Anche Alcamo per la Palestina martoriata. Venerdì sera al Centro Congressi Marconi un incontro promosso da “Terra Insumisa” per ascoltare la testimonianza di Claudio Tamagnini, attivista di ISM (International Solidarity Movement), di ritorno dalla Cisgiordania, e di Antonio Mazzeo, giornalista e ricercatore.
Vito Raspanti, di Terra Insumisa, ha introdotto ricordando come la lotta per la libertà del popolo palestinese si inserisca nel quadro globale delle lotte di liberazione dei popoli di cui quella zapatista, in Messico, è una delle più attive.
Claudio Tamagnini ha alle spalle una lunga storia di permanenza in Cisgiordania e di campagne di supporto ai contadini che subiscono continue aggressioni da parte dei coloni israeliani. I coloni stanno da decenni usurpando i terreni palestinesi con il pretesto di non riconoscere le certificazioni di proprietà, alcune delle quali risalenti all’Impero Ottomano. Sono ormai innumerevoli gli insediamenti illegali stabili e gli sconfinamenti di bestiame che danneggiano, spesso irrimediabilmente, le coltivazioni (le vacche dei coloni pascolano sui terreni palestinesi mangiando i germogli degli ulivi ed altro). I volontari di ISM da anni con la loro presenza fanno da scudo in particolare durante il raccolto, rischiando talvolta in prima persona. Ma dal 7 ottobre nessun raccolto è stato possibile. Claudio si trovava nella zona di Ramallah ed è stato testimone delle aggressioni che si sono moltiplicate da parte dei coloni con sassi, pugnali, armi, con la copertura dell’esercito regolare (oltre 400 uccisioni) e gli arresti ingiustificati di 2000 persone (‘detenzione amministrativa’ senza accuse, una pratica ampiamente usata da Israele in tutto il territorio).
Claudio ha voluto innanzi tutto fornire il quadro storico in cui si inseriscono le ultime vicende, ricordando come in terra di Palestina abbiano per secoli convissuto ebrei, arabi, beduini, drusi ed altri. Convivenza sconvolta poco più di un secolo fa dall’arrivo dei sionisti ashkenaziti provenienti dall’Europa centro-orientale, che hanno da subito proclamato la loro superiorità sugli ebrei sefarditi, da secoli insediati in Nordafrica e Medio Oriente dopo la cacciata dalla Spagna da parte dei re cattolici.
Una recente legge proclama Israele ‘Stato ebraico’, quindi essenzialmente teocratico, dando pienamente adito alla ‘confusione’ che spesso si riscontra tra antisionismo e antisemitismo. Uno Stato in cui si incontrano gli interessi dei bianchi sionisti con gli interessi occidentali, come si può rilevare dall’attuale conflitto, in cui Israele sta ottenendo il sostegno concreto di USA ed Europa.
L’azione di Hamas – che ha colto di sorpresa il potentissimo apparato militare israeliano – si inserisce in una guerra di liberazione che dura da 75 anni e non è quindi da considerarsi come un attacco del tutto gratuito. Secondo le informazioni disponibili (non di fonte israeliana) “i combattenti di Hamas erano usciti da Gaza con l’obiettivo di catturare ostaggi nei 22 kibbutz che si trovano oltre il muro di separazione che isola completamente la Striscia, allo scopo di farne scambio con le migliaia di prigionieri (molti dei quali minorenni) rinchiusi nelle prigioni israeliane. L’aspettativa era di ingaggiare un conflitto a fuoco con i militari, la cui presenza si è rivelata sorprendentemente molto ridotta. Si è presentato invece un gigantesco rave party e molte delle vittime civili, per ammissione di Israele, sono state causate da elicotteri israeliani.” Altre violenze sui civili sono testimoniate da fonti israeliane che necessitano di una verifica indipendente [come richiesto da vari stati, dall’ONU e anche dallo stesso Hamas ndr]
Cosa è accaduto dopo? Claudio ricorda che così come i nazisti usavano praticare le ‘decimazioni’, oggi le antiche vittime hanno atteso di uccidere civili palestinesi nella stessa proporzione (anzi superiore: i morti accertati sono ormai oltre 15.000, di cui 5000 bambini…) prima di concedere una tregua per lo scambio degli ostaggi [in proporzione 1:3 ndr].
Nel frattempo Gaza è stata quasi completamente rasa al suolo, come mostrano le riprese aeree di fonte spagnola mostrate ad un pubblico attonito. In un altro video si sono visti i sopravvissuti emergere dalle macerie di uno dei bombardamenti più pesanti, quello del 27 ottobre. Infine, in un video girato da una volontaria danese che è stata successivamente arrestata e poi espulsa, si è vista la città di Hebron, nel sud della Cisgiordania. Qui la popolazione era una volta estremamente mista e amalgamata, oggi invece vi si trova l’unico esempio di insediamento ebraico ‘all’interno’ di una città araba (divisa dal 1994, data di uno dei tanti massacri, in due zone: Hebron e H2). L’accesso alla città è condizionato al passaggio da innumerevoli check point dove avvengono prevaricazioni e violenze. A descrivere la situazione è, nel video, un veterano israeliano del gruppo Breaking the silence, nato per denunciare le prepotenze del proprio esercito. Una delle strade più vivaci della città, Shuhada street, la via dei martiri, è oggi un passaggio fantasma, da quando tutte le botteghe sono state costrette a chiudere ed è presidiata da soldati armati. Un esempio del clima in cui vive la popolazione del West Bank (Cisgiordania), territorio ufficialmente palestinese ‘rosicchiato’ da innumerevoli colonie israeliane, che prosperano nell’impunità più totale.
