Bakis Beks, accusato di concorso in oltraggio a pubblico ufficiale insieme a tre spettatori presenti a un suo concerto, è sotto processo da giugno del 2022. Dopo che all’ignaro rapper sardo è arrivato come una tegola sulla testa un decreto penale di condanna.
Ma partiamo dall’inizio. È una sera di fine estate, l’8 settembre 2018, che né Bakis Beks, né tre dei suoi ammiratori dimenticheranno più.
E infatti “Messaggio”, questo il titolo della canzone portata sul palco dell’ExMè di Nuoro, un brano contro la presenza dei poligoni militari in Sardegna, è stato interpretato come un insulto rivolto ad alcuni poliziotti presenti durante l’esibizione. Lo stesso vale per la coreografia che accompagnava il testo: il dito medio alzato in segno di protesta contro il sistema, comune espressione di denuncia degli artisti rap.
Questo è il ritornello incriminato:
“Non erano africani o musulmani
Quelli che hanno occupato terre e avvelenato i mari
Quelli che hanno portato morte da luoghi lontani
Come la sindrome dei Balcani.
Non c’è tempo per spiegazioni
indennizzi conciliazioni
questo è un messaggio ai coloni
basta, fuori dai coglioni”.
A due anni dal concerto, senza che nessuno avesse fatto un verbale, a Bakis e ai tre spettatori identificati dalla polizia è arrivato un decreto penale di condanna, come previsto dall’articolo 459 del codice di procedura penale, per il reato di oltraggio a pubblico ufficiale.
Tale provvedimento, emesso dal giudice per le indagini preliminari Teresa Castagna su richiesta del pubblico ministero Andrea Ghironi, invitava a chiudere la questione pagando una sanzione, o con “la messa alla prova”, oppure affrontando un processo con tutte le conseguenze economiche del caso.
Naturalmente, hanno scelto tutti di andare a processo.
La Costituzione italiana prevede il diritto di espressione e manifestazione del proprio pensiero, di critica e di cronaca”, ci ha spiegato l’avvocato di Bakis, Giulia Lai, che racconta questa vicenda anche nel nostro documentario sulle basi militari in Sardegna, “Terra a perdere”, realizzato con la giornalista milanese Chiara Pracchi.
“Quello che posso dire io è che probabilmente quelle parole sono state travisate, perché la canzone contiene una rivendicazione politica contro la presenza dei poligoni militari in Sardegna e non contro la polizia”.
Poi, quanto all’interpretazione che le forze dell’ordine hanno dato al gesto del dito medio, ha sottolineato: “Bakis ha sempre fatto la coreografia in questo modo, non era la prima volta. I poliziotti presenti in servizio hanno invece ritenuto che fosse un gesto rivolto contro di loro, perché in quel momento erano lì”.
Ma davanti al Tribunale di Nuoro i testimoni dell’accusa hanno cambiato le carte in tavola. E infatti dopo la seconda udienza di questo processo, l’avvocata ci ha confermato la presenza in aula di un solo poliziotto, piuttosto smemorato.
“Fondamentalmente stanno ridimensionando molto l’accusa – ha detto Lai -. Contestavano che Bakis si fosse rivolto a loro dicendo ‘infami sbirri fuori da coglioni’ ma questo non è stato confermato davanti al giudice. La parola ‘infami’ nemmeno la nominano mentre ‘sbirri fuori dai coglioni’ lo dicono però poi quando gli si chiede: ‘Ma lei è sicuro di non aver sentito, invece, ‘basta fuori dai coglioni’, rispondono ‘non saprei’, ‘adesso non mi ricordo’. Insomma, stanno ridimensionando l’accusa”.
Certo è che, se anche la questione si sta sgonfiando, questo decreto penale di condanna puzzava di repressione fin dall’inizio. È stato chiaro a tutti. Tanto che abbiamo chiesto all’avvocato Lai quale eco abbia avuto la storia di Bakis: “La vicenda si sta allargando e si parla molto della situazione”, ha sottolineato aggiungendo che per Bakis “l’episodio è stato traumatico. Perché il rapper ha sì avuto una certa notorietà e solidarietà anche a livello italiano, ma a Nuoro ora non lo chiama più nessuno, non fa più concerti”.
Insomma, nella Sardegna soffocata dalla presenza militare, il dissenso è criminalizzato, la protesta repressa e persino scrivere una canzone rap può diventare un problema da zittire a colpi di decreto.
E dire come finirà questa è difficile. Nella prossima udienza parleranno gli altri due poliziotti coinvolti, testimoni del PM, e poi si procederà con i testimoni a favore.
Di sicuro, se questo processo dovesse finire con una condanna “faremo appello”, conclude Lai. “Glielo do per certo perché conosco quali sono le prove di questo processo e si andrà avanti”.
Fabio Palli, Simona Tarzia