Dal 24 al 27 ottobre si è svolto a Ravenna  il Forum sull’energia “Vivere senza il fossile è possibile e necessario”. L’iniziativa ambientalista – promosso dalla Campagna “Per il Clima, Fuori dal Fossile”, dal Gruppo energia per l’Italia, dalla Rete Emergenza Climatica e Ambientale Emilia-Romagna e dalla Rete NoRigassificatori NoGNL – ha rappresentato la risposta al vertice OMC (Med Energy Conference and Exhibition) che periodicamente porta a Ravenna i massimi rappresentanti del mondo dell’estrattivismo oil & gas: una manifestazione che, dietro le parole d’ordine fin troppo abusate di “transizione energetica”, “decarbonizzazione” e “sostenibilità”, ha in realtà riproposto le scelte delle mutinazionali del settore fossile il cui obiettivo è quello di continuare a fare enormi profitti compromettendo il futuro del nostro Pianeta. Non per nulla Ravenna è considerata dalle corporation del fossile la loro capitale italiana e non è un caso se Ravenna è stata individuata dalla Snam come sede di un nuovo rigassificatore e dall’ENI come luogo in cui sperimentare il suo progetto di cattura e stoccaggio della CO2 (CCS).

Il Forum ambientalista, incentrato sulla indifferibile necessità di sostituire le fonti fossili con fonti energetiche rinnovabili, sicure e decentrate, si è articolato in una serie di incontri pubblici durante i quali, con il supporto di esperti qualificati, sono stati affrontati i vari temi inerenti la crisi climatica, i danni derivanti dagli eventi meteo estremi e il governo democratico del territorio. Nella mattina del 24 ottobre i movimenti ambientalisti hanno dato luogo ad un presidio davanti al Pala De Andrè dove era in corso il vertice OMC.

La prima giornata dei lavori, nel pomeriggio del 25 ottobre, ha avuto come tema: “Crisi climatica: c’è ancora tempo?”. La relazione iniziale è stata tenuta da Vincenzo Balzani, chimico e professore emerito dell’Università di Bologna. “La componente più pericolosa per il Pianeta – ha detto Balzani – è la specie umana, che ha trattato la Terra come mera fornitrice di beni e servizi. Ciò ha prodotto una situazione di insostenibilità sotto il profilo ambientale e sociale. Il mercato non è in grado di difendere il clima e l’ambiente. Contro l’idea disastrosa della crescita senza limiti è necessaria una rivoluzione culturale. Bisogna comprendere che la Terra è solo un puntino nello spazio, essa è il nostro limite. Il Pianeta va custodito, non consumato. Sole, vento e acqua costituiscono l’energia primaria; sono fonti inesauribili, gratuite e ben distribuite in tutto il mondo. Solo sulle rinnovabili possiamo costruire il nostro futuro, un futuro di pace poiché le fonti fossili, oltre ad inquinare ed essere la prima causa del cambiamento climatico, sono state e sono la causa di molte guerre”.

Vittorio Marletto, fisico e già responsabile dell’Osservatorio Clima dell’Arpae, ha affrontato il tema: “Il ruolo del gas e perché bisogna uscirne”. Riprendendo un vecchio slogan, Marletto ha osservato che “non è affatto vero che il metano ci dà una mano perché è un gas climalterante oltre 80 volte più potente della CO2 nei primi 20 anni di permanenza nell’atmosfera. Un terzo dei gas serra è dovuto al metano. L’utilizzo dei combustibili fossili ha prodotto un aumento della CO2 da 280 parti per milione, prima dell’era industriale, alle 424 di oggi, equivalenti alla produzione di circa sette tonnellate di anidride carbonica ogni anno per ciascun essere umano. Ad estati torride seguono bombe d’acqua e alluvioni. I cambiamenti climatici repentini stanno diventando la nuova normalità. In Emilia-Romagna la scorsa primavera è caduto in poco tempo l’equivalente di cinque mesi di piogge, il che ha provocato l’esondazione di 23 corsi d’acqua e 280 frane, con conseguenti elevatissimi danni. La chiave è smettere di finanziare le fonti fossili e passare subito alle rinnovabili”.

