La Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il Primo Ministro albanese Edi Rama hanno firmato un protocollo d’intesa in materia di gestione dei flussi migratori. L’accordo permetterà all’Italia di costruire in Albania due centri in cui inviare i migranti soccorsi nel Mediterraneo. Le strutture avranno una capienza iniziale di 3.000 persone, «che rimarranno il tempo necessario per espletare le procedure delle domande di asilo ed eventualmente rimpatrio», ha dichiarato Giorgia Meloni. Con il protocollo d’intesa firmato a Palazzo Chigi il governo italiano cerca di mettere pressione all’Unione Europea – lontana dal varo di misure concrete in materia migratoria – rivolgendosi a un partner «che risponde presente quando può dare una mano», come sottolineato da Edi Rama.
A 32 anni dai celebri scatti di Luca Turi che immortalarono lo sbarco di 20mila albanesi a Bari, Roma e Tirana hanno firmato un accordo che ribalterà il verso di quella tendenza. Infatti, secondo gli auspici del governo Meloni, a partire dalla prossima primavera migliaia di migranti soccorsi nel Mediterraneo saranno trasferiti in Albania, nelle due strutture che Roma costruirà a proprie spese. Una fungerà da centro di prima accoglienza, in cui saranno smaltite le procedure di sbarco e identificazione e verrà realizzata nel porto di Shengjin; l’altra – «sul modello CPR (centri di permanenza per i rimpatri)» – ospiterà a Gjader i migranti fino all’accettazione della richiesta di asilo o al rimpatrio. Si parla di una capienza iniziale di 3000 persone; «numeri» che la presidente del Consiglio spera di considerare «come mensili», il che vorrebbe dire raggiungere «un flusso annuale di 36mila persone».
Il protocollo d’intesa firmato con Tirana interesserà i migranti soccorsi da navi italiane, come quelle della Marina o della Guardia di finanza, che non sbarcheranno in uno dei porti del nostro Paese. L’obiettivo di Palazzo Chigi è chiaro: far processare all’Albania le richieste di asilo dei profughi. Un cambio di strategia dovuto al braccio di ferro perso con il diritto internazionale, secondo cui un migrante deve presentare l’istanza di protezione nel primo Paese di approdo. Quest’ultimo è inteso come lo Stato in cui avviene lo sbarco e non come lo Stato di bandiera delle Ong, posizione che invece sosteneva parte dell’esecutivo.
Esattamente un anno fa, il Ministro degli Interni Matteo Piantedosi dichiarava che i Paesi di cui battono bandiera le imbarcazioni delle Ong dovrebbero «farsi carico dell’accoglienza» dei migranti soccorsi, poiché quest’ultimi hanno «messo piede per la prima volta» proprio in quei Paesi, salendo sulle navi. Idea supportata anche dal Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini. A un anno di distanza, la posizione del governo si è a quanto pare ribaltata. Per evitare altri scontri con il diritto internazionale, l’esecutivo ha precisato che la possibilità del trasferimento in Albania non interesserà i migranti soccorsi in mare dalle organizzazioni non governative. Verso queste ultime continua comunque il tentativo di delegittimazione, iniziato a dicembre con il varo di un apposito decreto-legge.
Nel suo discorso a Palazzo Chigi, la Presidente del Consiglio ha precisato che i trasferimenti non riguarderanno «i minori, le donne in gravidanza e gli altri soggetti vulnerabili» e che le due strutture avranno giurisdizione italiana. In conferenza stampa non sono poi mancate le stoccate agli alleati dell’UE: «Considero questo un accordo di respiro europeo, che dimostra che si può collaborare sul fronte della gestione dei flussi migratori». Edi Rama ha parlato di «debito verso l’Italia», in riferimento all’accoglienza degli anni ‘90, citando una certa affinità «storica e culturale» tra i due Paesi. C’è dell’altro: l’Italia è il primo partner commerciale dell’Albania, dove conta 2.675 imprese attive, costituendo una fetta importante del sistema produttivo e occupazionale albanese. Se è vero che a pensar male si fa peccato ma spesso ci si indovina, non dovrebbe stupire un futuro rafforzamento del partenariato commerciale. Sul tavolo di Edi Rama figurano poi i negoziati con Bruxelles per l’ingresso nell’Unione Europea, su cui l’Italia potrebbe spendere qualche buona parola. Nel complesso si tratta comunque di un’impresa non facile, sia per la situazione dei capitoli dell’acquis[1] sia per la storica contrarietà di alcuni Paesi membri, come la Francia. Lo sa bene anche Edi Rama, che lo scorso agosto ha dichiarato: «Non ci dovrebbero essere solo le riforme e le critiche necessarie, ma anche un sostegno più consistente, e non parlo solo dal punto di vista finanziario, ma anche dell’accesso al mercato delle nostre imprese. Mentre l’UE discute di infrastrutture da molti anni, gli investimenti concreti nella regione provengono dalla Cina, dagli “arabi” e dagli Stati Uniti».
[1] L’acquis dell’Unione Europea è la raccolta dei diritti e degli obblighi comuni che costituisce il corpo del diritto dell’Unione, integrato nei sistemi giudiziari degli Stati membri dell’Unione.