In tutto il periodo di guerra nei Balcani, nessun giornalista aveva potuto raccontare la verità sugli avvenimenti in corso senza gravi ritorsioni. Sempre più persone, in Europa come negli Stati Uniti, si rendevano conto come la libertà di parola e di opinione fosse finita all’ombra della propaganda di guerra e della retorica delle “guerre umanitarie”. Ciononostante molti si sono battuti per ristabilire la verità dei fatti, portando a riflessioni sul carattere di strumentalità di tale organo nei riguardi della programmata distruzione di uno Stato sovrano quale la Jugoslavia. A tal riguardo stasera e domani sera, rispettivamente al Centro Sociale 28 maggio di Rovato (BS) e alla Sala di San Giorgio a Palazzo di Milano, si terranno due incontri sulla “morte del diritto internazionale” di fronte al caso jugoslavo come nel caso palestinese in cui sarà presente la scrittrice Jean Toschi Marazzani Visconti, da sempre attiva sullo strano caso del Tribunale dell’Aja per l’Ex-Jugoslavia, e Andrea Martocchia, segretario del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia.
L’inizio di una “guerra umanitaria”
L’8 dicembre 1987, il presidente degli Stati Uniti, Ronald Reagan, e il Presidente dell’Unione Sovietica, Michail Gorbachev, firmavano il Trattato Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty sul reciproco controllo delle armi nucleari. Questo avvenimento sembrava sancire la fine della Guerra Fredda, ma soffiava un vento nuovo nel mondo occidentale: finiva la paura dello scontro nucleare, si aprivano le frontiere dei paesi d’oltre cortina in seguito alla caduta del muro di Berlino. L’entusiasmo generale celebrava il ritorno alla pace, a una normalità sperata fin dall’inizio della Guerra Fredda nel 1947. L’inganno fu preso svelato quando gli Stati Uniti, nel 1991, si trovarono ad essere l’unica potenza mondiale senza competitori e così il Project for the New American Century (PNAC), teoria formulata negli anni ’70 da un gruppo di giovani intellettuali chiamati neoconservatori (detti neocon), sarebbe stato messo in opera dai governi repubblicani e democratici indistintamente. La dichiarazione di principio del progetto era inequivocabile: la storia del XX secolo ci dovrebbe aver insegnato ad abbracciare la causa dell’atlantismo.
A partire dagli anni Ottanta, gli Stati Uniti iniziavano a pianificare la frammentazione della Jugoslavia e nel 1991 con alcuni partner europei – Inghilterra, Germania – davano inizio alla sua dissoluzione. La Federazione Jugoslava era uno Stato internazionalmente riconosciuto, ogni ingerenza esterna implicava atti contrari al diritto internazionale.
Gli Stati Uniti condannarono l’economia socialista della Federazione Jugoslava, ritirando tutti i finanziamenti e prestiti e richiedendo l’immediato rientro per quelli in corso attraverso la Banca Mondiale. Contemporaneamente gli USA erogavano finanziamenti a partiti o gruppi nazionalisti d’estrema destra, i quali, grazie al loro aiuto economico, irrompevano nel panorama politico. Armi e addestramento militare vennero forniti dalla Germania alla Croazia. Nel 1995 la Croazia puliva etnicamente le Krajine serbe con l’appoggio del Pentagono e l’aiuto tecnico dell’agenzia di mercenari di Stato USA. La Turchia, con l’appoggio della CIA, aveva provveduto all’invio d’armi e alla preparazione militare dei terroristi del Kosovo, trasformati in seguito in Freedom Fighters.
Bill Clinton, che sposò fin da subito la dottrina neocon, autorizzava l’arrivo in Bosnia Erzegovina di mercenari islamisti di varia provenienza in supporto ad Alija Izetbegović. Tramite la CIA filtrarono armi e aiuti dall’Iran e con loro anche i servizi segreti iraniani. Molto denaro è fluito da Arabia Saudita e Iran alla Bosnia, non per ristrutturare l’economia distrutta dalla guerra, ma solo per costruire moschee e scuole islamiche, dove i giovani maschi potevano essere istruiti. “La Turchia considera la Bosnia suo dominio, parte della Trasversale Verde, il territorio un tempo occupato dall’Impero Ottomano. Quindi, in Europa oggi esiste una zona franca dove sunniti e sciiti convivono con la benedizione della Turchia, chiamata la Grande Madre” – scrive Visconti. Le sanzioni economiche, culturali e sanitarie sono state applicate dalla fine del 1991 fino al Trattato di Dayton con tragiche conseguenze sulla popolazione.