Del nucleare, che il governo Meloni intende rilanciare nonostante sia stato bocciato da ben due referendum, ha parlato Margherita Venturi, chimica e professoressa dell’Alma Mater. “Il nucleare viene riproposto come una soluzione alla gravissima crisi climatica in atto – ha detto Venturi – ma in realtà non può essere considerato una soluzione perché la realizzazione di centrali nucleari richiede tempi molto lunghi, almeno 10 anni, mentre dobbiamo intervenire subito. Il nucleare è inoltre insostenibile sotto l’aspetto economico perché ha costi altissimi, ed è insostenibile sotto quello ambientale perché richiede molta acqua e perché non è stato ancora risolta la questione dello stoccaggio delle scorie radioattive. Negli Stati Uniti è stato abbandonato il grande progetto di Yucca Mountain perché il deposito non dava requisiti di sicurezza. Quanto al nucleare di quarta generazione esso non esiste ancora perché siamo in piena fase sperimentale, e la fusione è materia da futurologi”.

Massimo Polidoro, divulgatore scientifico, segretario nazionale del CICAP e noto al pubblico televisivo come collaboratore di Piero Angela, ha affrontato la questione del negazionismo climatico. Polidoro ha messo in evidenza che le multinazionali del fossile usano la stessa strategia che per decenni è stata utilizzata dai produttori di tabacco e dalle industrie inquinanti, come quelle del DDT e dell’amianto. L’obiettivo di questa strategia è seminare nell’opinione pubblica confusione e incertezza. Così ci si avvale di esperti o pseudo tali che hanno il compito di alimentare il dubbio, spostando la causa su altri argomenti. “Il fumo fa male? Non lo si negava apertamente ma si puntava a far credere che il cancro ai polmoni era dovuto non alle sigarette ma all’inquinamento ambientale. Così oggi – ha detto Polidoro – non si nega apertamente il cambiamento climatico ma si mira a far credere che la causa non è l’utilizzo dei combustibili fossili ma dipende da cicli climatici che sono sempre esistiti. L’obiettivo è chiaro: continuare ad utilizzare le fonti fossili e ridurre al minimo ogni regolamentazione”.

Il 26 ottobre, seconda giornata dei lavori, è stato affrontato il tema dell’alluvione: “La crisi climatica, l’ingiustizia sociale degli eventi estremi, la gestione del territorio”.  L’urbanista Gabriele Bollini si è soffermato in particolare sugli eventi che hanno colpito recentemente l’Emilia-Romagna. “La nostra Regione – ha detto Bollini – è al primo posto in Italia per pericolosità idraulica e occupa il quarto posto per consumo di suolo. Non si può pensare che per risolvere il problema della esondazione dei fiumi basta alzare gli argini. Se non si affrontano seriamente il cambiamento climatico e la fragilità del territorio è illusorio credere che si possa garantire la sicurezza. Nel suolo urbanizzato e cementificato l’acqua non si infiltra nel terreno ma scorre. Dobbiamo essere consapevoli che le temperature continueranno a crescere e che, di conseguenza, tali eventi continueranno a verificarsi con sempre maggiore frequenza. Se si costruisce in zona alluvionale è inevitabile che, prima o poi, si finisce sott’acqua. Occorre restituire ai fiumi gli spazi che gli abbiamo tolto attraverso scelte urbanistiche dissennate. E’ necessario cambiare paradigma: il territorio non va ricostruito ma va riprogettato”.

Il tema dei fiumi e del territorio nella riprogettazione delle politiche ambientali è stato trattato da Bruna Gumiero, docente dell’Università di Bologna, la quale ha detto: “Il problema del rischio dei fiumi lo abbiamo creato noi. Consideriamo il fiume come un tubo per far scorrere più velocemente l’acqua al mare. E’ la velocità che amplifica il pericolo. Più spendiamo denaro per modificare il corso dei fiumi e più dobbiamo spendere per riparare i danni. Quindi è un disastro anche dal punto di vista economico, non solo sotto l’aspetto ambientale e sociale. Tagliare gli alberi è la soluzione più facile, ma la vegetazione riparia non è mai la causa principale della esondazione dei fiumi. Il vero problema è che abbiamo tolto spazio ai fiumi e si sono costruiti centri commerciali e attività artigianali in quelle aree perché costavano poco. In alcuni casi è necessario delocalizzare. Dobbiamo creare zone allagabili a monte. La questione va affrontata secondo un approccio interdisciplinare. E’ l’economia che deve adeguarsi all’ambiente naturale e non viceversa, altrimenti i danni saranno sempre maggiori”.

