Un appello di Ogarit Younan, fondatrice dell’Università Libanese per la Nonviolenza e i Diritti Umani di Beirut (AUNHOR)

Pubblico oggi un importante testo di Ogarit Younan, scritto il 15 ottobre. Questa riflessione di una pioniera della nonviolenza nel mondo arabo merita di essere ascoltata. Vi preghiamo di leggere attentamente questo documento e di diffonderlo.  Alain Refalo

 

Cari Signori, cari fratelli

sotto il peso del dolore, e senza alcuna introduzione, vi presento questi 8 punti, affinché possiamo rifletterci insieme. Non si tratta di un piano d’azione, anche se specifica ciò che è urgente in questo momento, né di una strategia innovativa più che necessaria in questo conflitto storico. È piuttosto un testo di riflessione, scritto nella prima settimana di guerra dell’ottobre 2023.

1. Prima di tutto la nostra umanità, il nostro umanesimo

Per dirla con Bertrand Russell: “Ricorda la tua umanità e dimentica il resto”. Umanità non nel senso semplicistico di pietà o compassione per le vittime o di lacrime per i bambini, che sono un minimo… né gli aiuti e le razioni impacchettate e gettate agli sfollati e ai rifugiati… né l’opera di carità per confortarsi e accendere una candela in mezzo al buio… nemmeno il “diritto internazionale umanitario”, il più delle volte ignorato, che si affanna per curare le ferite, portando in sé il nome “umanitario” che ci riporta alla logica della carità e non alla profondità della parola umanista.

La nostra umanità è la nostra morale, la nostra etica. L’etica dell’azione politica. La politica è insieme etica ed efficienza. Quanto più l’efficienza si allontana dall’etica, tanto più sconfina nella violenza e comincia a giustificarla. La nostra umanità è la nostra coscienza. La coscienza, la “legge suprema” secondo le parole di Henry David Thoreau, il pioniere del concetto di “disobbedienza civile”, è radicalmente incompatibile con la violenza. È quindi la nostra posizione di fronte alla violenza, a tutte le violenze, che costituisce la questione fondamentale della nostra umanità.

Come possono i governi, i parlamenti, i media, le istituzioni, i leader, gli influencer di ogni tipo, mantenere il rispetto per le vittime di un partito e non dell’altro! Come possono alcuni di loro impedire l’innalzamento della bandiera di un partito e le manifestazioni per la sua causa imponendo una multa, mentre permettono le bandiere dell’altro partito e le sue manifestazioni e illuminano gli edifici ufficiali con la bandiera di un partito senza quella dell’altro? Il quadro ha messo a nudo l’umanità di queste persone e istituzioni… Dove sono i diritti alla libertà di espressione, all’uguaglianza, alla giustizia e al rispetto della dignità umana, soprattutto in questi Paesi che hanno istituito i principi dei diritti umani e delle costituzioni democratiche?

Come può ogni parte contare le proprie vittime e contorcersi nell’agonia, mentre gioisce delle perdite dell’altra parte? Gli esseri umani sono schizofrenici nei confronti dell’omicidio, ne soffrono e allo stesso tempo ne gioiscono? È questa un’espressione umana? La nostra umanità è indivisibile. Non festeggiate. Prima viene il principio di coscienza, poi l’analisi politica, per non sacrificare il primo per la seconda. Il volto umano è venuto meno in più di un luogo del mondo durante la prova della guerra di Gaza.

2. Cessare immediatamente il fuoco. Due obiettivi urgenti in comune

Un cessate il fuoco immediato, che includa la rimozione dell’assedio di Gaza – e non solo l’introduzione di aiuti – e allo stesso tempo la restituzione degli ostaggi rapiti d’Israele e dei resti di quelli uccisi. Due obiettivi urgenti, comuni, prima che sia troppo tardi.

Scegliere questi obiettivi e metterli in comune, come “uno”, ha un effetto strategico nella logica nonviolenta.

