Il 2 dicembre migliaia di persone sfileranno in corteo a Messina per manifestare ancora una volta la propria opposizione nei confronti della costruzione del ponte sullo Stretto. Sarà, come sempre, un corteo gioioso e determinato, motivato dalla consapevolezza che anche il semplice riavvio dell’iter progettuale o dell’apertura dei primi cantieri rappresentino un pesante attacco contro un territorio già oggi fragile e un’offesa verso le popolazioni che soffrono per una molteplicità di bisogni inevasi. Sarà un corteo che si aggiungerà ai tanti che hanno già attraversato i nostri territori e che precederà quelli che si organizzeranno in futuro. C’è una cosa, infatti, che è ormai chiara.
𝗜𝗹 𝗽𝗼𝗻𝘁𝗲 𝘀𝘂𝗹𝗹𝗼 𝗦𝘁𝗿𝗲𝘁𝘁𝗼 è 𝗹𝗮 𝗺𝗮𝗻𝗶𝗳𝗲𝘀𝘁𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗽𝗶ù 𝗲𝗰𝗹𝗮𝘁𝗮𝗻𝘁𝗲 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗲 𝗽𝗼𝗹𝗶𝘁𝗶𝗰𝗵𝗲 𝘀𝗽𝗲𝗰𝘂𝗹𝗮𝘁𝗶𝘃𝗲 𝗲 𝗮𝘂𝘁𝗼𝗿𝗶𝘁𝗮𝗿𝗶𝗲 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗲 𝗴𝗿𝗮𝗻𝗱𝗶 𝗼𝗽𝗲𝗿𝗲, 𝗱𝗲𝗶 𝗴𝗿𝗮𝗻𝗱𝗶 𝗲𝘃𝗲𝗻𝘁𝗶, 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮 𝗴𝗲𝘀𝘁𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗲𝗺𝗲𝗿𝗴𝗲𝗻𝘇𝗶𝗮𝗹𝗲 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗲 𝗰𝗮𝘁𝗮𝘀𝘁𝗿𝗼𝗳𝗶 𝗻𝗮𝘁𝘂𝗿𝗮𝗹𝗶, 𝗱𝗲𝗴𝗹𝗶 𝗶𝗻𝘀𝗲𝗱𝗶𝗮𝗺𝗲𝗻𝘁𝗶 𝗺𝗶𝗹𝗶𝘁𝗮𝗿𝗶 𝗰𝗵𝗲 𝗰𝗼𝘀𝘁𝗲𝗹𝗹𝗮𝗻𝗼 𝗹𝗮 𝗻𝗼𝘀𝘁𝗿𝗮 𝘁𝗲𝗿𝗿𝗮.
Il ponte sullo Stretto è un metodo, una procedura, un dispositivo politico e finanziario che serve solo a spostare risorse dai molti (gli abitanti) ai pochi (le grandi imprese del cemento, le élites di alcune categorie professionali, i politici). È 𝗾𝘂𝗲𝘀𝘁𝗮 𝗹𝗮 𝗿𝗮𝗴𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗽𝗲𝗿 𝗰𝘂𝗶 𝗮𝗯𝗯𝗶𝗮𝗺𝗼 𝘃𝗶𝘀𝘁𝗼 𝗶𝗻 𝘁𝘂𝘁𝘁𝗶 𝗾𝘂𝗲𝘀𝘁𝗶 𝗮𝗻𝗻𝗶 𝗶𝗺𝗽𝗼𝗿𝘁𝗮𝗻𝘁𝗶 𝗳𝗼𝗿𝘇𝗲 𝗽𝗼𝗹𝗶𝘁𝗶𝗰𝗵𝗲 𝘀𝗮𝗹𝘁𝗮𝗿𝗲 𝗱𝗮 𝘂𝗻𝗮 𝗽𝗮𝗿𝘁𝗲 𝗮𝗹𝗹’𝗮𝗹𝘁𝗿𝗮: 𝗱𝗮𝗹 𝗦ì 𝗮𝗹 𝗡𝗼, 𝗱𝗮𝗹 “𝗳𝗼𝗿𝘀𝗲” 𝗮𝗹 “𝘃𝗲𝗱𝗶𝗮𝗺𝗼 𝗰𝗼𝗺𝗲 𝗳𝗮𝗿𝗹𝗼”.
