Il totale dei redditi prodotti nel 2021 e dichiarati nel 2022 ai fini IRPEF è pari a 894,162 miliardi di €, per un gettito IRPEF generato di 175,17 miliardi di € (157 per l’IRPEF ordinaria; 12,83 per l’addizionale regionale e 5,35 per l’addizionale comunale), in crescita rispetto ai 164,36 miliardi dell’anno precedente. Quelli che dichiarano sono 41,497 milioni ma quelli che versano, ovvero coloro che pagano almeno 1 euro di IRPEF, sono solo 31,366 milioni, per cui ad ogni contribuente corrispondono 1,427 abitanti. E’ quanto emerge (da pag.71) dalla settima edizione del Rapporto “La Regionalizzazione del Bilancio Previdenziale italiano” del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali che ha elaborato dati MEF e Agenzia delle Entrate (il rapporto si occupa nella prima parte del “saldo previdenziale” cioè la differenza in positivo o negativo tra le entrate contributive e le uscite per prestazioni ed il relativo tasso di copertura, su cui potrebbe essere utile ritornare specificamente).
Dalla distribuzione geografica dei versamenti IRPEF risulta che il Nord contribuisce per 100,6 miliardi, pari al 57,43% del totale, il Centro con 38,2 miliardi pari al 21,83% del totale, mentre il Sud porta in dote 36,3 miliardi, pari al 20,74% del gettito complessivo. Con poco meno di 10 milioni di abitanti, la Lombardia versa 40,3 miliardi di IRPEF, un importo maggiore dell’intero Sud del Paese, che ha una popolazione più del doppio, ed anche superiore a quello dell’intero Centro (11,8 milioni di abitanti). Dopo la Lombardia troviamo l’Emilia-Romagna con 16,3 miliardi di imposta versata, il Veneto con 15,8 miliardi e il Piemonte con 14,9 miliardi. Al Centro, con l’esclusione del Lazio, che beneficia di tutte le attività accentrate dello Stato, la Toscana contribuisce con 11,6 miliardi di gettito (+7,2% rispetto al 2020), mentre al Sud Campania, Sicilia e Puglia, ovvero le regioni più popolose, versano rispettivamente 10, 8,1 e 7,2 miliardi. Particolarmente interessante è rapporto tra contribuenti/versanti e popolazione: confrontando il numero dei contribuenti con quello degli abitanti, risulta che al Sud a ogni singolo contribuente corrispondono 1,61 abitanti, 1,4 al Centro e 1,33 al Nord.
E’ del tutto evidente come tutti questi dati siano la diretta conseguenza del minore tasso di occupazione nelle regioni meridionali: al Nord i contribuenti sono il 75% della popolazione ma quelli che versano almeno 1 euro di IRPEF rappresentano il 60%, al Centro i contribuenti rappresentano il 71,5% della popolazione ma i versanti solo il 54,7%, mentre al Sud la quota di contribuenti è pari al 62,3% ma solo il 42,19% dichiara un reddito positivo. L’ammontare del versamento IRPEF pro capite conferma questa enorme differenza territoriale: l’importo è di 6.098 € al Nord, 5.932 € al Centro e 4.313 € al Sud.
Per quanto riguarda la singola regione, il versamento pro capite vede sempre in testa il Lazio con 6.867 € (la regione è sede di istituzioni, italiane e straniere e del Vaticano), seguono la Lombardia con 6.837 €, la provincia autonoma di Bolzano con 6.080 €, l’Emilia-Romagna, il Piemonte, la Liguria il Veneto e la Toscana con più di 5.000 € circa. Analizzando imvece il gettito per fasce di reddito emerge che: i dichiaranti redditi fino a 15.000 € rappresentano al Nord il 35,95% del totale e il 27% degli abitanti, al Centro rispettivamente il 41,9% e il 29,8% degli abitanti e al Sud il 54,1% e il 33,7%; i contribuenti con redditi da 15.000 a 29.000 € sono per il 38,75% del totale e il 29,1% degli abitanti residenti al Nord; il 34,7% e 24,8% rispettivamente per il Centro con il Sud fermo a 29,8% e 18,6%; per la fascia con redditi tra 29.000 e 55.000 € troviamo il Nord con il 19,34% di contribuenti e 14,52% di cittadini, il Centro con il 17,8% e 12,7% e il Sud che si stacca ancor più con il 13,1% e l’8,1%; per la fascia con redditi fra 55.000 e 100.000 € troviamo al Nord il 4,24% di contribuenti, pari al 3,2% della popolazione, al Centro il 4,1% e 2,7% mentre al Sud il 2,3% e 1,4%; per i redditi oltre i 100.000 €, infine, l’1,72% e l’1,29% al Nord, l’1,56% e l’1,11% al Centro mentre il Sud segna lo 0,72% e lo 0,45%.