Israele, gli Stati Uniti e i loro alleati vogliono liberare gli ostaggi presi da Hamas e dalla Jihad a qualsiasi prezzo, e questo va oltre qualsiasi considerazione di principio. Entreranno loro stessi a Gaza, come un padre alla ricerca del figlio che ha diritto a ciò che nessun altro ha, daranno fuoco a tutto come gli eroi di uno spietato film hollywoodiano e torneranno con gli ostaggi, e il mondo giustificherà la loro oppressione o chiuderà un occhio. Non ci lasciamo ingannare, naturalmente, dai pretesti di Israele e degli Stati Uniti, che conosciamo bene, e che forse i rapiti non sono ciò che renderebbe necessario il loro ingresso a Gaza in primo luogo, o forse non entreranno per altri motivi o addirittura organizzeranno il loro ingresso in modi diversi.

Il nostro ruolo è quello di trasformare l’obiettivo di trovare le persone rapite, questo obiettivo umano che, per il momento, serve a giustificare la guerra, in una causa per fermare la guerra.

Hamas, la Jihad islamica e i loro alleati dicono di voler salvare Gaza e che è loro dovere farlo come resistenza palestinese, e questo ha la precedenza su tutte le altre considerazioni, tenendo conto non dei loro obiettivi politici e militari dichiarati e non dichiarati, ma piuttosto del fatto che la saggezza ci impone di bloccare ora la strada di Israele per raggiungere i suoi obiettivi di distruzione e di impedirgli di continuare a schiacciare i civili e a sfollare la popolazione di Gaza. Gaza, il cui obiettivo non è più quello di rompere l’assedio, ma piuttosto di sopravvivere.

Non stiamo promuovendo un obiettivo piuttosto che un altro.

Per il momento, possiamo solo insistere sul cessate il fuoco. Fermate il male. Non si tratta di una sconfitta, da una parte o dall’altra, ma di saper cogliere l’attimo. Un cessate il fuoco, senza condizioni, perché la vita delle persone, ovunque, è più importante di qualsiasi condizione.

Non è più il momento di innalzare la bandiera della vittoria e di perseguire un’escalation che si accompagna a un’escalation sempre maggiore, con una violenza sempre maggiore, né è il momento di lasciarsi abbagliare da uno spettacolo militare e da strumenti superiori e di aumentare la nostra vendetta… Dopo tutto, la vittoria non si ottiene su cumuli di corpi umani! Louis Lecoin, attivista nonviolento francese, diceva: “Se mi si dimostrasse che facendo la guerra il mio ideale ha una possibilità di essere realizzato, continuerei a dire no alla guerra. Perché non si costruisce una società umana su cumuli di cadaveri”. Se Israele lo sta facendo e sta costruendo la sua società su cumuli di cadaveri, palestinesi in particolare e in massa, e se Hamas e altri gruppi di resistenza armata lo stanno facendo, non lo stiamo facendo anche noi con il nostro silenzio o la nostra involontaria complicità, non fermandoli?

3. Non dimentichiamo che la causa principale è l’occupazione

Il problema è l’occupazione della Palestina. La domanda è sempre la stessa: come difendere e garantire uno Stato completamente indipendente chiamato Palestina? È una questione esistenziale e strategica. Non si tratta di una battaglia qui o di uno scontro là, o di calcoli che coinvolgono l’America, l’Iran, l’Arabia Saudita, l’Europa… Siamo all’inizio dell’ottavo decennio della questione palestinese, che continua a commuovere il mondo, e non c’è ancora soluzione o giustizia. Come disse Nelson Mandela: “Finché la Palestina non sarà liberata, la nostra liberazione in Sudafrica non sarà completa… La Palestina è una questione di moralità politica”.