𝗡𝗼𝗶 𝘀𝗮𝗽𝗽𝗶𝗮𝗺𝗼 𝗯𝗲𝗻𝗲 𝗰𝗵𝗲 𝗰’è 𝘂𝗻 𝘀𝗼𝗹𝗼 𝘀𝗼𝗴𝗴𝗲𝘁𝘁𝗼 𝗰𝗵𝗲 𝗽𝘂ò 𝗳𝗲𝗿𝗺𝗮𝗿𝗲 𝗾𝘂𝗲𝘀𝘁𝗼 𝗽𝗿𝗼𝗰𝗲𝘀𝘀𝗼 𝘀𝗽𝗲𝗰𝘂𝗹𝗮𝘁𝗶𝘃𝗼. Quel soggetto è rappresentato dagli 𝗮𝗯𝗶𝘁𝗮𝗻𝘁𝗶 𝗱𝗲𝗶 𝘁𝗲𝗿𝗿𝗶𝘁𝗼𝗿𝗶 poiché saranno coloro che subiranno, se mai dovessero essere avviati i lavori, le conseguenze devastanti della cantierizzazione. Saranno gli abitanti dei territori che vedranno negato ulteriormente il soddisfacimento dei bisogni fondamentali riguardanti la salute, l’istruzione, la mobilità perché “tanto ci stanno facendo il ponte” e “tanto tutto avverrà in conseguenza di esso”.
𝗧𝗼𝗰𝗰𝗮, 𝗮𝗹𝗹𝗼𝗿𝗮, 𝗰𝗼𝗻𝘁𝗶𝗻𝘂𝗮𝗿𝗲 𝗮 𝗼𝗿𝗴𝗮𝗻𝗶𝘇𝘇𝗮𝗿𝘀𝗶, 𝗿𝗶𝘁𝗼𝗿𝗻𝗮𝗿𝗲 𝗮 𝗽𝗼𝗽𝗼𝗹𝗮𝗿𝗲 𝗹𝗲 𝘀𝘁𝗿𝗮𝗱𝗲, 𝗻𝗼𝗻 𝗶𝗻𝗱𝗶𝗲𝘁𝗿𝗲𝗴𝗴𝗶𝗮𝗿𝗲 𝗱𝗶 𝗳𝗿𝗼𝗻𝘁𝗲 𝗮𝗹𝗹’𝗮𝗿𝗿𝗼𝗴𝗮𝗻𝘇𝗮 𝗱𝗲𝗴𝗹𝗶 𝗮𝗿𝗿𝗮𝗳𝗳𝗮𝘁𝗼𝗿𝗶 𝗱𝗶 𝘃𝗼𝘁𝗶 𝗽𝗿𝗲𝗻𝗱𝗶 𝗲 𝗳𝘂𝗴𝗴𝗶. 𝗧𝗼𝗰𝗰𝗮 𝗻𝗼𝗻 𝗱𝗲𝗹𝗲𝗴𝗮𝗿𝗲 𝗮 𝗻𝗲𝘀𝘀𝘂𝗻𝗮 𝘀𝘁𝗿𝘂𝘁𝘁𝘂𝗿𝗮 𝗽𝗮𝗿𝘁𝗶𝘁𝗶𝗰𝗮 𝗹𝗮 𝗹𝗼𝘁𝘁𝗮 𝗽𝗲𝗿 𝗹𝗮 𝗱𝗶𝗳𝗲𝘀𝗮 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗼 𝗦𝘁𝗿𝗲𝘁𝘁𝗼.
Le più recenti ricognizioni sulle conseguenze economiche di un investimento così imponente sul ponte sullo Stretto ci dicono (ed è la stessa propaganda pontista a sottolinearlo) che ad avvantaggiarsene sarà molto più la Lombardia che la Sicilia o la Calabria. Non c’è da meravigliarsene se le centrali del cemento interessate ai lavori non hanno alcun rapporto con i nostri territori ed è di tutta evidenza che la stessa cosa riguarderà il saldo occupazionale. Tramonta così l’ennesima menzogna dei sostenitori del mostro di cemento e acciaio.
𝗜𝗹 𝗽𝗼𝗻𝘁𝗲 𝘀𝘂𝗹𝗹𝗼 𝗦𝘁𝗿𝗲𝘁𝘁𝗼 𝗵𝗮, 𝗮 𝘁𝘂𝘁𝘁𝗶 𝗴𝗹𝗶 𝗲𝗳𝗳𝗲𝘁𝘁𝗶, 𝘂𝗻 𝗰𝗮𝗿𝗮𝘁𝘁𝗲𝗿𝗲 𝗰𝗼𝗹𝗼𝗻𝗶𝗮𝗹𝗲. 𝗔 𝗻𝗼𝗶 𝗶 𝗱𝗶𝘀𝗮𝗴𝗶, 𝗮𝗴𝗹𝗶 𝗮𝗹𝘁𝗿𝗶 𝗶 𝘃𝗮𝗻𝘁𝗮𝗴𝗴𝗶. 𝗔 𝗻𝗼𝗶 𝗹𝗮 𝗽𝗼𝗹𝘃𝗲𝗿𝗲, 𝗮𝗴𝗹𝗶 𝗮𝗹𝘁𝗿𝗶 𝗶 𝗽𝗿𝗼𝗳𝗶𝘁𝘁𝗶.
