a. Dopo il compromesso raggiunto dalla Presidenza spagnola sulla cancellazione dell’emendamento proposto dalla Germania a tutela delle attività di ricerca e soccorso in mare operate dalle ONG, Giorgia Meloni si scatena sui media con l’ennesima ondata di dichiarazioni trionfalistiche sul successo delle politiche migratorie italiane e sul “cambio di passo” che avrebbe imposto a livello europeo. Al centro delle sue dichiarazioni dopo l’accordo raggiunto al COREPER ( Comitato dei rappresentanti permanenti degli Stati membri) su una bozza di Regolamento per le crisi, la strumentalizzazione e le cause di forza maggiore, il ritiro da parte della Germania dell’emendamento che avrebbe escluso che le “operazioni di soccorso umanitario” potessero essere considerate un fattore di strumentalizzazione dei migranti che potrebbe portare ad una dichiarazione di situazione straordinaria di rischio, tale da permettere alle autorità statali di disapplicare le norme imposte dalla Carta dei diritti fondamentali, dalle Direttive e dai Regolamenti europei, a tutela dei diritti fondamentali e in particolare del diritto di asilo. La bozza approvata dal COREPER prevede la fusione di due diversi Regolamenti proposti dalla Commissione: il Regolamento per le crisi e le cause di forza maggiore e il Regolamento sulla strumentalizzazione nel campo della migrazione e dell’asilo. Si prevedono ampie possibilità di deroga da parte degli Stati membri rispetto agli obblighi derivanti dai (futuri) Regolamenti in materia di asilo, anche se i meccanismi di autorizzazione da parte del Consiglio e della Commissione appaiono molto farraginosi e potranno dare luogo a continui conflitti tra gli Stati membri. Adesso l’intero pacchetto dovrà essere approvato in sede legislativa dal Consiglio dell’Unione Europea e passare subito dopo all’esame del Parlamento.

In realtà il ritiro dell’emendamento tedesco appare più legato alle elezioni in Germania, sabato 8 ottobre si vota in Baviera, ed al fuoco incrociato che, dalla AFD, il partito neonazista alleato di Salvini, fino ad Elon Musk, padrone di Twitter, si sta abbattendo sul cancelliere Scholz e sui partiti della coalizione al governo, proprio sulle politiche migratorie e sui rapporti con le ONG. E la Meloni adesso festeggia il “passo indietro” della Germania sul tema divisivo delle operazioni umanitarie di soccorso in mare operate dalle Organizzazioni non governative. In realtà questo passo indietro della Germania non c’è stato del tutto, perché l’emendamento a tutela delle attività di ricerca e salvataggio delle ONG che Scholz voleva inserire nel testo del Regolamento è rimasto nei “considerando” che ne costituiscono la premessa e, se non ha valore “normativo”, rimane un criterio interpretativo vincolante anche per i giudici nazionali.

Se invece guardiamo alle richieste italiane sul nuovo Patto europeo sulla migrazione e l’asilo, che dovrebbe essere approvato entro maggio del prossimo anno, prima delle elezioni europee, soprattutto se si leggono i documenti, oltre le dichiarazioni opportunistiche dei capi di governo, continuiamo a verificare come tutte le richieste italiane siano state sostanzialmente respinte. Anche la possibilità di deportare i migranti verso i paesi di transito, dopo il diniego su una richiesta di asilo, rimane assai remota, soprattutto per la modestia delle risorse finanziarie che l’Unione Europea sta investendo nei rapporti con i paesi nordafricani, mentre prevale in tutti i nuovi Regolamenti la preoccupazione di arrivi sempre più massicci dal fronte orientale, soprattutto per gli incerti sviluppi del conflitto in Ucraina e per le persistenti situazioni di crisi sulle rotte balcaniche.

L’Unione europea ha respinto la richiesta italiana di respingimenti collettivi indiscriminati verso paesi terzi di migranti giunti irregolarmente nel nostro territorio. Nei consigli europei che si sono svolti prima dell’estate, nei quali si è discusso nelle sue linee fondamentali il Patto europeo sulle migrazioni e l’asilo, la questione della ‘connessione’ del migrante con il Paese di transito era stato uno degli ultimi punti di frizione: alcuni Paesi insistevano  affinché il rinvio nel Paese di transito di un migrante fosse possibile solo nel caso in cui ci fosse un collegamento tra la persona e quel Paese, mentre altri Paesi, come l’Italia, non volevano che sussistesse questa connessione. Alla fine il richiamo alla “connessione” è rimasto, e soprattutto i paesi terzi hanno fatto sapere di non volere accettare migranti irregolari giunti in Italia che non fossero loro cittadini. Le tristi vicende del Memorandum tra Unione europea e Tunisia, fortemente sponsorizzato dalla Meloni, confermano questo orientamento di chiusura dei paesi terzi rispetti alla richiesta italiana di riammissioni indiscriminate. Il Paese di transito deve essere  comunque un “Paese terzo sicuro”, secondo quanto previsto dal diritto  internazionale, oltre che dal diritto dell’Unione Europea.. Le deroghe previste a livello europeo non possono scalfire il divieto di refoulement affermato dall’art.33 della Convenzione di Ginevra sui rifugiati.