I sostenitori del progetto di Israele, da quando hanno offerto il “dono” di creare questa entità, di impiantarla “sopra” la Palestina, la sua terra e il suo popolo, con la “generosità” di sostenerne l’espansione, l’hanno spogliata del suo status di occupazione e si sono affrettati a sancirla come Stato nel momento stesso in cui sono nate le Nazioni Unite, e poi questo Stato è stato infinitamente “coccolato” dall’Occidente e dai suoi alleati, compresi molti Paesi arabi, con un’immensa negazione della giustizia. Questa entità è stata imposta dalla malvagità del colonialismo e dai suoi interessi politici ed economici, e anche dal tentativo di una parte dell’Occidente di espiare il suo peccato di perseguitare gli ebrei, fabbricando una cosiddetta soluzione che porta a un problema in tutti i sensi. Che politica spudorata e arrogante! Dando una presunta giustizia agli ebrei, hanno dato un’ingiustizia alla Palestina, offrendo qualcosa che non apparteneva loro, il “regalo” è venuto dalla “borsa” dei palestinesi e a loro spese, con spostamenti, omicidi, frammentazione, furto di diritti, umiliazioni, arresti e decisioni distorte… fino a Gaza ora!

A mio avviso, i popoli dei Paesi che hanno commesso questa storica ingiustizia, in particolare le forze nonviolente, hanno la responsabilità di riflettere su una trasformazione della gestione di questo conflitto, chiamando a rispondere i noti responsabili.

Il principio di occupazione è ciò che i sostenitori di Israele e del suo progetto si sono sforzati di cancellare e invalidare in un modo simile alla negazione, fino a costringere i palestinesi a dimostrare continuamente che si tratta di un’occupazione. Non c’è quindi soluzione se non quella di tornare alla radice del problema.

Non si tratta di un conflitto limitato o circostanziale. Il problema oggi non è una breccia militare, un’invasione o un attacco di terra, un missile estremamente “moderno”, un nuovo gruppo di prigionieri, o un ospedale i cui gemiti scuotono il mondo, o ancora “Hamas” o “Gallant e Netanyahu”, o ancora l’assedio di Gaza… L’occupazione è la causa principale. Questo è ciò che tutti dovrebbero ricordare.

Più rimandiamo e più commettiamo errori, più la violenza tornerà in forme più violente. È una questione esistenziale per la Palestina, la regione e il mondo intero.

Per quanto riguarda l’orrore della violenza oggi, è diventato chiaro fino a che punto la violenza rigurgita violenza e trascina tutti sotto il suo peso, e fino a che punto impone ogni volta un nuovo declino della soluzione e una frammentazione del problema. Non vediamo che la soluzione non è stata ancora trovata, a più di sette decenni dal 1948 e dal perpetuarsi del conflitto? Questo conflitto, che per lungo tempo ha portato il titolo di “arabo-israeliano”, è stato ridotto a “palestinese-israeliano”, poi a “Hamas, Israele”, “Hezbollah, Israele”, poi a “diamo qualcosa alla Palestina per facilitare il processo di normalizzazione”! Abbiamo la responsabilità di insistere a gran voce e immediatamente su una soluzione integrata ed equa che vada alla radice del problema: l’occupazione. E questo richiede un’idea innovativa.

4. Guerra ai civili e dai civili

La scena si perde tra la sete di violenza, lo sfruttamento della violenza e l’avversione alla violenza.

Purtroppo, nonostante tutto quello che è successo, la sete di violenza e le sue conseguenze continuano e crescono.

Fortunatamente, e forse a causa dell’orrore di ciò che è accaduto, l’avversione alla violenza e gli atteggiamenti verso di essa persistono e sono in aumento.

Da entrambe le parti della guerra si profilano minacce di ulteriori violenze. Ciascuna parte attacca l’altra con una vendetta sempre più forte, che l’altra parte non può immaginare e che impressionerà. Allo stesso tempo, l’opinione pubblica in molte parti del mondo si sta esprimendo contro la violenza e ne chiede la cessazione, anche se una parte del sostegno per la cessazione della violenza contro Gaza non sarebbe avvenuta in primo luogo se non fosse stato per l’orrore della violenza contro i civili.

