La destra dell’ultraliberista Milei ha vinto. Non eravamo in tanti a mettere in dubbio la sua vittoria. Avevamo torto? Non credo proprio. Non essendo notai né scrivani, dovevamo provarci. E ci abbiamo provato.
Lungo la nostra vita possiamo assumere diverse posture: eretta, seduta, in ginocchio, prona, supina… ma, nel nostro presente cupo e opprimente, credo sia indispensabile assumere una postura eretta, sviluppare un’attitudine volta a fronteggiare le asperità drammatiche del presente con una opposizione frontale al danno, anche quando si è impotenti. Una resistenza senza travestimenti che rende salda la propria esplicita contrarietà.
Bisogna mantenere una posizione eretta ma non rigida, imparare dal salice affinchè l’urto del presente possa piegarci senza spezzarci. Vivere come un corpo poroso, essere un sensibile recettore di ciò che avviene intorno a noi. Nel mondo prossimo e in quello distante, dobbiamo essere il corpo resistente di una mente che sogna.
La peggiore sconfitta è quella che ci rende impossibile continuare a sognare. “Sognare” è oggi un imperativo che vale fin quando tutto non sarà come vogliamo, ovvero per sempre.
Francisco “Paco” Urondo, poeta argentino nato nel 1930 a Santa Fe e assassinato dai militari a Mendoza nel 1976, scrisse poco prima dell’imboscata in cui l’uccisero: “Non si vede nessuno in tutto il sud; siamo soli; da soli innalziamo la nostra speranza, da soli rimonteremo questo pantano” (“En el sur”). Nel 1973, dopo essere stato recluso nel carcere Villa Devoto, Urondo scrisse: “Dall’altra parte delle sbarre c’è la realtà, ma anche da questa parte delle sbarre c’è la realtà; la sola irrealtà è la sbarra; la libertà è reale pur se non si sa bene se appartiene al mondo dei vivi, al mondo dei morti, al mondo delle fantasie o al mondo della vigilia, a quello dello sfruttamento o della produzione … Pur se a volte sembra una bugia, la sola bugia non è nemmeno il tradimento. È semplicemente una sbarra che non appartiene alla realtà” (“La verità è la sola realtà”). Dalle parole di Urondo estraggo due grandi lezioni: la prima è che ogni pantano può essere rimontato; la seconda è che le uniche cose surreali sono le sbarre che ci impediscono di volare. Di volare perché, diversamente dalla situazione in cui si trovava, le nostre sbarre sono per definizione più malleabili essendo dentro la nostra testa.
Riguardo alla vittoria dell’ultradestra argentina di Milei, ho veramente poco da dire e probabilmente risulterei ripetitivo nel cercare di spiegare il perché della sconfitta. Mi limito a ricordare la distanza tra le aspettative possibili e la verità vera, e cioè tra gli immaginari.
Un secolo fa, l’Argentina era uno de Paesi più ricchi del mondo, mentre oggi è un Paese indebitato per i prossimi 100 anni grazie al governo Macri e al Fondo Monetario Internazionale.
Questa non è una dimensione congiunturale, in quanto sarebbe difficile commentare questo risultato con un termine diverso di “sconfitta provocata dalla colossale inadeguatezza di una classe dirigente inetta e incapace”. È proprio su questo che ha fatto leva Milei. Quel paese ricco diretto da inetti, che è l’Argentina, ha creato il solo Stato sociale realmente esistente in America Latina. Non è un caso che Milei intenda distruggere proprio questo welfare state e privatizzare per spartirsi i proventi della sanità, della scuola, delle case popolari e dell’assistenza sociale. In questo senso, L’Argentina di Milei sarà più simile al Cile di Pinochet o al Perù di Fujimori: l’ennesimo esperimento di neoliberismo in America Latina.
Non sarà un bel vedere, non sarà indolore. Passata la sbornia di neoliberismo, a scoprire i danni saranno proprio i giovani, gli stessi che hanno votato Milei e che l’hanno seguito esattamente come i serpenti seguono il proprio incantatore. Supereranno l’ubriacatura solo quando capiranno i meccanismi di causa-effetto delle sue politiche future. Nonostante ciò non c’è nulla di cui rimproverarli: i giovani argentini sono orfani di proposte politiche credibili.
Avviene in ogni latitudine e la responsabilità primarie appartengono sempre a coloro che togliendo ai giovani ogni possibilità di sognare, li hanno costretti a sopravvivere nell’incubo della precarietà e della povertà al quale, diversamente da molti altri poveracci del mondo, non erano abituati.
Semplicemente, sono giovani che vogliono continuare a sentirsi parte dei leoni. Le illusioni sono dure a morire, anche quando si abita nel Viale del Tramonto. Per ora mi fermo qui, ma aggiungo solo che non dobbiamo disperare ma, anzi, dobbiamo rinforzarci, magari compartendo le pene con i propri cari, con i propri amici, con i compagni, mangiando in compagnia e tappando porte e finestre per superare l’uragano.
Insomma, il Sole sorgerà anche domani, anche per noi, reduci malconci di tante sconfitte.
Una volta verificato di essere ancora vivi e che “I morti che avete ammazzato, godono di buona salute”, ripartiremo. Come? Con chi? Prendiamoci qualche ora per rifletterci. Veniamo da una vecchia storia che avrebbe dovuto insegnarci qualcosa e, per quanto mi riguarda, cercherò di riflettere e avvicinarmi in tentativi successivi.
Chiudo ricordando l’angelo della storia di Walter Benjamin, il grande filosofo e critico d’arte morto suicida nel 1940 per scappare dei nazisti: “C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta.”