Claudio ci tiene a sottolineare che qualsiasi prevaricazione e violenza subisca, il popolo palestinese è sempre pronto a resistere e a reagire: cacciati dalle case vanno a vivere nelle grotte, dove è vietato andare con l’auto vanno con gli asini. Ma non si rassegnano a lasciare le loro terre a Israele.
L’intervento di Antonio Mazzeo, giornalista e peace-researcher, da anni attento osservatore della progressiva militarizzazione dei territori e del florido business delle armi, punta dritto alle responsabilità italiane nei conflitti in corso e in quello in Palestina in particolare. Il legame di collaborazione tra Italia e Israele è ben radicato sia sul piano economico sia su quello militare. È stato appena concluso un accordo con ENI per l’estrazione di idrocarburi davanti le coste ‘israeliane’ [quelle stesse coste da cui i pescatori di Gaza non possono allontanarsi per pescare senza essere mitragliatindr]. Molto lucrosi gli interscambi di mezzi e dotazioni militari: l’Italia fornisce a Israele gli elicotteri per l’addestramento nella base di Beersheva, deserto del Negev, e i caccia ora usati per la distruzione di Gaza. Protagonista la Leonardo, società pubblica italiana. Ma più del doppio delle vendite è l’ammontare degli acquisti. L’Italia è il maggior acquirente di missili spike (400 milioni di euro) da montare su aerei, navi e mezzi terrestri, del tipo di quelli attualmente utilizzati nel massacro di Gaza. E di droni, che Israele sta mettendo in vetrina con il resto della sua produzione bellica in una ‘Fiera di morte’ che non ha eguali.
Ma c’è di più: aerei Gulf stream, di produzione USA ma con apparecchiature israeliane, sono in dotazione all’Aeronautica Militare di Pratica di Mare, da cui partono per missioni di intelligence nella guerra Russia-Ucraina. E Sigonella, in Sicilia, è base di transito degli aerei americani carichi di armi che, provenienti dalla base di Ramstein, in Germania, proseguono per Beersheva. Sempre da Sigonella decollano i droni Global Hawk, che effettuano operazioni di intelligence, ovvero individuano a Gaza i ‘target’ (obiettivi affollati di civili) che verranno poi colpiti con droni o cacciabombardieri.
Non dimentichiamo che il nostro ‘partner’ è una potenza nucleare con 200 testate (mai dichiarate) e che un eventuale allargamento del conflitto in M.O. coinvolgerebbe un’altra potenza nucleare, l’Iran. L’ orologio che misura l’avvicinarsi di una guerra nucleare era a 90” dalla ‘mezzanotte’ già prima del 7 ottobre…
Numerosi sono gli accordi tra università. Un esempio tra i tanti: quello per la produzione di pioggia artificiale tra Università di Catania e Tel Aviv, un ateneo modello bellico, che prevede sconti sulle tasse agli/alle studenti che accettano di andare a combattere. E ancora, la collaborazione in campo sportivo: nonostante la Federazione Internazionale proibisca ai paesi in guerra di prendere parte a competizioni, Israele partecipa agli Europei di calcio (pur essendo un paese asiatico!!).
Secondo un rapporto di intelligence mai smentito – continua Mazzeo – esiste un Piano israeliano (antecedente al 7 ottobre) di sgombero totale di Gaza per creare un immenso campo di rifugiati nel Sinai, pari a quelli creati in Libano (presenti dal ’48) e in Giordania (dal ’67). Anche questi spesso bersagli di operazioni di sterminio come quello di Sabra e Shatila del 1982, effettuato con la complicità di Israele.
Ricordano tutti i relatori che violenza riproduce violenza. E quella – indiscriminata – di Israele prepara un futuro ancora più cupo. Che fare per fermarla? Diversi sono i passi che può fare anche la gente comune qui in Italia: fare pressione su enti e istituzioni perché sospendano la collaborazione con Israele; boicottare le merci prodotte da Israele (con la campagna BDS -Boicottaggio Disinvestimento e Sanzioni); lottare contro la militarizzazione dei territori e la ‘normalizzazione’ della guerra che sta avvenendo anche nelle nostre scuole; fare informazione sul fatto che la fiorente industria degli armamenti del nostro paese apporta solo lo 0,5 per cento del PIL. E che le spese militari (1 miliardo e mezzo solo per le missioni internazionali, oltre al resto) sottraggono risorse a istruzione e sanità (l’ospedale di Alcamo è carente di attrezzature e perfino di acqua da bere per i/le pazienti!).
Importante anche valorizzare le iniziative culturali che si svolgevano prima di questa fase della guerra: “Gaza free style”, che univa arte e sport, la scuola di hip hop, [le palestre di “boxe contro l’assedio”ndr] … E promuovere la ‘pratica dell’incontro’, come in questo evento di Alcamo. Cercando di seguire l’appello di Vittorio Arrigoni: “RESTIAMO UMANI”, in un mondo in cui le bambine della Cisgiordania – riferisce Luisa Pirola – la mattina chiedono alla mamma: “Oggi c’è scuola o c’è la guerra?”