La globalizzazione ha trascinato anche la ricorrenza consumistica del Black Friday, che cade il giorno seguente la festività, tutta statunitense, del Ringraziamento il quarto giovedì di novembre. Inizialmente caratterizzata dalle code di fronte ai negozi che diminuivano i prezzi per i saldi, si accentra oggi soprattutto sugli acquisti on line. E qui entrano in gioco le politiche di gestione del personale da parte del gigante delle vendite Amazon, caratterizzate in genere da basse retribuzioni e da pesanti controlli sull’attività dei dipendenti.
I lavoratori dell’enorme magazzino Amazon di Coventry, in Inghilterra, sono in sciopero da una decina di mesi e ciò ha favorito la creazione del raggruppamento di sindacati di vari Paesi denominato Amazon Global Union Alliance, che collabora con decine di associazioni nella campagna globale “Make Amazon Pay”. Questa riunisce oltre 80 sindacati, organizzazioni ambientaliste e della società civile, tra cui UNI Global Union, Progressive International e Greenpeace, che chiedono ad Amazon di pagare equamente i lavoratori, rispettare il loro diritto di aderire ai sindacati, pagare la giusta quota di tasse e impegnarsi per una vera sostenibilità ambientale.
Viene messo in discussione il modo in cui si è costretti a lavorare in Amazon. Indagini indipendenti rivelano che più del 50% degli addetti di Amazon segnalano problemi di salute fisica e psicologica a causa delle modalità della loro attività e del monitoraggio invasivo. Un rapporto del National Employment Law Project, un’associazione di patrocinio legale del lavoro statunitense, rileva che i magazzinieri di Amazon ricevono spesso salari molto più bassi rispetto ad altri lavoratori del settore e inferiori alla media di quelli dei territori in cui è presente lo stabilimento di quell’azienda. L’agenzia statunitense Federal Trade Commission e 17 Procuratori Generali statali hanno avviato una causa contro Amazon, accusandola di posizione monopolistica sul mercato, attuata con una serie di pratiche illegali che attentano alla concorrenza.
Tornando allo sciopero del Black Friday, Il 24 novembre 2023 e fino a lunedì 27, per il quarto anno consecutivo sono stati dichiarate agitazioni sindacali e proteste nelle sedi Amazon in 30 nazioni, anche in Italia, dove quel giorno è avvenuto il quarto sciopero presso lo stabilimento di Castel San Giovanni (Piacenza). Anche negli Stati Uniti, dove Amazon è nata, ha la sede centrale e impiega oltre un milione di persone, alcuni stabilimenti sono stati coinvolti nella protesta globale.
Già nel 2021, a Gage Park, nel South Side di Chicago, una trentina di lavoratori erano scesi in sciopero con lo slogan “Stop megacycle!”. “Megacycle” è il turno di 10 ore e mezza, dall’1:20 alle 11:50, che l’azienda pratica negli Stati Uniti, rovinando la vita di lavoratori ed autisti Amazon in Pennsylvania, Massachusetts, Florida, Georgia, Indiana e South Carolina e ponendoli di fronte alla scelta tra licenziarsi oppure lavorare nel cuore della notte.
“I lavoratori che hanno partecipato allo sciopero del 24 novembre hanno chiesto inutilmente alla dirigenza di mantenere un carico di lavoro ragionevole”, ha detto Ted Miin, un magazziniere Amazon di DIL3 che ha partecipato allo sciopero e fa parte di Amazonians United Chicagoland. Si tratta di un gruppo spontaneo che, invece di adire alla farraginosa procedura per introdurre nei reparti un sindacato, costantemente avversata dall’azienda, organizza petizioni collettive dal basso e walkout (abbandoni del posto di lavoro) per spingere i capi a una trattativa informale onde migliorare le condizioni di lavoro. Gli eventuali successi dei lavoratori in queste trattative informali non sono comunque ratificati in un contratto.
Negli stabilimenti Amazon degli Stati Uniti si registrano negli ultimi anni anche tentativi di sindacalizzazione in piena regola, sospinti dalla fase di notevoli lotte per migliorare retribuzioni e condizioni di lavoro che sta attraversando tutta la nazione.