La “guerra ai civili e da parte dei civili”, usata sia dagli oppressori che dagli oppressi, è un termine che è diventato familiare nell’arte della guerra, dove i civili sono trasformati in strumenti per vincere la battaglia e sconfiggere l’avversario, e dove gli esseri umani non sono più tali, ma piuttosto “armi” e bersagli di cui l’avversario si impadronisce, per cui non importa se vengono distrutti, sono Cose. Come ha detto la filosofa nonviolenta francese Simone Weil: “La violenza è ciò che trasforma in cosa chiunque la subisca. Quando la violenza è esercitata fino in fondo, trasforma l’uomo in una cosa nel senso più letterale, perché lo trasforma in un cadavere”.

Ci sono tanti sostenitori della causa palestinese in tutto il mondo, anche nei Paesi allineati con Israele. A loro non resta che sostenere la lotta senza violenza. “La violenza pensa di distruggere il male, ma è essa stessa il male”, secondo le parole del filosofo francese della nonviolenza Jean-Marie Muller. Ciò che ci preoccupa è che, purtroppo, alcuni di coloro che invocano la giustizia e la pace non rifiutano questa strategia, anche se atroce, ma dal loro punto di vista, è il prezzo da pagare per ottenere giustizia, e una fonte di sostegno, e a volte con “benedette spiegazioni” per continuare la violenza!

5. La questione è il risultato politico

In politica, come nell’arte della guerra, si utilizzano mezzi e strategie per ottenere risultati politici sulla questione o sulla controversia. Il risultato politico è il problema e l’obiettivo. Questo vale anche per la lotta nonviolenta e le sue strategie, con una differenza fondamentale, perché nell’azione nonviolenta mezzi e fini sono interconnessi come un albero e un seme, come diceva Gandhi. Nobili obiettivi che raggiungiamo con nobili mezzi. Mentre nella violenza e nella politica machiavellica, tutto è permesso e la crudeltà è al massimo.

I sostenitori di Israele affermano che ha il diritto di difendersi, di colpire e distruggere Hamas, e alcuni continuano a presentarlo come l’EI (il Dio dell’universo, N.d.T.). In effetti, questo è ciò che molti qui e in tutto il mondo vorrebbero vedere, a prescindere da ciò che sta accadendo ora: credono o promuovono che questo sia il risultato politico della battaglia condotta da Israele, dagli Stati Uniti, dai loro alleati e sostenitori, nonostante una simile propaganda oltraggiosa il cui sangue non si è ancora asciugato (l’invasione dell’Iraq, Al Qaeda, i Talebani, l’11 settembre, l’ISIS, ecc.)

I sostenitori di Hamas e dei suoi alleati, così come di Hezbollah, sostengono che stanno ancora una volta tracciando la linea di forza tra gli attori principali, gli Stati Uniti e l’Iran, con l’appoggio e la benedizione di quest’ultimo, e che hanno effettivamente riportato la Palestina “alla ribalta” in modo inedito e vittorioso. La realtà è che Gaza sta perdendo ogni giorno vittime ancora più terribili, che determineranno esse stesse l’esito politico. È vero che la questione palestinese riempie gli schermi, ma di quale “ribalta” si parla, a quale prezzo e a vantaggio di chi? Non dimentichiamo che chi vince il premio lo ottiene a proprio vantaggio, e questo è l’esito politico. Siamo a favore di coloro che scelgono e raccolgono da entrambe le parti? Dobbiamo guardare lontano, oltre la scena immediata. Non ci fidiamo dei partiti della violenza. Quelli che hanno un’influenza armata, a Gaza, in Palestina, in Libano e in Israele, per non parlare degli altri, hanno nascosto il problema con la loro violenza e si sono imposti: uno Stato di occupazione, e di fronte a loro uno “Stato di Hamas” e uno “Stato di Hezbollah”, e non siamo sicuri quali siano gli obiettivi di tutti questi poteri violenti…

Il risultato politico a cui aspiriamo si misura con il ripristino della giustizia e della pace per i popoli oppressi, non con guadagni militari, né con calcoli locali, regionali e internazionali che hanno il sapore di “mercantilismo” a scapito dei diritti.

