Da fine giugno il Collettivo Rotte Balcaniche Alto Vicentino è partito per un progetto di solidarietà attiva e monitoraggio verso la frontiera più esterna dell’Unione Europea, al confine tra Bulgaria e Turchia. Pubblichiamo il terzo report delle “operazioni di ricerca e soccorso” che il Collettivo sta portando avanti, rispondendo alle chiamate di emergenza che segnalano la presenza di migrantə in difficoltà nelle zone di confine, anche di persone disperse da settimane o mesi. In questa cronaca si racconta del ritrovamento del corpo senza vita di Saif Al-Ahmad, un ragazzo siriano di 22 anni. Come lui moltə altrə tentano il viaggio ogni giorno, e muoiono nelle foreste senza che nessuno lo sappia. Questa storia vuole parlare anche per tutte le altre che non potranno essere raccontate, affinché non rimangano seppellite nel silenzio dei confini.
La richiesta di aiuto
Sabato 26 agosto 2023. Alle 20.30 Consolidated Rescue Group ci invia una segnalazione: Saif Al-Ahmad, un ragazzo siriano di 22 anni, è svenuto nel bosco. Prepariamo lo zaino. Sappiamo, date le esperienze precedenti delle compagne e dei compagni, che sarà una lunga notte. Ci portiamo le torce, da mangiare, qualcosa per il freddo e l’umidità. Partiamo senza aver cenato e chiamiamo il 112. Dall’altra parte della linea troviamo una persona disponibile, ma purtroppo la barriera linguistica crea incomprensioni e irrigidimenti. Ad ogni modo, dopo una serie di telefonate in cui rendiamo note le coordinate in cui si trova il ragazzo e le nostre, l’operatrice ci tranquillizza: l’ambulanza è stata chiamata.
Il punto in cui si trova il ragazzo è situato in una zona collinare tra i paesi di Rosenovo e Panchevo. Scoperto che a Panchevo la strada sterrata si fa ben presto impraticabile, decidiamo di avvicinarci alle coordinate passando da Rosenovo e, poco dopo la fine del paese, divenuta la strada impercorribile per il nostro mezzo, parcheggiamo. Richiamiamo il 112.
“La polizia è stata lì e non ha trovato nessuno”
Sono le 00.35, sono passate due ore da quando abbiamo segnalato la necessità di un’ambulanza e chiediamo aggiornamenti. La centralinista, questa volta una persona dalla voce decisamente meno soave, ci rassicura dell’avvenuto intervento ed esplicita il nominativo della persona in pericolo, nominativo che però nelle telefonate successive dovremo più volte ripetere perché, così ci verrà detto, non registrato. Facciamo notare che pur essendo arrivati a Rosenovo non vediamo né l’ambulanza né la polizia. Rimaniamo in attesa svariati minuti, mentre la centralinista traduce la chiamata al “duty officer”. Ci comunicano che la polizia ha già svolto il proprio lavoro: “La polizia è stata lì e non ha trovato nessuno. Perché volete andare?”. Il tono secco e perentorio è di chi cerca di dissuaderci dal recarci sul posto. Insistiamo manifestando preoccupazione per il ragazzo: come può essere scomparso se era svenuto? Ci viene allora chiesto di recarci nel centro di Rosenovo e aspettare la polizia, acconsentiamo e dettiamo nuovamente la posizione di Saif Al-Ahmad anche se questa sembra coincidere con quella già in loro possesso.
Neanche il tempo di riavviare la macchina che il telefono squilla. La centralinista del 112 ci chiede se siamo in contatto con il ragazzo, come facciamo a sapere la sua posizione e perché abbiamo scelto di passare da Rosenovo. Spieghiamo il nostro ruolo di supporto alle persone in cammino e del perché siamo giunti fino a quella cittadina. Dopo un’ulteriore attesa la centralinista afferma di aver fornito la “nuova” posizione del ragazzo (in realtà abbiamo continuato a dettare le medesime coordinate) alla polizia e dichiara che non è necessario aspettarli. Chiediamo se possiamo procedere visto che il ragazzo è collassato. La centralinista acconsente e ci raccomanda di avere attenzione nel procedere visto la zona boschiva e l’orario notturno.
