È una delle ricorrenze internazionali forse meno note, ma nondimeno di grande importanza: un’importanza tanto più indubbia e significativa quanto più le città stesse subiscono le distruzioni e gli eccidi legati alle aggressioni e alle guerre. Il 31 ottobre ricorre infatti la Giornata mondiale delle città, istituita dalle Nazioni Unite come occasione per riflettere sul ruolo e l’importanza delle città nella vicenda umana e sociale più complessiva e per interrogarsi sulle questioni e le problematiche connesse con l’urbanizzazione, quale uno dei grandi fenomeni del nostro tempo. Come segnala, infatti, la presentazione della Giornata sul sito delle Nazioni Unite, lo scopo è di «promuovere l’interesse della comunità internazionale per l’urbanizzazione come fenomeno globale, spingendo la cooperazione tra i Paesi a rispondere alle sfide dell’urbanizzazione stessa.
«L’urbanizzazione offre il potenziale per nuove forme di inclusione sociale, tra cui una maggiore uguaglianza, l’accesso ai servizi e a nuove opportunità, nonché un impegno e una mobilitazione che riflettono la diversità delle città, dei Paesi e del mondo. Tuttavia, troppo spesso lo sviluppo urbano non si configura in questo modo: la disuguaglianza e l’esclusione si moltiplicano a scapito di uno sviluppo sostenibile che offra risposte a tutti e a tutte». In questa ambivalenza ruota, infatti, il “paradosso delle città”: da un lato, moltiplicatori di opportunità (le città rappresentano una potente interconnessione paesaggistica e relazionale, in termini di correlazione tra attività sociali, culturali e produttive; di connessione con le varie direttrici della mobilità umana, al proprio interno e quali nodi di relazione e connessione con il mondo; di moltiplicazione di opportunità di relazione, di incontro e di conoscenza, anche a partire dalla densità delle risorse sociali e culturali che ospitano, dagli spazi di aggregazione ai luoghi della cultura); dall’altro lato, tuttavia, incubatori di solitudine, marginalità, esclusione.
Il fenomeno della povertà urbana, non a caso, è uno dei più accentuati e, senza dubbio, una delle “cifre” del panorama urbano contemporaneo. In essa si intersecano la dimensione generale della povertà, in termini di impossibilità di provvedere al proprio sostentamento e quindi di garantire il soddisfacimento dei bisogni, e quella dimensione più specifica, legata allo spazio della città, in termini di impossibilità di garantire una vita dignitosa nello spazio produttivo e relazionale proprio della città: vecchie e nuove forme di povertà; quartieri ghetto e quartieri dormitorio; ampliamento del divario tra centro e periferia e moltiplicazione delle “periferie” nei centri stessi del tessuto urbano; precarietà ed esclusione; marginalizzazione dei migranti e ghettizzazione delle popolazioni Rom sono solo alcuni tra i fenomeni più acuti, cui si legano le nuove questioni e contraddizioni legate al diritto alla città, alla qualità degli spazi e delle forme dell’abitare, alle sperequazioni determinate, soprattutto nelle città d’arte, dalla turistificazione, dalla gentrificazione e dal “consumo” stesso della città, e ancora le problematiche legate alle nuove modalità di controllo e di militarizzazione dello spazio urbano.
Istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con l’adozione della Risoluzione 68/239 (27 dicembre 2013), della quale ricorre quest’anno il decennale, la giornata mette al centro, anzitutto, le sfide e le grandi questioni aperte nello spazio delle città, tra le quali, come indicate nella risoluzione, «il rapido processo di urbanizzazione in gran parte del mondo in via di sviluppo, il continuo aumento del numero di abitanti delle baraccopoli in tutto il mondo, l’impatto negativo del degrado ambientale, tra cui il cambiamento climatico, la desertificazione e la perdita di biodiversità, e la crescente vulnerabilità degli insediamenti urbani alle calamità naturali e a quelle di origine antropica», esortando a «orientare lo sviluppo sostenibile delle città in rapida crescita urbana, al fine di prevenire la proliferazione delle baraccopoli, migliorare l’accesso ai servizi urbani, sostenere l’edilizia abitativa inclusiva, aumentare le opportunità di lavoro e creare un ambiente di vita sano e sicuro, [riconoscendo] l’importanza di un accesso equo e adeguato ai servizi urbani di base come fondamento per l’urbanizzazione sostenibile e quindi per lo sviluppo sociale ed economico complessivo».
Le città sono sempre più, al tempo stesso, obiettivo di guerra e costruttori di pace. È nota l’importanza della «city diplomacy», la diplomazia delle città. Come ricorda l’Agenda dell’Aja sulla diplomazia della città, adottata in occasione del Primo Congresso Mondiale sulla Diplomazia della Città (L’Aja, 2008), la diplomazia della città è lo strumento proprio delle città, degli enti locali e delle loro associazioni ai fini della prevenzione dei conflitti, della risoluzione dei conflitti e della ricostruzione post-conflitto, con l’obiettivo di creare un contesto stabile, in cui i cittadini e le cittadine possano convivere in condizioni di pace, democrazia e prosperità. D’altra parte, le città sono sempre più obiettivo di guerra e l’Agenda stessa, adottata nel 2008, ricorda che «nell’ultimo decennio oltre 15 milioni di persone hanno perso la vita e 40 milioni di persone sono state costrette ad abbandonare la propria casa a causa di tali conflitti». Come ebbe a ricordare il compianto Pierluigi (Gigi) Ontanetti, a proposito della città di Sarajevo, un vero e proprio «urbicidio». Proprio in queste ore è in corso l’aggressione, da parte del governo di Israele, ai danni della città di Gaza, con l’obiettivo, annunciato dalle autorità israeliane, di «conquistare Gaza» e di «fare pagare a Gaza il prezzo più pesante». Ancora, la lotta contro la guerra, contro le gravi violazioni, e per la pace, resta un imperativo, più che mai necessario e urgente.