Il razzismo anti-serbo
La campagna di disinformazione venne messa in atto con grande abilità fin dall’inizio del processo di dissoluzione impiegando le maggiori agenzie di comunicazione. Con una tecnica martellante i media mainstream istillavano nel pubblico il concetto che i Serbi erano gli unici colpevoli di quanto succedeva in Jugoslavia, convincendo il pubblico che Belgrado voleva la Grande Serbia e che minacciava l’indipendenza delle altre repubbliche fino a poco prima membri della Federazione. In Bosnia, scenari sanguinosi erano stati creati allo scopo di giustificare gli interventi della NATO. Desidero ricordare la granata sui cittadini in fila per il pane nel 1992 a Sarajevo, e le due bombe lanciate sul mercato di Vase Miškina nel 1994 e nel 1995. Quest’ultimo massacro aveva scatenato i bombardamenti US/NATO su tutto il territorio serbo in Bosnia. Tutte queste carneficine vennero imputate ai serbi, rifiutando una commissione d’inchiesta e qualsiasi documentazione contraria alla verità prestabilita. I serbi erano i nuovi nazisti del 1992 e, dopo questa campagna mediatica razzista, sarebbe stato facile accusarli di qualsiasi crimine e intervenire militarmente con l’approvazione pubblica.
Dopo la Pace di Dayton nel 1995, ci fu un periodo relativamente tranquillo, la popolazione sperava nella ripresa, pur faticosa, della vita normale. Era un altro inganno, “una tecnica di tortura psicologica” afferma Visconti. A questo scopo fu messa in scena la fossa di Račak in Kosovo e venne organizzata la conferenza di Rambouillet per ottenere il movente ufficiale per l’attacco alla Jugoslavia. Slobodan Milošević – Presidente della Serbia dal 1989 al 1997 e Presidente della Repubblica Federale di Jugoslavia dal 1997 al 2000 come leader del Partito Socialista di Serbia -non avrebbe mai potuto accettare l’occupazione della Jugoslavia (Serbia e Montenegro) da parte della NATO e diventava evidente che gli Stati Uniti avrebbero appoggiato un governo kosovaro formato da criminali, con terribili conseguenze per le popolazioni kosovare di etnia non-albanese.
I crimini NATO in Jugoslavia mai processati
I crimini e le violazioni che gli USA e la NATO hanno commesso nei Balcani avrebbero iniziato ad essere evidenti nel tempo. Gli Stati Uniti e la NATO avevano violato scientemente una serie di trattati e accordi internazionali. In previsione di questa possibilità, già nell’agosto 1992, durante una riunione straordinaria a Ginevra della Commissione dei Diritti Umani, un rappresentante americano suggerì che l’ONU istituisse un Tribunale per i crimini commessi nei Balcani.
Il 25 maggio 1993, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, con la risoluzione 827 (1993) e 808 del 22 febbraio 1994, creava ai sensi del capitolo VII della Carta dell’Onu il Tribunale Penale Internazionale per i Crimini nella ex Jugoslavia. Il Tribunale ad hoc avrebbe rafforzato e sancito la legittimità delle azioni US e NATO nei Balcani, giustificato i “bombardamenti umanitari” e non sarebbe stato per nulla uno strumento imparziale di giustizia internazionale, ma piuttosto un modo per difendere gli interessi geopolitici del blocco occidentale. Questa scelta è stata attuata sul filo dell’illegalità e la gestione dei processi è stata completamente al di fuori dalla procedura normale della giustizia, piegando leggi e procedimenti alla necessità del tribunale di condannare alcuni imputati e assolvere altri dalle stesse incriminazioni. Il tema del “Tribunale ad hoc” rimane attuale ed è anzi imprescindibile per chi vuole dedicarsi alla interpretazione della crisi jugoslava contemporanea, consegnando una visione della giustizia amministrata dal Tribunale dell’Aja che illustra le infrazioni, violazioni del Diritto di coloro che l’hanno finanziato per coprire i loro crimini contro l’umanità.