Con la vittoria della destra alle elezioni politiche del 2022 era lecito aspettarsi la definitiva cancellazione di quello che restava del modello svedese. Indubbiamente il governo di Ulf Kristersson punta tutto sulla terna: legge e ordine, giro di vite sull’immigrazione e atlantismo (peraltro in continuità con i precedenti governi socialdemocratici), tentando di trasformare irreversibilmente la cultura politica del paese, anche attraverso ripetuti attacchi al pensiero critico in generale, inclusa la mobilitazione per la giustizia climatica. Tuttavia in settori chiave come la privatizzazione dei servizi e il mercato del lavoro si sono aperte, nelle ultime settimane, delle crepe piuttosto vistose nell’idolatria del mercato.
Il primo mutamento di rotta riguarda i treni pendolari di Stoccolma, che collegano il capoluogo con gli altri comuni della provincia. Negli ultimi anni i loro standard sono drasticamente calati, per i continui rallentamenti, o addirittura cancellazioni, imputabili a guasti tecnici di vario tipo e, d’inverno, al gelo (un fenomeno non insolito, nel Nord Europa…). La solita inefficienza del pubblico? No, perché nel 2017 la gestione di questi treni è stata appaltata a una multinazionale cinese, la MTR, che, con il via libera delle amministrazioni locali (tradizionalmente di centrodestra), si è preoccupata solo di risparmiare. Come? Riducendo le spese per la manutenzione e al contempo deteriorando le condizioni di lavoro dei e delle dipendenti. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la decisione di liquidare il personale addetto alla sicurezza, incaricato di controllare che tutto sia in ordine prima che il treno riparta, assicurandosi, ad esempio, che le/i disabili, o le famiglie con bambinɜ, abbiano il tempo necessario per salire a bordo. È della sicurezza di chi viaggia che si parla, non di compiti polizieschi.
Quando, a marzo, il numero di treni dotati di addettɜ alla sicurezza si è dimezzato, le assenze per malattia dei/delle conducenti si sono impennate, per effetto dello stress generato dalla responsabilità esclusiva della sicurezza di chi viaggia. Si noti che in questo caso la SEKO, la federazione della LO (Confederazione generale del lavoro) competente, avvertendo il rischio di uno sciopero al di fuori del suo controllo ha richiamato all’ordine, ricordando come il modello svedese si regga sulla contrattazione collettiva e non sugli scioperi selvaggi (le stesse parole usate da un dirigente di MTR!). Lo sciopero tuttavia c’è stato e per tre giorni (17-19 aprile) ha paralizzato il traffico ferroviario nell’area metropolitana di Stoccolma. Nonostante i disagi, i lavoratori e le lavoratrici che hanno aderito (un centinaio circa) hanno ricevuto attestati di solidarietà di moltɜ utenti. Mentre chi aveva scioperato veniva citato in giudizio dalla MTR, la rete dei treni pendolari collassava; era diventato impossibile pianificare le attività della vita quotidiana e anche il turismo e gli eventi internazionali subivano un danno di immagine.
Finalmente, la giunta regionale (di centrosinistra) ha deciso, il 1° novembre, di rescindere in anticipo il contratto con MTR (la scadenza prevista era nel 2026), perché la multinazionale non è stata in grado di assicurare il servizio; a ciò si aggiunge una penale di poco meno di 70 milioni di euro che MTR dovrà pagare alla regione. Dopo che il privato ha mostrato tutti i suoi limiti nell’erogazione di un servizio pubblico, la gestione del traffico pendolare di Stoccolma è stata affidata a SJ (Ferrovie svedesi), una compagnia di Stato.