Il ponte sullo Stretto è espressione di un modello produttivo rapace ed estrattivista che non tiene in alcun conto i limiti che la natura stessa pone e per il quale le popolazioni locali sono più un fastidio che una risorsa. Nonostante questo e nonostante la crisi ambientale e climatica mettano in evidenza la necessità di rivedere modo di produzione e consumo (pena la messa in discussione dell’esistenza stessa dell’uomo sul pianeta) i sostenitori del ponte continuano ad alimentare l’ideale negazionista dello sviluppo infinito. Si tratta di un problema culturale e scientifico, oltre che economico.
Per questa ragione, nella sua manifestazione più rancorosa, la comunicazione pontista ci ha definiti come “cavernicoli”, pensando così di farci apparire come persone ancorate al passato, che rifiutano il miglioramento, dei conservatori, insomma, e anche ignoranti. Ci piace di assumercelo questo insulto come gesto d’amore nei confronti dell’alba della nostra storia, di quel tempo in cui gli umani cominciavano a esplorare il mondo, a immaginare cosa potesse significare vivere in comune, come inventare gli strumenti per vivere meglio. Era un modo per adattarsi alla natura, difendersi dalle sue severità, godere delle sue bellezze.
𝗔 𝗻𝗼𝗶 𝗼𝗴𝗴𝗶 𝗰𝗶 𝘁𝗼𝗰𝗰𝗮 𝗱𝗶 𝗱𝗶𝗳𝗲𝗻𝗱𝗲𝗿𝗹𝗮, 𝗾𝘂𝗲𝗹𝗹𝗮 𝗻𝗮𝘁𝘂𝗿𝗮, 𝗱𝗮𝗹𝗹𝗮 𝗳𝘂𝗿𝗶𝗮 𝗱𝗶𝘀𝘁𝗿𝘂𝘁𝘁𝗶𝘃𝗮 𝗱𝗶 𝗰𝗵𝗶 𝗽𝗲𝗻𝘀𝗮 𝗮𝗹 𝗽𝗿𝗼𝗳𝗶𝘁𝘁𝗼 𝗽𝗶ù 𝗰𝗵𝗲 𝗮𝗹𝗹𝗮 𝘀𝗮𝗹𝘃𝗮𝗴𝘂𝗮𝗿𝗱𝗶𝗮 𝗱𝗲𝗹𝗹’𝗲𝗰𝗼𝘀𝗶𝘀𝘁𝗲𝗺𝗮 𝗶𝗻 𝗰𝘂𝗶 𝘃𝗶𝘃𝗶𝗮𝗺𝗼.
𝗜 “𝗰𝗮𝘃𝗲𝗿𝗻𝗶𝗰𝗼𝗹𝗶” 𝘀𝗮𝗿𝗮𝗻𝗻𝗼 𝗶𝗻 𝗽𝗶𝗮𝘇𝘇𝗮 𝗶𝗹 𝟮 𝗱𝗶𝗰𝗲𝗺𝗯𝗿𝗲 𝗰𝗼𝗻 𝘁𝘂𝘁𝘁𝗮 𝗹𝗮 𝗹𝗼𝗿𝗼 𝗿𝗮𝗯𝗯𝗶𝗮 𝗲 𝗹𝗮 𝗹𝗼𝗿𝗼 𝗰𝗿𝗲𝗮𝘁𝗶𝘃𝗶𝘁à, 𝗽𝗿𝗶𝘃𝗶𝗹𝗲𝗴𝗶𝗮𝗻𝗱𝗼 𝗹𝗲 𝗺𝗮𝗴𝗹𝗶𝗲𝘁𝘁𝗲 𝗲 𝗯𝗮𝗻𝗱𝗶𝗲𝗿𝗲 𝗡𝗼 𝗽𝗼𝗻𝘁𝗲 𝗮𝗹𝗹𝗲 𝗶𝗻𝘀𝗲𝗴𝗻𝗲 𝗱𝗶 𝗽𝗮𝗿𝘁𝗶𝘁𝗼.
comunicato No Ponte