La vertenza attuale, organizzata dal grande sindacato dei Teamsters (camionisti), mostra ancora una volta le politiche antisindacali di Amazon negli USA. Sono appunto conducenti di furgoni quelli che hanno picchettato il 20 novembre un magazzino Amazon a Chicago contro le pratiche di lavoro sleali dell’azienda. Quel picchetto è solo l’ultimo di uno sciopero di quattro mesi da parte degli 84 autisti della stazione di consegna della società a Palmdale, in California, che si è poi diffuso in 25 magazzini in tutto il Paese. Dichiarati dai Teamsters, gli scioperi erano iniziati a giugno e sono proseguiti in nove Stati dell’Unione. Quando i conducenti di Amazon in California hanno cercato di sindacalizzarsi, Amazon ha rifiutato di riconoscere il contratto sindacale firmato (il primo ottenuto da autisti Amazon nel Paese), negoziato nell’aprile scorso con il suo partner di consegne Battle-Tested Strategies, a cui erano state esternalizzate le consegne. Amazon, vista la mala parata del contratto, è rientrata in campo vietando l’applicazione della contrattazione collettiva ottenuta e attuando dozzine di pratiche di lavoro sleali in violazione della legge federale sul lavoro, fino al licenziamento.
“Questi lavoratori stanno sfidando direttamente il modello di business di sfruttamento di Amazon e le sue violazioni della legge, che stanno abbassando gli standard in tutto il nostro settore”, ha dichiarato Victor Mineros, segretario di Teamsters Local 396 a Los Angeles.
Per quanto riguarda invece la sindacalizzazione dei dipendenti diretti di Amazon negli stabilimenti di smistamento degli ordini della clientela, la sconfitta di Bessemer (Alabama) sembrava chiudere ancora una volta le porte all’ingresso del sindacato in Amazon, che si caratterizza come una roccaforti dell’anti-sindacalismo statunitense. Il voto a Bessemer della primavera 2021 era stato invalidato dall’Ente federale National Labor Relations Board (NLRB) che vigila sui diritti sindacali, a causa degli ostacoli illegali che l’azienda aveva messo in campo. Anche il secondo voto nell’aprile 2022, però, aveva visto la sconfitta sindacale. La vicenda è finita nuovamente ai ricorsi e un giudice dovrà ulteriormente verificare le denunce reciproche delle Parti e le centinaia di voti contestati.
Anche la vittoria sindacale di Amazon Labor Union (un sindacato indipendente dalle grandi confederazioni) in un magazzino di Staten Island (New York), avvenuta lo scorso anno, è bloccata dal rifiuto di Amazon di trattare un contratto, malgrado le ingiunzioni del NLRB.
Amazon si sta comunque portando avanti, per arrivare magari in futuro a fare a meno di chi chiede una trattativa collettiva dei diritti e non può lavorare al ritmo di una macchina: nelle ultime settimane ha annunciato che i suoi magazzini stanno iniziando ad adottare nuovi bracci robotici e selezionatrici alimentate dall’intelligenza artificiale, a partire da un centro di distribuzione a Houston.
Negli Stati Uniti, dov’è nata l’immensa catena di distribuzione merci di Amazon, non sono stati molti i lavoratori coinvolti nello sciopero del Black Friday, ma continuano le iniziative per costringerla ad accettare la democrazia e i diritti dei lavoratori nei propri stabilimenti.
Fonti principali:
L.K. Gurley, USA: Amazon workers in Chicago strike over ruthless ‘Megacycle’ shifts, Business & Human Rights Resource Center, 8.4.2021
National Employment Law Project, Report a good living: Amazon can and must make a middle-income livelihood possible for the people who work in its warehouses, 26.9
T.Feurer, Amazon drivers strike in Chicago, accusing company of unfair labor practices, CBS News Chicago, 24.11
New wave of “Make Amazon Pay” strikes and protests on Black Friday in over 30 countries, UNI Global Union, 24.11