Procediamo a piedi. Dopo aver seguito una mulattiera scendiamo lungo un crinale fino ad arrivare al corso di un torrente. La presenza di zaini, guanti e lattine sono il chiaro segnale del passaggio di un gruppo di persone. Alle 2.15 arriviamo nel preciso punto della segnalazione. Troviamo una persona dentro ad un sacco a pelo con il viso coperto da un telo di plastica accuratamente ripiegato. Proviamo a muoverlo per vedere se reagisce ma il corpo è rigido. Togliamo il sacco dal capo, il viso è coperto sino al naso dal cappuccio della felpa. La bocca è socchiusa, non c’è respiro. Il ragazzo è morto.
Ci rendiamo conto che i telefoni non prendono e quindi ci spostiamo. Sono le 2.27 quando richiamiamo il 112. Ci ripresentiamo e diciamo che siamo stati nelle coordinate comunicate che peraltro il centralinista afferma di conoscere già e che ci ripete. Facciamo notare che ci era stato detto che la polizia non aveva trovato nessuno; al contrario noi siamo stati nelle esatte coordinate fornite e abbiamo trovato il ragazzo, deceduto. Chiediamo di inviare al più presto un’ambulanza per il recupero del corpo.
“Rosenovo non esiste”
In attesa dell’ambulanza ci prendiamo una piccola pausa su una radura. Vediamo tra le stelle un puntino lampeggiante. Il contrasto tra i viaggiatori in cielo e il viaggiatore disteso a terra non lontano da noi pesa come un macigno. Torniamo ancora una volta al corpo Saif Al-Ahmad per avere ulteriore conferma dell’esattezza della posizione. Ci allontaniamo nuovamente, dal momento che non c’è campo. Ci perdiamo. Ci accorgeremo solo dopo, controllando la cronologia delle chiamate, di aver vagato per più di un’ora nel bosco. Alle 4.10 il 112 ci chiama. Dopo 3 minuti di attesa ci passano il coordinatore: ancora una volta ci viene chiesto di comunicare la posizione e se abbiamo trovato il corpo. Dopo aver risposto insistiamo nel chiedere l’invio di qualcuno. Il coordinatore dice che stanno cercando l’uomo e di rimanere lì.
Dopo poco ci richiamano e ci viene proposto di andare a Fakiya. Riferiamo di essere ancora nel bosco, vicino a Rosenovo. Il centralinista afferma che in una chiamata precedente abbiamo detto di essere vicino a Fakiya (ndr: falso) e sostiene che Rosenovo non esista. Facciamo lo spelling del paese, ma il centralinista ribadisce che non esiste un villaggio con quel nome (ndr: i centralinisti precedenti ne avevano invece parlato). Insiste nel farci raggiungere Fakiya, a circa 30 km dal punto in cui siamo. Per cercare una mediazione proponiamo di presentarci a Sredets, a noi più vicino e riferiamo che probabilmente potremmo essere nel luogo dell’appuntamento in un’ora. Il centralinista è spazientito dalle nostre tempistiche poco precise e dal fatto che non possiamo essere velocemente dove lui desidera. Ci accordiamo per richiamare quando arriveremo al veicolo.
Poco dopo un’ennesima chiamata interrompe le ricerche del sentiero smarrito. Questa volta ci rivolgono una nuova domanda, anche questa però affatto sagace. Ci chiedono di poter parlare con una persona di sesso maschile. Ci chiedono la nostra posizione e, controllatala, ci viene detto che non esiste un paese dal nome Rosenovo a noi vicino. Non solo il centralinista non ci propone di aiutarci nonostante ripetiamo di aver parcheggiato proprio a Rosenovo, ma, affatto preoccupato, inizia a chiedere il modello e la targa della macchina e, per l’ennesima volta, la nostra localizzazione precisa. Comunichiamo con tono deciso la nostra situazione di difficoltà: è notte fonda, siamo in mezzo a un bosco, vicini al corpo ma privi del senso dell’orientamento, li richiameremo quando saremo alla macchina e aiuteremo, se necessario, la polizia a raggiungere l’uomo deceduto.
