Anche negli Stati Uniti, nazione che ha forti responsabilità storiche della drammatica situazione di Gaza, si alzano voci di pace e di solidarietà al popolo palestinese.

Manifestazioni e veglie si sono tenute in decine di città, chiedendo il cessate il fuoco. Il corteo di Chicago ha visto 15.000 partecipanti e quello di Brooklyn (New York) migliaia.

Studenti hanno manifestato in diverse università. Presso la Colombia University, nel centro di Manhattan, erano esposti striscioni con la scritta “Palestina libera” e “Esistere è resistere” e si sono scontrati gruppi di opinioni contrapposte sui fatti di Israele e Gaza. Sono state denunciate molestie e intimidazioni verso studenti delle differenti opinioni e anche verso gli organizzatori delle manifestazioni, riprese dai media. Preoccupato anche dall’effetto delle manifestazioni sul flusso di donazioni di mecenati, infatti, il rettore ha consentito l’ingresso della stampa nel campus. Presso l’Università di Harvard a Cambridge, Massachusetts, si è svolta una manifestazione indetta dall’”Harvard Out of Occupied Palestine” che chiede all’Università di tagliare i legami anche economici collegati al ruolo dello Stato di Israele contro la Palestina.

Decine di organizzazioni religiose, ebraiche, musulmane, cristiane e dei diritti umani hanno co-firmato una dichiarazione che dice: “Condanniamo tutte le violenze contro i civili da parte di Hamas e dell’esercito israeliano. In questo momento critico, riteniamo che sia imperativo che i politici statunitensi adottino misure per ridurre immediatamente la violenza e prevenire l’ulteriore perdita di vite civili”.

Una coalizione di una settantina di organizzazioni musulmane, arabe, asiatiche e varie organizzazioni per i diritti civili hanno anche invitato Biden a chiedere un cessate il fuoco immediato a Gaza e il perseguimento di una pace giusta e duratura. Oltre 800 studiosi di diritto internazionale, sui conflitti e sul genocidio dell’Olocausto hanno firmato una dichiarazione pubblica contro il genocidio dei palestinesi nella Striscia di Gaza.

Negli Stati Uniti si trova quasi la metà degli ebrei a livello mondiale, dagli ultraortodossi ai laici e una parte di loro sono antisionisti. Anche settori ebraici hanno protestato a Washington il 16 e il 18 ottobre. Il rabbino Miriam Grossman di Brooklyn ha dichiarato che “la risposta a tutto questo dolore non può essere negare ai bambini cibo e acqua, non può essere un omicidio di massa, né la continua occupazione, l’apartheid e la negazione dell’umanità palestinese. Siamo in lutto, ma il nostro dolore non è un’arma”.

Almeno 300 persone sono state arrestate il 18 ottobre durante la manifestazione di 10.000 persone davanti al Campidoglio. Un buon numero di ebrei con magliette “Not in our name”, che chiedevano il cessate il fuoco a Gaza e condannavano Israele per tentato genocidio ha invaso l’atrio del Congresso degli USA. In un articolo pubblicato da Jewish Currents, Raz Segal, professore alla Stockton University di studi sull’Olocausto, scrive che “l’assalto a Gaza può essere inteso come un caso di genocidio che si svolge davanti ai nostri occhi”. Tutto ciò a dimostrazione, come ben noto, che non tutti gli ebrei nel mondo condividono la politica del governo israeliano, così come, ovviamente, non tutti i palestinesi condividono le azioni di Hamas. E la speranza è che queste voci possano infine prevalere.

Anche nel mondo sindacale si levano voci per la pace e la giustizia in Palestina. United Electrical, Radio and Machine Workers of America (UE), un sindacato storicamente progressista che aveva già chiesto, nella sua convenzione del 21 settembre, la fine degli aiuti militari a Israele e l’avvio di una politica di pace, in questi giorni, per voce di Andrew Dinkelaker, tesoriere segretario generale, ha dichiarato che “gli aiuti militari statunitensi stanno riversando benzina su un incendio. Incoraggiano (l’idea) che ci siano soluzioni militari. (Il La principale minaccia che incombe sul popolo statunitense è invece “l’incapacità di fornire posti di lavoro a salario sufficiente a vivere, assistenza sanitaria accessibile, istruzione, alloggio e servizi sociali da considerarsi come diritti umani”.

La posizione dell’AFL-CIO, la grande federazione con 12 milioni di iscritti, non si allontana di molto dal tradizionale appoggio a Israele dato nel passato, prima dell’avvento di una nuova direzione più progressista. Con una dichiarazione dell’11 ottobre, non affronta il tema “scottante” delle politiche israeliane: “Non può esserci alcuna giustificazione per le indicibili atrocità e le carneficine perpetrate da Hamas contro gli israeliani negli ultimi giorni. Il movimento dei lavoratori condanna ed è risoluto contro ogni forma di terrorismo. Siamo preoccupati per l’emergente crisi umanitaria che sta colpendo i palestinesi a Gaza e in tutta la regione. Chiediamo una rapida risoluzione del conflitto attuale per porre fine allo spargimento di sangue di civili innocenti e per promuovere una pace giusta e duratura tra israeliani e palestinesi”.

Il sindacato Starbucks Workers United aveva pubblicato una dichiarazione in occasione dell’attacco di Hamas che recitava “Solidarietà con la Palestina!” con l’immagine di un bulldozer che sfonda la recinzione che circonda Gaza. Il messaggio è stato poi ritirato. La direzione dell’azienda Starbucks ha approfittato del dramma in Medio Oriente per cercare di regolare i conti col ssindacato, precisando che la responsabilità della dichiarazione era solo sua e gli ha fatto causa, ingiungendogli di ritirare il logo aziendale dal nome e del simbolo per via dei messaggi e delle azioni di protesta della clientela. Nel contempo l’azienda, ritornando sul tormentone del “valore condiviso di appartenenza” che è caratteristico dei “partner” (così definisce i dipendenti), ha affermato “il nostro continuo impegno verso una contrattazione in buona fede su cui abbiamo insistito attraverso (nonostante) centinaia di richieste e pratiche di lavoro sleali”. Cosa che contrasta col fatto che il sindacato sta cercando da quasi 2 anni di trattare contratti collettivi di lavoro nelle caffetterie Starbucks di fronte al rifiuto e alle azioni di repressione aziendali verso gli organizzatori.

La presidente del sindacato dei servizi SEIU, a cui Starbucks Workers Union è affiliato, ha precisato: “La violenza in Israele e Palestina è inconcepibile. SEIU è al fianco di tutti coloro che soffrono, condannando fermamente l’antisemitismo, l’islamofobia e l’odio in tutte le forme. Prego per una soluzione rapida e per un futuro in cui tutti nella regione possano vivere con dignità, felici e sicuri”.

Non sono note prese di posizione sull’argomento di altri grandi sindacati statunitensi.

Fonti principali:

J.Bachtell, ‘Our grief is not a weapon’: Progressive U.S. Jewish leaders demand Gaza ceasefire, People’s World, 18.10

J.Schuhrke – S.Lazare, The U.S. Labor Voices Opposing Military Aid to Israel, In These Times, 13.10

Grim, Starbucks Is Suing Its Union After “Solidarity With Palestine!” Tweet, The Intercept, 17.10