Lino Balza è uno degli storici attivisti No Pfas contro il polo chimico Solvay di Spinetta Marengo (AL). Ex impiegato e sindacalista della Solvay (a suo tempo Montedison), giornalista e attivista del “Movimento di lotta per la salute Maccacaro” e della “Rete Ambientalista – Movimenti di lotta per la Salute, l’Ambiente, la Pace e la Nonviolenza”.

Già negli anni ’80 denunciava le schiume PFAS sul Bormida.

“Telefonavo ai giornali, denunciavo ma Montedison si schermiva, ‘sarà qualche lavanderia che scarica a monte’, mentre Arpa e Magistratura non indagavano a fondo. Tra gli anni 90 e 2009 feci otto esposti alla Procura della Repubblica. Sono stato sottoposto a rappresaglie continue, licenziamento, mobbing e minacce. Nel 2009 venni in possesso delle analisi del sangue dei lavoratori fatti fare dall’azienda, con valori altissimi di PFOA, che venivano tenute nascoste. Così io ed altri lavoratori, anche loro poi licenziati, consegnammo queste analisi alla procura. Sottolineammo alla Procura che le aziende fin dagli anni 80 già sapevano la pericolosità di PFAS: Tony Fletcher, professore alla London School of Hygiene end Tropical Medicine, uno dei tre maggiori epidemiologi mondiali, anche sentito nel processo Miteni, era stato consulente di Dupont e confermava il drammatico allarme che gli scienziati avevano dato: negli animali queste sostanze sono cancerogene, mutagene e teratogene e loro lo sapevano”.

Un inquinamento simile a quello avvenuto in Veneto con la Miteni. Ma qual è il ruolo della Regione Piemonte e del Comune in questa vicenda?

La Regione Piemonte, solo a febbraio 2022 haincaricato un primo monitoraggio su uova e latte entro due chilometri dal polo chimico di Solvay, che ha indicato la presenza di cC6O4 (sostanza perfluoroalchilica PFAS di nuova generazione, ndr) nelle uova di produzione domestica e ADV (sostanza PFAS a catena lunga, tra le più pericolose, ndr) nel latte industriale. Ma ancora di fatto non sta effettuando il benché minimo prelievo ematico, cosa che il Venento ha fatto nel 2017 portando alla luce l’estesa contaminazione. Le indagini epidemiologiche (l’ultima nel 2019) evidenziano gli eccessi di mortalità della popolazione alessandrina, ma la ricerca degli Pfas nel sangue è ancora al palo. Probabilmente perché qui la Solvay è ancora attiva, mentre in Venero la Miteni aveva chiuso, c’è molta resistenza a voler far conoscere il reale stato di contaminazione nella popolazione. L’estensione dello screening ematico d’altra parte fornirebbe dati utili ad individuare strategie efficaci di prevenzione e cura ma anche, in sede processuale, fornirebbe ulteriori dati per valutare in solido le responsabilità e i danni di Solvay nei confronti dei lavoratori e dei cittadini.

A che punto sono le bonifiche?

Ad oggi, malgrado la sentenza di Cassazione, non è ancora stato bonificato né in terra né in cielo né in acqua per la “maledetta ventina” di inquinanti (cromo esavalente, cloroformio eccetera) anzi si è aggravata la contaminazione ed estesa in provincia. Per queste violazioni -dolose- non è stato aperto un nuovo processo.

Che cosa avrebbe dovuto fare e non ha fatto il sindaco di Alessandria Giorgio Abonante? In una recente intervista ha detto che sta portando avanti una “serrata interlocuzione con la Solvay”.

Il sindaco di Alessandria non ha mai emesso un’ordinanza di fermata delle produzioni inquinanti dentro e fuori il Comune, come imporrebbe il principio di precauzione alla massima autorità sanitaria locale di fronte ad una chiara fonte d’esposizione e di pericolo per gli abitanti, e come già fatto in altre città in contesti di grave contaminazione. A mio parere il sindaco, in qualità di massima autorità sanitaria locale, si consegna all’accusa di omissione di atti di ufficio. Infatti sta facendo solo il gioco dell’inquinatore, che persegue di procrastinare le produzioni secondo i propri profitti. Il rinvio dell’ordinanza a ulteriori studi epidemiologici per determinare un presunto nesso causa-effetto (Pfas causa di patologie), è pretestuoso, in quanto il nesso causale è acquisito scientificamente e internazionalmente. Va da sé che sempre maggiori studi saranno utili per individuare cure e per determinare l’entità dei risarcimenti.

E a livello nazionale quali sono le responsabilità?

Ad oggi, non è stato ripresentato in Parlamento il Disegno di Legge dell’ex senatore Mattia Crucioli, che detta “Norme per cessazione della produzione e dell’impiego dei Pfas” che metterebbe al bando almeno in Italia i Pfas, vietando la produzione (che in Italia fa solo Solvay), l’uso e la commercializzazione di PFAS o di prodotti contenenti PFAS, ne disciplina la riconversione produttiva e le misure di bonifica e di controllo. Insomma assume le istanze di tutti i Movimenti, Associazioni e Comitati, che da anni si battono per eliminare questi cancerogeni bioaccumulabili e persistenti, praticamente indistruttibili, dalle acque, dall’aria, dagli alimenti, dal sangue dei lavoratori e dei cittadini altrimenti ammalati e uccisi.

L’assenza di una legge nazionale però non giustifica né assolve le gravi responsabilità degli amministratori locali: non è un alibi.

A che punto sono i risarcimenti delle vittime?

Con il processo del 2019 per avvelenamento di cromo esavalente, sono stati condannati solo i pesci piccoli e elemosinati 10 mila euro alle parti civili. Per i bambini morti di leucemia, è stato uno sberleffo.

Anche per questo state per intraprendere una Class action…

Abbiamo autonomamente fatto fare, dall’Università di Liegi, le analisi del sangue ad un campione di lavoratori e cittadini: i livelli di PFAS sono impressionanti. Ora stiamo mettendo in piedi un processo civile, a fianco di quello penale, chiedendo che vengano risarcite le vittime. Questa volta non ci daranno le briciole, ma li colpiremo sul lato economico, laddove ascoltano molto di più. Siamo a buon punto con l’equipe di avvocati (Alessandria e Torino) e medici legali, in collegamento anche con i veneti, che magari replicheranno.

Insieme alla “class action” risarcitoria verso la Solvay, state studiando anche una “azione collettiva inibitoria” verso gli enti pubblici, di che si tratta?

E’ una azione nei confronti dei comportamenti omissivi e complici del Comune (che non emette ordinanza di chiusura delle produzioni), della Provincia (che rilascia le Autorizzazioni) e della Regione Piemonte (che non sottopone la popolazione a monitoraggio ematico): è chiaro che la situazione ambientale e sanitaria inferta è drammatica e le istituzioni non fanno abbastanza. Il ricorso al giudice vuole ottenere un ordine inibitorio che abbia la funzione di accertare una condotta illecita, bloccare gli impianti ed eventualmente condannare al risarcimento del danno gli stessi enti.