Mi rivolto, dunque siamo2
Più di un anno fa la rivista Altraparola ha pubblicato un articolo che proponeva una riflessione sulla violenza del presente, esprimendo solidarietà alla lotta di un uomo, Mario Sanna, che nel terremoto di Amatrice del 2016 vide morire il figlio Filippo di 22 anni.
Al tempo Mario stava portando avanti il suo secondo sciopero della fame, strumento della sua lotta non-violenta per l’istituzione di un fondo per i familiari delle vittime del terremoto. Lo sciopero si concluse dopo dodici giorni, con la promessa da parte dell’allora governo Draghi che il fondo sarebbe stato istituito.
Se già quella promessa aveva tardato tanto ad arrivare, il cambio di governo ha di fatto azzerato i risultati ottenuti. Non dovrebbe servire, ma è utile eliminare subito ogni dubbi legato al (falso) problema della scarsità delle risorse, che quasi di riflesso fa dire a moltә che sì, un fondo per i familiari delle vittime sarebbe cosa buona e giusta, ma in tempi così critici lo Stato non può avere soldi per tutto: ribadiamo perciò che l’istituzione del fondo (40 milioni di euro, poi diventati 150 milioni includendo anche il terremoto dell’Aquila) avrebbe chiesto al governo italiano un impegno simile a quello dedicato l’anno scorso per il “bonus tv e decoder” (68 milioni di euro); molto inferiore rispetto alle spese militari, che hanno superato la cifra mostruosa dei 25 miliardi di euro, o ai sussidi che lo Stato continua a erogare alle attività inquinanti legate alle fonti fossili (41,8 miliardi di euro nel 2022)3.
Ma, come si dice, spesso al danno si somma la beffa: non solo né lo scorso governo né quello attuale hanno istituito il fondo per i familiari delle vittime, ma anzi, negli ultimi mesi agli abitanti delle zone colpite sono arrivate cartelle esattoriali con tanto di interessi, commissioni e sanzioni, legate ai tributi che lo Stato aveva sospeso a causa dell’emergenza sisma. Per di più, la Protezione civile ha deciso di chiedere alle persone un affitto per le SAE (Soluzioni Abitative di Emergenza) dal 2020 al 2022 come “contributo ai costi sostenuti dallo Stato”.
Quando lo scorso 24 agosto, anniversario del terremoto, dopo le solite parole vuote e retoriche dei vari rappresentanti delle istituzioni – su tutti il ministro per la protezione civile Musumeci – Mario Sanna ha parlato a nome dei familiari delle vittime e a nome, se si può, anche delle vittime, qualcuno ha deciso di silenziare il microfono. Mario non è violento, non è offensivo, mantiene una calma che impressiona e si limita a dire quella semplice verità scomoda che lo Stato non vuole sentire e non vuole legittimare: i familiari sono stati abbandonati; le vittime sono state umiliate; lo Stato mette quotidianamente il profitto davanti alla tutela dei cittadini e poi, per gli anniversari, viene a piangere retoricamente e senza vergogna di fronte a chi piange dentro ogni giorno.
Questa è la violenza strutturale della nostra società: violenza gratuita che viene esercitata quasi in automatico; violenza burocratica, dove gli automatismi prevalgono sull’umanità; violenza politica, quando togliere tutto e anche di più, persino la voce, pone la cittadinanza in uno stato di disperazione e soggiogamento tale per cui nulla sembra davvero poter migliorare e allora è inutile combattere.
Eppure, malgrado questa violenza assurda, ci sono cittadinә che non abbassano la testa, che hanno la centratura e la forza per poter continuare a esigere la giustizia del buon senso e della nostra Costituzione, di un’etica minima senza cadere nel trabocchetto della violenza che replica violenza. Si rivoltano e nella loro rivolta ci siamo tuttә noi, volenti o nolenti, consapevoli o meno. Come diceva Camus,
«nell’esperienza, assurda, la sofferenza è individuale. A principiare dal moto di rivolta, essa ha coscienza di essere collettiva, è avventura di tutti»4.
Il nostro mondo è ormai dentro una palude di assurdità e se la società, la cultura, la politica nascevano anche per trovare un senso all’assurdo dell’esistenza, oggi sono prima di tutto queste dimensioni ad alienare l’umano ponendolo in un angosciante non-senso politico. Tuttavia esistono ancora esperienze che continuano a disegnare un orizzonte diverso, dove le idee di destino comune, di relazionalità, di insieme, rappresentano le fondamenta e non qualcosa di ormai perduto per sempre sotto i colpi dell’individualismo e dell’egocentrismo.
Questo 9 ottobre, a sessant’anni precisi dalla strage del Vajont – strage di “Stato-mercato” paradigmatica per tutte quelle che avverranno dopo – Mario ha ripreso lo sciopero della fame e andrà avanti a oltranza finché la sua richiesta non sarà accolta. Sarebbe sciocco pensare che questa sia la “sua” battaglia. Si tratta, piuttosto, di mettere in gioco la cosa più evidente e immediata che si ha – forse anche la più importante – ovvero la propria vita, per un senso di dignità, di limite, di giustizia basilare che riguarda tuttә. Si tratta di dire, a un certo punto, no. Lo Stato non può fare quello che vuole, il mercato non può fare quello che vuole, c’è un limite, e è il mio corpo, la mia vita. Se si vuole schiacciare anche questo limite, se si sceglie di andare avanti in questa ingordigia di potere arrogante, strafottente e violento, ci sia almeno la costrizione a dichiararsi assassini. Può uno Stato che si dice democratico lasciar morire i suoi cittadini e le sue cittadine? Si, lo può, perché lo fa quotidianamente, pur nascondendosi ogni volta. Bene: questa volta però non può nascondersi. Se sceglie di andare avanti nella sua violenza lo dovrà fare alla luce del sole convincendo tutti e tutte che si può lasciare che un uomo rischi la propria vita così, chiedendo la più piccola delle giustizie in nome di un figlio morto a 22 anni.
Fuori da ogni retorica, dovremmo stare accanto e ringraziare Mario e tutte le persone che come lui si ribellano, perché è anche grazie alle loro silenziose rivolte che noi continuiamo a essere parte di un mondo vivo, e non semplici e miseri ingranaggi di un meccanismo senza più senso. La lotta di Mario riguarda tuttә perché se vincesse cambierebbe il futuro di tuttә quellә che domani sarebbero nelle sue condizioni e nelle condizioni di suo figlio Filippo.
La sua storia, come quella di molti altrә familiari di vittime di stragi oggi riunitә nella rete “Noi 9 ottobre”5, ci permette di alzare gli occhi al cielo, renderci conto di che consistenza è fatto il nostro mondo e lottare con forza affinché se ne possa costruire un altro migliore. Per seguire e raccontare la sua lotta https://www.facebook.com/ilsorrisodifilippo?locale=it_IT .