Continua la conta dei morti tra la popolazione civile palestinese e israeliana e nella conta dei morti non ci sono vinti e vincitori. Ci sono vittime: bambine, bambini, donne, anziani, animali, piante. Ogni guerra è insensata, ma non lo è la resistenza.
A ragione l’attacco di Hamas al rave di Re’im è stato definito l’11 settembre israeliano, ma questa definizione si ferma solo all’ultimo centimetro percorso dalla Storia, ignorando 75 anni di oppressione, apartheid e pulizia etnica subita dal popolo palestinese da parte degli israeliani.
Hamas non è il popolo palestinese, piuttosto bisogna interrogarsi su chi e perché abbia consentito il rafforzarsi del radicalismo islamico e la sua deflagrazione in episodi di disprezzo violento della vita. Hamas si è nutrito, in Palestina, della negazione da parte degli israeliani dei diritti umani universali più basilari, di oppressione e violenza quotidiana e nessuno può ignorare che i fondamentalismi attecchiscono facilmente nella disperazione.
Tutta la comunità internazionale ha gravissime responsabilità per essersi girata dall’altra parte, prima davanti alla Nakba (la cacciata, la diaspora dei palestinesi indotta a tavolino dall’Occidente e dall’Europa), poi davanti all’apartheid degli ultimi decenni, secondo la definizione della special rapporteur Onu per la questione palestinese Francesca Albanese.
Di fronte a una denuncia di tale portata, il doppio standard occidentale è tanto evidente quanto intollerabile: i diritti universali dei popoli oppressi sono valutati dall’Occidente a fasi alterne, a seconda del colore della pelle e degli accordi Nato. Le guerre sono combattute da sempre sui corpi delle donne, rapite e stuprate, perché considerati trofei e proprietà dei vincitori: da anni le donne palestinesi vivono sulla propria carne la tragedia che in questi giorni sta lacerando le donne israeliane, tutte, palestinesi e israeliane, prede e vittime del patriarcato più violento.
Per questo lanciamo un appello affinché il governo italiano prenda posizione a favore della legalità internazionale e prima di tutto della pace, tenendo conto della complessità della questione israelo-palestinese, evitando rozze polarizzazioni e solidarietà da stadio e chiamando al tavolo di mediazione le donne, come impone la risoluzione Onu 1325, colpevolmente ignorata da sempre e da tutti. Prima di tutto, restiamo umani.