimenti in cui soggettività diverse abbiano trovato modalità di azione comune anche innovative o non abbiano avuto la capacità di utilizzare mezzi di comunicazione tecnologicamente avanzatissimi per rompere l’isolamento mediatico, tutto ciò non è bastato comunque a formalizzare processi aggregativi che dessero anche lontanamente l’idea di una pratica duratura verso l’alternativa.
D’altronde qualche problema di credibilità tra i lavoratori riguardava anche CGIL, CISL e UIL che di fronte ad un governo di destra-destra che non ha paura di fare il lavoro sporco hanno sbraitato tanto ma senza alcuna mobilitazione che potesse impensierire l’establishment. Proclamare uno sciopero generale era quindi la cosa giusta da fare e parteciparvi un’azione necessaria per rilanciare il movimento anche se a proclamare questa azione erano, come recita un comunicato dei COBAS, gli stessi che siedono nei consigli di amministrazione dei fondi pensione imposti ai lavoratori. Ed è stata proprio la prevedibile risposta autoritaria del governo, la precettazione dei lavoratori dei trasporti e la riduzione da parte del ministro dello sciopero da ventiquattro a quattro ore, che doveva far capire a tutti che qui non erano in ballo solo rivendicazioni salariali, già di per sé importantissime, ma lo stesso diritto di sciopero, a partire dai trasporti, come testimonia quanto accaduto subito dopo con lo sciopero del sindacalismo di base indetto per il 27/11.
Certo potrebbe essere consolatorio pensare che adesso a piangere sono anche i concertativi se non fosse che a piangere siano anche questa volta i lavoratori, privati di un diritto fondamentale. Insomma un fatto gravissimo accompagnato da una serie di affermazioni della commissione di garanzia che entrava illegittimamente nel merito delle rivendicazioni e dell’articolazione dell’azione di sciopero nonché del ministro che, contrapponendo ad arte diritto alla mobilità dei cittadini e diritto di sciopero(come se i cittadini non fossero anche lavoratori) blaterava sui servizi minimi essenziali ignorando la normativa che li regola nonché le procedure di raffreddamento obbligatorie ovviamente già svolte. Sicuramente un salto di qualità che va attenzionato poiché dimostra l’intenzione da parte del governo di accelerare su una ridefinizione in senso autoritario dei diritti costituzionalmente sanciti e dei rapporti con le rappresentanze dei lavoratori. Su questo non abbiamo tempi lunghi e sono certo che qualora oggi venissero ridefinite in senso restrittivo le norme antisciopero, non basterebbe e sarebbe illusorio attendere un cambio della guardia a Palazzo Chigi per risolvere il problema poiché anche a buona parte della sinistra istituzionale non dispiacerebbe affatto un mondo del lavoro allineato e coperto.
Bisogna agire ed agire ora !
Il riscatto dei lavoratori dall’imbarbarimento delle condizioni esistenziali, nasce concretamente dalla capacità di rispondere a questi attacchi alla democrazia ed elaborare una piattaforma sociale coinvolgendo nella rivendicazione gli utenti dei servizi, le associazioni, i singoli cittadini che vogliono difendere ed allargare la gamma dei diritti di cittadinanza, dalla salute alla qualità dell’assistenza, dall’istruzione al reddito garantito, dalle condizioni dignitose di lavoro all’allargamento dei diritti dei lavoratori.
Oggi come non mai è impensabile credere di poter risolvere questa dimensione del conflitto nell’ambito della singola azienda o della singola categoria. La capacità di articolare un piano vertenziale sociale che coinvolga tutti i soggetti interessati diventa un elemento strategico. È importante creare reti che lavorino concretamente alla difesa dei beni comuni, che pongano territorialmente il problema della difesa del carattere pubblico dei servizi contro i tentativi di privatizzazione, coinvolgendo in eguale misura gli interessi dei cittadini, delle associazioni e dei lavoratori.
È solo da queste reti che può nascere un movimento di lotta, in grado di comunicare con la gente e di incidere nelle scelte delle controparti, di indicare con continuità mobilitazioni e rivendicazioni. Forse la ricerca di questo terreno di comunanza d’interessi tra lavoratori e utenti può costituire anche un terreno su cui sperimentare forme di organizzazione e relazione sociale differente, la riscoperta di un mondo dove la solidarietà collettiva rappresenta un’alternativa concreta alla mercificazione e allo sfruttamento.