La situazione non cambia anche per le altre principali imposte dirette e indirette, tra cui l’IVA, che dopo l’IRPEF contribuisce fortemente alle entrate del bilancio statale. Il gettito relativo all’anno di imposta 2021 e dichiarato nel 2022 è di 130,995 miliardi di €, con il Nord, il cui volume d’affari è pari al 62,80% del totale, che versa il 63,66% dell’intera imposta; il Centro con il 23,37% di imponibile versa il 25,16%, mentre il Sud con un imponibile del 12,04%, corrisponde il 10,33% di tutta l’IVA.
In questo caso non può essere comunque trascurato l’elevato livello di sommerso: il Nord con 27.486.438 di abitanti ha un pro capite di 3.034,10 €, il Centro con 11.786.952 di abitanti versa 2.796,11 € per cittadino mentre il Sud, con 19.962.823 di abitanti, versa un’IVA pro capite di appena 677,56 €. Come si sottolinea nel Rapporto: “l’Istat valuta per il 2020 il totale di “dichiarazioni volutamente errate al fisco, lavoro irregolare e attività criminali (spaccio di droga, traffici illeciti di armi e altro, contrabbando di sigarette e prostituzione), affitti in nero, lavoro domestico irregolare”, la cosiddetta economia sommersa o non osservata” a 174,6 miliardi intorno al 10,56% del PIL rispetto ai 183,9 miliardi del 2019 pari al 10,2%.”
Da questo Rapporto emerge che: “Siamo un Paese di poveri: se solo 31,366 milioni di cittadini su 59,236 milioni di abitanti presentano per il 2021 una dichiarazione dei redditi positiva, significa che il 47% degli italiani non ha redditi e di conseguenza vive a carico di qualcuno, percentuale rilevante nonostante il calo della popolazione ed atipica per un Paese del G7”. Non solo, ma ancora una volta si disegna il ritratto di un Paese profondamente spaccato, con un Nord sviluppato, un Centro che gli va dietro – trainato soprattutto dal Lazio – e un Sud povero. Un’emergenza che di anno in anno sembra sempre più acuirsi.
Ed anche il recente Rapporto annuale sulle economie regionali della Banca d’Italia conferma l’acuirsi di tale divario: “Gli andamenti recenti, generalmente più favorevoli per le regioni centro-settentrionali, non sembrano prospettare un ridimensionamento dei differenziali tra aree nell’anno in corso”.
Nella premessa del 7° Rapporto del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali si richiama quanto veniva evidenziato anni addietro, quando si ammoniva che: “se il Sud non si sviluppa tutto il Paese andrà incontro a pesanti difficoltà poiché né il Nord né l’Unione Europea potranno più fornire le risorse necessarie per garantire a quelle zone del Paese livelli accettabili di sviluppo”. Passano gli anni ma la situazione non è affatto migliorata. Di fronte a tale situazione c’è da domandarsi se la priorità di questo Paese sia il disegno di legge governativo attualmente in discussione al Senato sulla cosiddetta Autonomia differenziata, che potrebbe aprire la strada alla concessione di poteri molto maggiori e di risorse finanziarie assai rilevanti alle regioni che hanno avanzato la richiesta di autonomia differenziata, aumentando ancora di più le differenze territoriali, minacciando l’unità sostanziale del nostro Paese e alimentando quella che Gianfranco Viesti ha definito la “secessione dei ricchi”.
Qui il Rapporto completo