6. Due campi violenti, con ideologie religiose, governano ora il ring

Come possiamo accettare l’esistenza di un’entità, di uno Stato basato sull’occupazione, sull’apartheid, fondato su una dottrina religiosa che rivendica la “superiorità del suo popolo eletto”, Israele, e conta nei suoi ranghi milizie e organizzazioni politico-militari estremiste, come l'”Haganah” e organizzazioni sioniste, anche se Israele si abbellisce definendosi uno Stato democratico? Come possiamo sostenere l’esistenza di un’organizzazione politico-militare palestinese con una dottrina religiosa violenta, orgogliosamente dichiarata, come “Hamas” e organizzazioni simili, anche se si definisce una resistenza nazionale?

Sono questi due schieramenti a guidare la guerra dell’ottobre 2023 e con loro i due maggiori sostenitori, gli Stati Uniti e l’Iran. Non abbiamo prestato attenzione al “flirt”, alle dichiarazioni parallele e all’equilibrio dei toni tra Stati Uniti e Iran? “Sono in una partnership esistenziale, in una fertilizzazione incrociata del male”, secondo le parole del pensatore arabo nonviolento Walid Slaybi, nel suo libro “Forze della morte. Forze della vita”.

Ci troviamo di fronte a un ulteriore dilemma, rappresentato dalla natura politica, con le sue violente fonti teocratiche, di coloro che ora governano l’arena, alla luce dell’ascesa delle forze estremiste in Israele, del controllo delle forze estremiste palestinesi sulla resistenza in Palestina e dell’ambiguità e della debolezza delle forze civili nazionali che rappresentano il popolo palestinese da un lato e quelle a favore della pace in Israele dall’altro. Questo è un ostacolo di per sé a qualsiasi soluzione di giustizia e di pace.

Da parte nostra, rifiutiamo la violenza da tutte le parti, rifiutiamo il terrorismo da tutte le parti, rifiutiamo le ideologie di violenza in nome della religione o di altre dottrine e rifiutiamo la manipolazione perversa dei popoli e delle loro giuste cause da parte dei Paesi egemoni, sia occidentali che non occidentali. Rifiutiamo anche fondamentalmente la militarizzazione delle società, che ci distrugge tutti.

7. Non possiamo equiparare la violenza dell’oppressore alla violenza dell’oppresso. E non giustifichiamo assolutamente alcuna violenza

Come dice Walid Slaybi, che ha scritto molto a favore della resistenza nonviolenta in Palestina:

– Gli oppressi diventano ‘uguali’ all’oppressore nel momento in cui usano la violenza e si permettono di scatenarsi.

– Il fatto che la violenza degli oppressi derivi dalla rabbia e dalla disperazione di fronte all’oppressione e all’umiliazione è qualcosa che comprendiamo, senza giustificarla. Ma che la violenza venga ideologizzata e diventi una politica, un approccio al pensiero e alla vita che porta alla sua glorificazione, è una questione estremamente pericolosa.

– Non vedo nella violenza un obiettivo giusto. Per una semplice ragione, non perché non possa vincere in una battaglia o nell’altra, ma perché prima sconfigge la persona che ha la giusta causa. Una causa nobile richiede mezzi nobili. Si può dire che il momento di massima vittoria militare sull’avversario è il momento di massima sconfitta del resistente attraverso la violenza. L’avversario è stato sconfitto militarmente, il resistente è stato sconfitto umanamente, la violenza ha trionfato.

