L’attivista egiziano non presenterà la sua autobiografia: “Sogni e illusioni di libertà” al Festival della Pace di Brescia, che due anni fa gli aveva conferito il Premio per la Pace. La sindaca Laura Castelletti ha infatti revocato l’invito, sostenendo che le sue opinioni su Israele sono “divisive”. La sua colpa? Aver definito “un serial killer” Benyamin Netanyahu e ricordato che la drammatica situazione a Gaza e in Israele è la conseguenza delle politiche dell’attuale governo israeliano. Eppure Patrick Zaki aveva precisato di essere per la Palestina e non per Hamas ed espresso la sua preoccupazione per i civili, ma aveva anche invitato l’Unione Europea a condannare la violenza da ambo i lati.
Tanto è bastato per rinviare la sua partecipazione alla puntata inaugurale di “Che tempo che fa” di Fabio Fazio, ora in diretta su Nove in streaming su Discovery+ e annullare la presentazione del suo libro all’Arsenale della Pace di Torino. D’altra parte Patrick Zaki è solo l’ultimo bersaglio di una feroce campagna mediatica e politica, che accusa di antisemitismo chiunque osi criticare Israele. E’ già successo a Moni Ovadia in Italia e a Jeremy Corbyn nel Regno Unito.
Insomma, ribellarsi al pensiero unico ha pesanti conseguenze: lo sanno bene i pacifisti bollati come putiniani perché contrari all’invio di armi in Ucraina, le Ong del soccorso in mare punite con multe e fermi amministrativi per aver salvato troppi migranti e i magistrati che smantellano il decreto Cutro con le loro sentenze definiti “toghe rosse” e attaccati da governo e media di destra.
Violenza, servilismo, intolleranza e cecità politica dominano la scena attuale. In questa situazione, difendere valori come la pace, i diritti umani e la libertà d’espressione e sostenere chi li pratica è più urgente e fondamentale che mai.