Alle 6.20 arriviamo alla macchina e chiamiamo il 112. Ancora una volta ci vengono richieste informazioni: condividiamo le nostre coordinate, il modello dell’auto e la targa. Come se non bastasse ci chiedono di raccontare tutto l’accaduto della notte. Spieghiamo in ordine cronologico quanto successo facendo notare che le coordinate in cui si trovava il ragazzo erano esatte e che nessuno si fosse ancora attivato nonostante dalla prima chiamata, in cui tra l’altro veniva segnalata una persona in difficoltà e non deceduta, sono passate 8 ore.
Arriva la Border Police
Alle 6.45 arriva la Border Police in pick-up, pantaloni mimetici e giacca nera. Sono una coppia di agenti, uno dei due ha un atteggiamento più intimidatorio e ci chiede subito i documenti. L’altro prende il cellulare e vuole interagire con il traduttore. Facciamo strada fino al punto in cui la nostra macchina non può più procedere. A quel punto chiediamo se possiamo salire sul loro mezzo, ma negano per protocollo. Hanno già la posizione del ragazzo che confrontiamo con quella in nostro possesso. Coincidono. Ci dicono che possiamo seguirli a piedi o aspettarli lì, decidiamo di aspettarli in macchina.
Alle 9.15 fa ritorno il pick up, ma al suo interno è presente solo il poliziotto più aggressivo che non si ferma e procede oltre. Due di noi decidono di ritornare sul posto per verificare cosa stia succedendo. Di giorno e con dei buoni mezzi la posizione è più facile da raggiungere: la polizia bulgara è riuscita ad arrivare a circa 15-20 minuti a piedi dal luogo in cui si trova Saif Al-Ahmad. Nelle ore successive arriveranno altri agenti e solo poco prima di mezzogiorno l’ambulanza. I nostri tentativi di aiuto vengono ignorati.
La nostra presenza non ci sembra più utile. È ormai mezzogiorno quando ci rimettiamo in macchina, ci aspettano più di due ore di viaggio e il nostro principale desiderio è di abbozzolarci tra i sedili. Nella direzione opposta sfrecciano macchine in direzione Burgas. Chissà, forse qualcuno sta andando al mare. Sentiamo il bisogno di vita. È estate e fa caldo ma di andare al mare non ce la sentiamo. Lungo la strada sono presenti numerose postazioni di blocco e ciò ci spinge nuovamente a riflettere. Pensiamo al luogo in cui abbiamo trascorso le ultime ore: prima di venire qui il sentir parlare dei boschi della Bulgaria ci portava alla mente luoghi impervi, oscuri, una sorta di labirintica foresta nera. Dopo alcuni giorni di permanenza vicino alla route 79 il nostro immaginario è cambiato. Sono boschi in cui ci si può perdere, sì, e ne abbiamo fatto esperienza diretta. Ma sono boschi circondati da campi coltivati e le posizioni che riceviamo non sono così distanti da strade sterrate. Qua e là si intravedono case di contadini, si sentono i campanacci delle mucche o i motori dei trattori. Ciò che causa la morte di chi attraversa non sono i boschi ma i confini, chi ne sostiene la necessità e chi li difende con i denti dei cani e le pistole cariche.
Forse restituiremo il corpo di un ragazzo di 22 anni ai genitori. Forse le pratiche di rimpatrio saranno così difficili da permettere il seppellimento della salma solo in suolo bulgaro. Torniamo a casa in silenzio, non abbiamo voglia di parlare. Nella testa c’è un grido che prende la forma di domande: perché il 112 ci ha dissuaso dal recarci sul posto? Perché ha detto che lì non c’era nulla? Perché, mentre eravamo vicino al corpo, ci hanno detto di raggiungere una città a più di 30 km di distanza? Perché Saif Al-Ahmad è morto?