– La violenza dell’oppressore serve come obiettivo dell’oppressore. Anche la violenza degli oppressi serve all’oppressore.

– È nell’interesse delle forze di morte, le forze della violenza, di militarizzare le lotte pacifiste. È nell’interesse delle forze della vita, le forze della lotta nonviolenta, smilitarizzare le lotte violente”.

– SÌ ALLA RESISTENZA, NO ALLA VIOLENZA.

8. Non siamo condannati alla violenza unilaterale. La responsabilità dei nonviolenti

La violenza esiste. La nonviolenza esiste. Non siamo condannati alla violenza unilaterale a Gaza, in Palestina, in Libano, in Israele e in tutto il mondo. Quindi c’è speranza.

Perdiamo ogni logica se descriviamo ogni parte come se fosse un unico blocco con un orientamento distruttivo e assoluto: “Tutta la popolazione in Israele è costituita da razzisti violenti che amano l’occupazione, eliminando il popolo della Palestina e ora sfollando la popolazione di Gaza”. “Tutta la popolazione in Palestina è costituita da persone violente ed estremiste che rifiutano la pace, amano la militarizzazione e l’eliminazione dell’altra parte”.  I beneficiari della violenza hanno teso una tale ‘trappola’, come possiamo caderci? Sono loro ad averne bisogno, non noi o la giusta causa.

Il nostro compito prioritario è quello di riunire queste forze nonviolente, sia individuali che collettive, così come i loro sostenitori e simpatizzanti in tutto il mondo, di sostenerle, di mettere in evidenza la loro voce e di accelerare questo processo, in modo che l’immagine diffusa non sia quella della violenza come se non ci fosse altra soluzione che l’equilibrio del terrore. Quando queste forze nonviolente si uniranno, vedremo l’immagine nella sua sorprendente dimensione. Non dobbiamo dimenticare che la maggioranza di coloro che si aspettano soluzioni diverse dalla distruzione, compresi coloro che sono attualmente sotto distruzione, sono a favore di una soluzione nonviolenta e, come minimo, non sono a favore di una soluzione violenta. Immaginate se l’immenso sostegno finanziario, politico, militare, mediatico, umano e di altro tipo di cui godono le forze della violenza fosse stato dato alle forze della nonviolenza, la metà o un quarto… La storia sarebbe cambiata.

Il momento è ormai cruciale, al suo cardine, non è il momento del pessimismo. Non abbiamo il diritto di lasciare la scena a chi sceglie la violenza.

La causa palestinese continua a vacillare, persino a regredire. Non sono le persone a regredire, ma piuttosto i metodi di confronto e di diplomazia che finora non hanno prodotto i giusti risultati. È giunto il momento, atteso da decenni, di riconoscere che la Palestina si è disintegrata sotto i nostri occhi e che dobbiamo riconsiderare la strategia di resistenza e la risoluzione di questo conflitto. Il popolo palestinese è diventato, in parte all’estero, esiliato, sfollato e rifugiato, quello che oggi chiamiamo “i dispersi”, e in parte in patria assediato in blocchi divisi, in briciole che non possono essere chiamate “Stato” ma piuttosto “ciò che resta della Palestina”. Palestina occupata. Questo è il suo nome finora, non è solo Palestina, ma un nome e un soprannome, in attesa che questo soprannome venga eliminato e risolto. Ciò che il popolo palestinese ha il diritto di fare è ribellarsi all’ingiustizia. Naturalmente, vogliamo che avvenga in modo nonviolento. Come disse Albert Camus: “Io mi ribello, quindi noi siamo. La rivolta, nel suo principio, si limita a rifiutare l’umiliazione, senza chiederla per l’altro”.

A seguire… un secondo testo di idee per l’azione.

o.younan@aunohr.edu.lb; younan.ogarit@gmail.com

Traduzione dal francese di Thomas Schmid. Revisione di Angelica Mengozzi.

L’articolo originale può essere letto qui