Alessandra Bonoli, docente dell’Università di Bologna, ha affrontato il problema della mitigazione e dell’adattamento alla crisi climatica spiegando con quali tecnologie di verde urbano si può intervenire per migliorare la vivibilità nelle città. Bonoli ha ricordato che la Pianura Padana è la peggiore in Europa per inquinamento atmosferico ed è una delle aree in cui si registra il maggior tasso di morti premature per Pm 2,5. Nelle aree urbane le temperature possono essere anche di diversi gradi in più rispetto a quelle agricole. “Una tecnologia che si sta affermando sempre di più – ha detto Bonoli – è quella dei tetti verdi, ovvero la messa a dimora di vegetazione sulla copertura di un edificio. Il tetto verde è un ottimo sistema di coibentazione dell’edificio perché garantisce il caldo d’inverno e il fresco d’estate. La temperatura non supera mai i 35 gradi contro gli 80 delle coperture tradizionali. Diversi sono i benefici ambientali e sociali: mitigazione del microclima, riduzione dell’inquinamento atmosferico e sonoro, risparmio energetico e migliore rendimento dei pannelli solari”.

Nella terza e ultima giornata dei lavori, il 27 ottobre, è stato affrontato il problema delle alternative all’utilizzo delle fonti fossili. Il primo ad intervenire è stato Leonardo Setti, docente dell’Università di Bologna e Coordinatore del Centro per le Comunità Solari. “Quello dei combustibili fossili – ha detto Setti – è il sistema centralizzato per eccellenza. Dalla produzione fino alla distribuzione tutto è gestito da poche mani. E’ il regno delle grandi società multinazionali di petrolio e gas. L’altro sistema più centralizzato è il nucleare. Se salta un oleodotto, un metanodotto o una centrale salta tutto. La centralizzazione dell’energia consente di tenere sotto controllo l’intera società. Le fonti energetiche alternative, e in particolare il solare, sono la risposta più efficace alla crisi climatica. E questo su molti piani: ambientale, economico e sociale. In un corpo malato chi lo salva sono gli anticorpi. L’energia è il sangue della società e gli anticorpi, nel nostro caso, sono costituiti dalla micro generazione energetica dal basso. La Comunità Solare è formata dai cittadini, che da utenti diventano protagonisti. La Comunità Solare non ha bisogno dello Stato ed è pertanto la forma più democratica di produzione e gestione dell’energia”.

L’intervento successivo è stato quello di Anna Fedriga, attivista di Fridays for Future, che ha portato al Forum il punto di vista delle giovani generazioni sulle azioni da mettere in campo per combattere il cambiamento climatico. “Noi giovani siamo molto preoccupati, e sotto certi aspetti anche angosciati, per il nostro futuro. Ci chiediamo se potremo mai arrivare a 50 anni. Le nostre azioni di protesta sono simboliche perché mirano a richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sulla gravità della situazione climatica. Cospargerci di fango, come abbiamo fatto davanti al Senato, significa dire a tutti che rischiamo di affogare se non si interviene subito. E invece lo Stato come risponde? Con la nostra criminalizzazione, mentre dovrebbe perseguire le grandi aziende del settore fossile che, per ragioni di profitto, stanno trascinando il nostro Pianeta verso il baratro. Noi siamo consapevoli che solo lottando, in modo nonviolento e anche attraverso forme di disobbedienza civile, possiamo svegliare chi ci governa e ottenere risultati”.

Barbara Domenichini, attivista ecofemminista, ha in ultimo affrontato il tema dei beni comuni (urbani, materiali e immateriali). “Il concetto di beni comuni – ha detto Domenichini – indica quei beni, come l’acqua, l’aria e l’ambiente, che sono di proprietà collettiva. Sono di origine antichissima e comprendono i diritti di una comunità di godere dei frutti di una determinata risorsa: in questo caso parliamo di usi civici, tuttora esistenti nel nostro Paese. I beni comuni non sono da confondere con la proprietà pubblica, cioè dello Stato. Il sistema capitalistico è sempre stato ostile ai beni comuni e oggi la spinta alla privatizzazione è fortissima. Basti vedere quello che accade con la gestione dell’acqua, nonostante la vittoria nel referendum. L’idea di bene comune ha uno stretto rapporto con l’autogoverno delle comunità. Anche il diritto all’energia rientra tra i beni comuni e le comunità energetiche e solari sono un chiaro esempio di gestione collettiva di questo bene”. Domenichini ha anche ricordato il ruolo di Stefano Rodotà nella difesa dei beni comuni, dal diritto alla vita alla conoscenza in rete, quali diritti inalienabili di tutti i cittadini.

Al termine di ogni relazione è seguito un dibattito che ha approfondito le tematiche trattate nella tre giorni del Forum alternativo sull’energia.