Il 4 novembre a Palermo, come in tante altre città d’Italia, centinaia di manifestanti sono scesi in piazza al grido: “il 4 novembre non è la nostra festa”

Con appuntamento a Piazza Pretoria, un folto corteo si è snodato per le vie del Cassaro fino a Piazza del Parlamento, sede del Comando Militare Esercito “Sicilia”. La manifestazione contro la militarizzazione è stata caratterizzata dall’attualità del massacro che sta coinvolgendo la striscia di Gaza in Palestina, dove oltre alle enormi distruzioni materiali si registrano più di 10.000 morti fra i civili palestinesi. Una forte denuncia è stata gridata a gran voce contro i criminali attacchi alle infrastrutture civili, alle scuole, alle università, ai campi profughi, agli ospedali, alle ambulanze. Attacchi che si configurano come crimini di guerra contro l’umanità perpetrati dall’esercito israeliano sotto gli ordini del Governo Netanyahu.

Numerosi interventi dal microfono hanno messo l’accento sulla complicità dell’Occidente e del Governo Italiano nel sostegno alla politica di pulizia etnica che da 11 anni viene portata avanti dai governi a guida Netanyahu, politica che ha permesso l’insediamento di oltre 700.000 coloni israeliani armati nella West Bank, riducendo notevolmente le aree sotto la giurisdizione ANP di Ramallah e rendendo impraticabile la realizzazione di una vera e reale entità autonoma palestinese.

Le politiche degli Stati-nazione e degli Stati-confessionali sono l’humus su cui cresce l’intolleranza e la volontà di guerra. Oggi, come accadde ieri, sia nel 1914 sia nel 1939, siamo in presenza dello scontro fra Stati nazione che hanno bisogno della guerra per espandersi e per imporre il proprio dominio capitalista, soffocando l’autodeterminazione dei popoli e schiacciando le etnie ritenute “diverse”.

In questo quadro di dura attualità il sistema militare italiano è strettamente impegnato con la sua industria bellica nel sostegno all’esercito ebraico: la Leonardo spa è direttamente presente in Israele nella gestione del sistema radar e nella fornitura di sistemi di difesa e di offesa. Scandalosa è stata l’astensione dell’ambasciatore italiano alle Nazioni Unite sulla risoluzione che chiedeva l’immediato cessate il fuoco in Palestina.

La manifestazione di Palermo ha, inoltre, fortemente criticato la vulgata retorica con la quale l’Esercito italiano viene presentato come il vincitore della Grande Guerra e come pilastro dell’unità nazionale, dimenticando l’inutilità degli interminabili combattimenti fra ’15 e ‘18, i crimini perpetrati dalle truppe, sia nella Grande Guerra sia durante il secondo conflitto mondiale sul fronte nordafricano, soprattutto in Etiopia e in Libia.

Quest’anno, più degli altri anni, è stata alta l’indignazione nel contestare i festeggiamenti per le Forze Armate italiane in una data (il 4 novembre, anniversario del 1918 ossia dell’armistizio) che dovrebbe essere ricordata come esito di eventi luttuosi. L’inutile guerra ‘14-‘18 (per l’Italia ‘15-‘18) ha registrato più di 17.379.773 vittime di cui 7.081.074 civili1. Gli italiani periti durante la Grande Guerra furono 709.000 militari   e almeno 589.000 civili.  Non si può sottacere che nel lontano 1915 a determinare l’entrata in guerra dell’Italia fu la borghesia industriale capitalista che spinse il Re Vittorio Emanuele III e il gruppo dirigente liberale, appoggiati da una élite di intellettuali interventisti, a lasciarsi coinvolgere, contro l’impero Austro/Ungarico, nell’ “inutile strage”. Si pensi che i volontari italiani nella Grande Guerra furono appena 8171.

Il movimento anarchico e il Partito Socialista Italiano (in misura più moderata: “né aderire né sabotare” era il motto) furono le componenti principali del rifiuto della guerra. La propaganda antimilitarista produsse un vasto dissenso all’interno delle forze armate. Furono denunciati 870.000 militari, 470.000 per renitenza, 350.000 il numero dei processi celebrati, 170.000 le condanne, di cui 111.000 per diserzione. 220.000 condanne a pene detentive, tra le quali 15.000 all’ergastolo. Oltre 4.500 furono le condanne a morte eseguite.

Già nel giugno del 1914 era scoppiato un vasto movimento insurrezionale su posizioni antimilitariste. Ancona fu incendiata dalla “settimana rossa”. Ci furono scontri, moti di piazza, feriti e morti e le masse operaie guidate dagli anarchici e in parte dai socialisti si contrapposero agli apparati repressivi dello Stato. Il movimento chiedeva l’abolizione delle durissime Compagnie di Disciplina nell’Esercito e la liberazione di Augusto Masetti e Antonio Moroni, due soldati che si erano opposti alla guerra di Libia.

Tra il dicembre del 1916 e l’aprile del 1917 ci furono oltre 450 agitazioni sindacali per dire no al conflitto, 100.000 lavoratori furono coinvolti, le denunce superarono il numero di 2300, 4000 gli arresti per sovversione. Le agitazioni furono in larga parte condotte dalle donne, che nelle fabbriche avevano preso il posto degli uomini al fronte. Il 16 luglio del 1917 ci fu anche l’ammutinamento della “Brigata Catanzaro”, che si concluse con la decimazione e la fucilazione di 28 soldati senza processo. Infatti le punizioni e le pene per chi disertava o si ribellava erano durissime: carcere, fucilazione, internamento nei manicomi. Spesso senza alcun processo. “Il superiore – si legge in una circolare firmata da Cadorna – ha il sacro potere di passare immediatamente per le armi i recalcitranti e i vigliacchi”. Il generale che mandò tanti giovani al massacro arrivò a parlare di “nemico interno” e utilizzò il dissenso per coprire le proprie responsabilità rispetto all’andamento disastroso del conflitto2.  

Per queste ragioni la manifestazione del 4 novembre a Palermo si è conclusa con un microfono aperto davanti ai locali del Comando Militare Esercito “Sicilia”, denunciando anche la crescente presenza delle Forze Armate nelle scuole, con i progetti scuola-lavoro svolti in caserma. Si è altresì denunciato il ruolo strategico delle basi militari di Sigonella, Niscemi (MUOS), Birgi e Augusta che svolgono un ruolo attivo e di sostegno sia per le azioni di guerra in Medio Oriente sia in Ucraina.

 1) fonte: Università agli Studi di Udine
 2) da: “Gli ammutinati delle trincee” di Marco Rossi