Un aggiornamento da Rafah, dove come cooperanti operatori umanitari siamo ancora in un campo messo a disposizione dall’ UNRWA (United Nations Relief and Works Agency, l’Agenzia ONU per i rifugiati palestinesi) e devo dire che viviamo nelle stesse condizione dei palestinesi: anche noi siamo senza sufficienti servizi igienici e comunque non è una struttura attrezzata per poter accogliere le persone. Per quanto mi riguarda questo non può che farmi sentire più vicina alla popolazione di Gaza.
Ma cominciamo con qualche numero. Le Nazioni Unite, in particolare l’UNRWA che è attiva qui a Gaza, parlano di 544 mila persone che sono sfollate in 147 delle sue scuole.
Altre 70.000 persone circa sono sfollate in 67 scuole governative e più di 110.000 persone si trovano distribuite presso centri religiosi o chiese, se non vengono bombardate come quella di San Porfirio a Gaza City e rifugiate presso gli ospedali negli spazi messi a disposizione esternamente.
Dobbiamo pensare che tutta questa popolazione sta vivendo in situazione di estremo disagio, senza servizi igienici, senza possibilità di poter usufruire di acqua perché qui l’acqua ormai è razionata e viene portata nei campi solo con le taniche, quando arriva ovviamente… L’UNRWA distribuisce un basket food quotidiano che consiste di una scatoletta di carne e un panino, questo è quanto è in grado di garantire oggi agli sfollati.
Ovviamente le famiglie, e quelli che possono, acquistano ancora qualcosa nei pochi negozi rimasti aperti, e con molto disagio hanno organizzato nel campo degli angoli adibiti a cucina.
La situazione negli ospedali è drammatica: non ci sono più scorte di farmaci, ormai sono al limite per cui i malati cronici, i pazienti ricoverati sono praticamente senza cure mediche e mancano tutti i materiali sanitari monouso, che possono essere utili per curare i feriti che arrivano numerosi.
In generale l’UNRWA ha stimato che potrebbero essere 1 milione e 400 mila, il 69% della popolazione della striscia di Gaza, le persone costrette ad abbandonare le proprie case perché bombardate o danneggiate, trovando appunto riparo nelle scuole oppure negli spazi adibiti all’esterno degli ospedali, ritenendoli luoghi sicuri. Altri si sono trasferiti presso familiari in altri governatorati, in particolare nella zona centrale e a sud della striscia di Gaza.
In questi due giorni ci sono stati dei pesanti bombardamenti a nord della Striscia e anche qui a Rafah. Questa notte è stata veramente molto difficile, un sonno che non c’è stato e quando si riusciva un attimo a dormire si veniva immediatamente svegliati dalle sirene delle ambulanze che andavano a soccorrere i feriti.
Tanto per darvi un’idea di come siamo messi: ieri mattina un F16 ha colpito delle abitazioni vicino a una moschea, a poche centinaia di metri da dove stiamo noi e ha causato 4 morti e 10 feriti.
Il Ministero della Salute ha diramato il 21 ottobre l’ultimo bollettino di aggiornamento della situazione: ormai i morti sono 4.385 (le news stasera parlavano già di 5.000 – ndr) di cui 1.766 bambini e 967 donne e i feriti sono 13.561. Il 70% delle vittime sono donne, anziani e bambini
In questa situazione drammatica due giorni fa sono arrivati dei convogli di aiuti umanitari, soprattutto generi alimentari e medicinali, che sono stati presi in carico dall’ UNRWA. Per disposizione delle forze di occupazione israeliane questi beni sono solo a disposizione dei governatorati a sud della striscia di Gaza e nella zona di mezzo e non c’è alcuna possibilità di farli arrivare a Gaza City e ai governatorati a nord della Striscia di Gaza.
Questo dimostra che Israele sta cercando di strangolare la popolazione a nord, probabilmente nel già dichiarato intento di un attacco via terra, riducendo allo stremo quei pochi palestinesi che sono rimasti ancora in Gaza City. L’UNRWA ha diramato una disposizione per le scuole dove erano riparate le famiglie evacuate del nord della striscia di Gaza e di Gaza City: tutti dovranno abbandonare questi rifugi che rifugi non sono, e spostarsi verso la zona a sud della striscia di Gaza.
Noi qui siamo chiusi praticamente in questo parcheggio dell’UNRWA dal quale non è possibile uscire, non abbiamo neanche la possibilità di verificare sul territorio quello che sta succedendo negli ospedali e la distruzione che abbiamo intorno.
E’ evidente che c’è una volontà di avere pochi testimoni, giustificata anche dal fatto che Israele non abbia ancora permesso l’ingresso ai giornalisti, che mi risulta sono in attesa alle porte di Rafah, e non possono entrare per poter quanto meno documentare quello che sta avvenendo e la catastrofe umanitaria che si sta consumando nella striscia di Gaza.
Personalmente non posso che sentirmi ancora una volta a fianco di questo popolo, che in 75 anni di occupazione ha dimostrato di non voler abbandonare la propria terra. Dopo questa pesante aggressione qualsiasi saranno i risultati finali di questi massacri, il popolo palestinese resisterà sicuramente nella sua terra.