La seconda crepa sta avendo un rilievo internazionale perché coinvolge la Tesla, l’azienda di Elon Musk che produce auto elettriche. Leggendo il suo sito, si ha l’impressione che dovrebbe essere il personale a pagare il datore di lavoro, non viceversa, tante sono le meraviglie promesse a chi ha la fortuna di essere assuntǝ: sicurezza, Welfare aziendale, sconti, aggiornamento continuo, ecc. Tra questi doni però non figura il contratto collettivo; uno “stile” poco apprezzato dal movimento operaio svedese. Nel paese nordico Tesla non ha stabilito impianti, ma solo officine, ed è appunto in alcune di queste, sparse in tutto il territorio nazionale, che il 27 ottobre è entrato in azione (a differenza di quanto accaduto con i treni) il sindacato. Circa 130 dipendenti, iscrittɜ alla potente Federazione dei metalmeccanici (IF Metall) hanno deciso di scendere in sciopero. È la prima volta nel mondo che Tesla viene sfidata apertamente dal sindacato e gli attestati di solidarietà non si sono fatti attendere. In Svezia, diverse federazioni sindacali hanno appoggiato lo sciopero non solo a parole. La Federazione dei portuali ha annunciato che nei quattro maggiori porti commerciali della Svezia si asterrà dal consegnare i veicoli Tesla; la Federazione dei decoratori dal canto suo non vernicerà le auto. La segretaria della Federazione dei e delle dipendenti delle comunicazioni, Gabriella Lavecchia, comunicando il blocco delle spedizioni dei componenti auto alle officine del gruppo, ha dichiarato: “Tesla e il suo proprietario, Elon Musk, si rifiutano di firmare un accordo collettivo e di seguire le regole del gioco in vigore nel mercato del lavoro svedese; la lotta di IF Metall è anche la nostra lotta. Rifiutandosi di sottostare alle regole del gioco in Svezia Tesla tenta di procurarsi un vantaggio competitivo con dei livelli salariali e delle condizioni di lavoro peggiori di quelli che varrebbero con un contratto collettivo. Questo è totalmente inaccettabile”.
Dal 7 novembre lo sciopero in Svezia si è esteso ad altre officine; contemporaneamente, il malcontento verso i metodi di Musk si allarga alla Germania, dove un dirigente di IG Metall, Dirk Schulze, ha espresso la solidarietà della sua organizzazione ai/alle compagne svedesɜ, mostrandosi convinto che in Svezia come in Germania come negli Stati Uniti sia solo questione di tempo, prima che le e i dipendenti della Tesla si organizzino “per ciò che sanno essere giusto e per ciò di cui hanno bisogno per condurre una vita dignitosa”.
Se in queste vertenze a opporsi all’arroganza dei privati sono statɜ lavoratrici e lavoratori (con una mobilitazione dal basso che ha coinvolto anche l’utenza, nel caso dei treni, con uno sciopero indetto dal sindacato, nel caso di Tesla), scalpore ha destato la presa di distanza dal fenomeno delle scuole private da parte della ministra dell’istruzione, Lotta Edholm, esponente del Partito liberale. La privatizzazione del sistema educativo svedese non ha eguali in Europa e pochi nel mondo; i guasti sono denunciati ormai da anni, ma a rendere il dibattito incandescente ha contribuito un rapporto del principale sindacato del corpo insegnante (Sveriges Lärare) uscito a giugno, significativamente intitolato “Scuola: conoscenza o servizio clienti?”. La logica del mercato ha introdotto il criterio della “soddisfazione del cliente” (alunnɜ e famiglie) come fattore competitivo, con ripercussioni sia sul ruolo del personale docente, snaturato, sia sulla qualità dell’apprendimento che viene trasmesso. Benché siano finanziate dallo Stato, le scuole-azienda si sottraggono al controllo delle autorità educative, diventando zone franche in cui i finanziamenti statali sono utilizzati per ricavare profitto da un diritto fondamentale, quello all’istruzione. Un meccanismo perverso, che contribuisce al crollo della Svezia nelle classifiche internazionali sull’apprendimento e all’aumento delle diseguaglianze sociali, con la demarcazione tra scuole bene (dove non ci sono migranti, possibilmente) e scuole “degradate”.
Di questo rapporto, una sorta di De profundis per il sistema educativo svedese, la ministra Edholm riprende la conclusione più allarmante: il problema non sta nel cattivo funzionamento di alcuni istituti, è l’intero sistema a essere fallito. Urge quindi un cambiamento radicale, che scinda gli imperativi del mercato dai diritti delle persone. Che sia un’esponente del governo più a destra nella storia della democrazia svedese a far esplodere lo scandalo rappresenta un ulteriore smacco per il Partito socialdemocratico, che sul tema ha prodotto molte chiacchiere ma nessuna misura che potesse disturbare gli imprenditori dell’istruzione.