In 18 anni gli italiani nel mondo sono raddoppiati: da poco più di 3 milioni a poco meno di 6 milioni. A partire sono soprattutto i giovani tra i 28 e i 34 anni che non lavorano e non studiano, i lavoratori precari, i disoccupati, le giovani donne e 1 su 4 aono laureati e ricercatori. Si tratta di un’emigrazione che fotografa il disagio giovanile, una nuova generazione di poveri, ma che vede anche le donne andar via per ritrovare in un altro Paese pari opportunità e più tutele nella maternità. Infatti, a differenza di quanto è avvenuto nelle precedenti ondate migratorie, in cui la tradizionale figura di donna migrante era spinta al trasferimento per riunire la famiglia e ricongiungersi agli uomini che l’avevano preceduta in cerca di fortuna, negli ultimi anni essa è stata sostituita da quella di una donna moderna e dinamica, motivata anche dalla prospettiva di una vita indipendente, di un maggior benessere economico e di una carriera professionale più gratificante. L’unica Italia che cresce è solo quella all’estero: i bambini italiani nati all’estero sono 91mila: oltre il 20% rispetto ai poco meno di 400.000 nati in Italia, di cui 57 mila neonati figli di immigrati. E’ il 18° Rapporto italiani nel mondo 2023 della Fondazione Migrantes a fotografare questa Italia “fuori dall’Italia”.
“Al 1° gennaio 2023 -si legge nel Rapporto- i connazionali iscritti all’AIRE sono 5.933.418, il 10,1% dei 58,8 milioni di italiani residenti in Italia. Mentre l’Italia continua inesorabilmente a perdere residenti (in un anno -132.405 persone, lo -0,2%), l’Italia fuori dell’Italia continua a crescere anche se in maniera meno sostenuta rispetto agli anni precedenti. Il 46,5% dei quasi 6 milioni di italiani residenti all’estero è di origine meridionale (il 15,9% delle sole Isole), il 37,8% del Settentrione (il 19,1% del Nord Ovest) e il 15,8% del Centro. Negli ultimi 20 anni, quindi, e poi ancora di più nell’ultimo decennio, abbiamo assistito non solo a un revival del fenomeno, ma a un drastico cambiamento dello stesso. Rispetto alle caratteristiche tradizionali – origine meridionale, protagonismo dell’oltreoceano, emigrazione familiare – la mobilità degli italiani più recente, caratterizzata da partenze dalle regioni del Centro-Nord dopo, nella maggior parte dei casi, un periodo più o meno lungo di mobilità interna Sud-Nord, sta riscrivendo la storia dell’Italia legata ai flussi migratori dei suoi residenti.”
E’ la Sicilia la regione d’origine della comunità più numerosa (oltre 815 mila). Seguono – restando al di sopra delle 500 mila unità – la Lombardia (quasi 611 mila), la Campania (+548 mila), il Veneto (+526 mila) e il Lazio (quasi 502 mila).
L’attuale presenza italiana all’estero è europea. “L’Europa -sottolinea il Rapporto della Fondazione Migrantes- accoglie oltre 3,2 milioni di connazionali (il 54,7% del totale) mentre il continente americano segue con oltre 2,3 milioni (40,1%). Oggi le comunità italiane più numerose si trovano in Argentina (oltre 921 mila iscritti, il 15,5% del totale), in Germania (oltre 822 mila, il 13,9%), in Svizzera (oltre 639 mila, il 10,8%). Seguono Brasile, Francia, Regno Unito e Stati Uniti d’America. Nelle prime dieci posizioni si registrano ben tre continenti – America del Nord e Latina, Europa e Oceania – ma non occorre superare la 27° posizione perché tutti i continenti siano rappresentati.”
C’è anche una “mobilità previdenziale” che ha motivazioni più diverse, dalla ricerca di luoghi esotici più amati dal punto di vista culturale o climatico alla necessità di paesi con politiche di defiscalizzazione, dal desiderio di posti diffusamente sponsorizzati anche dalle agenzie nate proprio per accompagnare la Terza Età nel processo migratorio, all’esigenza di ricongiungersi con i propri familiari. “Quella che, dall’incrocio dei dati, appare come la ragione più battuta, si legge nel rapporto, è che gli anziani vanno negli stessi luoghi dove si sono trasferiti figli e nipoti. Il desiderio che spinge un uomo o una donna avanti nell’età, molte volte vedovo/a, a vivere un percorso migratorio oggi, mettersi in discussione e affrontare l’ignoto è, quindi, una sorta di processo di ricongiungimento familiare moderno spesso portato avanti in modo non ufficiale.”
Sconcerta registrare che il 44% di coloro che hanno lasciato l’Italia nel 2022 era un giovane tra i 18 e i 34 anni. Stiamo perdendo il futuro. Si tratta di due punti percentuali in più rispetto agli anni precedenti. E il motivo è innanzitutto l’assensa di lavoro dignitoso. Molti giovani rinunciano a cercare lavoro nel nostro Paese perché si imbattano quasi esclusivamente in contratti con scarsi diritti, con salari da fame, con orari che non vengono rispettati e con scarse opportunità di crescita. Si imbattono cioè in quei settori in cui –come certifica l’INPS– oltre il 50% dei lavoratori è povero: un dato che da solo ridicolizza tutta le retorica del merito dall’attuale governo. E non dimentichiamo che i lavoratori italiani guadagnano circa 3.700 euro in meno della media dei colleghi europei.
Tuttavia, c’è chi a dispetto di difficoltà e problemi ha deciso di non andar via oppure di ritornare. “Negli ultimi anni, di legge nel Rapporto, si registrano fenomeni di restanza (…). La restanza si riferisce alla decisione di individui o famiglie di rimanere o tornare nelle loro comunità d’origine: una scelta personale motivata da un forte legame con il territorio che si muove anche su un piano comunitario in quanto può tradursi in iniziative imprenditoriali, progetti culturali e sociali (…). Come scrive l’antropologo Vito Teti, la restanza non è un elogio del restare come forma di nostalgia regressiva, ma è un invito a pensare il restare come nucleo fondativo di nuovi progetti, aspirazioni e rivendicazioni. Si tratta, quindi, di una scelta di responsabilità che porta a investire il territorio di intenzioni, azioni e pratiche di cura.”
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