I trasferimenti secondari rimangono su base volontaria, il supporto per il blocco navale nel Mediterraneo centrale, da affidare ad unità europee e nordafricane, è scomparso dall’orizzonte delle questioni in discussione, l’attuazione dei “rimpatri veloci” rimane nelle dichiarazioni elettorali, ma si scontra con la realtà dei fatti. La detenzione amministrativa durante le procedure in frontiera per i richiedenti asilo provenienti da paesi terzi “sicuri”, rimane ancora priva di una copertura europea, come stanno rilevando i giudici in Italia.

In ogni caso, quanto deciso dal COREPER, il comitato ombra dei rappresentati permanenti degli Stati membri presso l’Unione europea, rimane per ora una bozza, e deve essere confermato dal Consiglio europeo informale di Malaga dal 6 al 7 ottobre, poi ancora approvato a fine anno dal Consiglio europeo in sessione legislativa, e quindi sarà oggetto di un confronto con il Parlamento europeo, che si annuncia molto duro.

 

b. I paesi a guida sovranista avranno ben poco margine per gestire in autonomia i piani di solidarietà nelle situazioni di emergenza, che saranno costantemente monitorati, valutati ed interrotti, se necessario, dal Consiglio e dalla Commissione europea, e questo spiega la strenua opposizione di Orban e di altri governi sovranisti alla bozza sulle situazioni di crisi, di forza maggiore e di strumentalizzazione delle migrazioni, che adesso dovrebbe diventare un Regolamento europeo, se le istituzioni europee coinvolte riusciranno a completare entro maggio del prossimo anno il complesso iter legislativo previsto dai Trattati.

Nel suo complesso la bozza del nuovo Regolamento sulle situazioni di crisi e sulla strumentalizzazione, da inquadrare nel Patto europeo sulla migrazione e l’asilo, ratifica una serie di deroghe alle procedure ed agli standard minimi in materia di protezione internazionale che gli Stati membri stanno già praticando a livello nazionale, in contrasto con la vigente normativa europea, come è apparso evidente in Italia nel caso delle procedure accelerate in frontiera approvate con il Decreto Cutro (oggi legge n.50/2023).

Si può concludere che siamo davvero alla definitiva demolizione del diritto di asilo in Europa, e siccome non ci saranno certo i rimpatri di massa che i governi auspicano, siamo di fronte all’ennesima riproduzione istituzionale della “clandestinità”, con una moltiplicazione esponenziale dei movimenti secondari da uno Stato UE ad un altro, che l’inasprimento dei controlli di frontiera, e la caduta del sistema della libera circolazione introdotto con il Trattato di Schengen, non riusciranno certo ad arginare.

Continua a mancare una seria politica nei confronti dei paesi frontalieri della sponda sud del Mediterraneo, continuano a mancare canali legali di ingresso per i cd. migranti economici, al di la di modeste “quote flussi” che appaiono irrisorie rispetto al calo della natalità in Europa e rispetto alle persone che potrebbero arrivare nei prossimi anni alle frontiere europee.

Il conflitto in Ucraina, che sembra ormai diventato endemico, costituisce poi una pesante ipoteca sulle decisioni che saranno prese a Bruxelles sulla dichiarazione di situazioni di crisi e di strumentalizzazione delle migrazioni, dove potrebbe pesare di più la situazione al confine tra la Bielorussia e la Polonia, o tra la Moldavia e la Russia, piuttosto che gli arrivi attraverso al Mediterraneo, che si mantengono agli stessi livelli degli anni successivi alla crisi siriana, dal 2014 al 2017.

Nella frenetica attività diplomatica dei governi europei e delle istituzioni dell’Unione non si vede una vera politica europea comune sulle migrazioni e l’asilo, malgrado gli annunci rassicuranti dei leader, preoccupati soltanto del loro consenso elettorale. Manca qualunque accenno ai valori di solidarietà e umanità sui quali si fondava l’Unione Europea, e se si parla di solidarietà si usa il termine per rafforzare la collaborazione nelle politiche repressive di respingimento e di sbarramento delle frontiere esterne. La politica dell’Unione appare sempre più ridotta ad una politica intergovernativa, con un ruolo preponderante del Consiglio formato dai capi di governo, rispetto al Parlamento eletto dai cittadini europei. E le prospettive dopo le elezioni del 2024 appaiono assai fosche, con l’avanzata dei partiti neonazisti, e con lo smottamento a destra del partito popolare. Manca soprattutto una vera sinistra di opposizione, tanto a livello nazionale quanto a livello europeo, ed in questo campo prevale la frammentazione e, purtroppo, affiorano anche segni di nazionalismo e di populismo.

Sarà questo un terreno di impegni e di proposte, anche organizzative, che si dovranno praticare a livello nazionale e transnazionale in vista delle prossime elezioni europee, per salvaguardare il diritto di asilo, per garantire i diritti fondamentali a tutte le persone in movimento, incluse quelle che vengono definite come “migranti economici”, per contrastare l’abbattimento dei sistemi di accoglienza, e tutte le forme di detenzione arbitraria o di respingimento violento in frontiera, che potrebbero verificarsi in nome della difesa dei confini europei.

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