La prossima settimana – mercoledì 11 Ottobre 2023, ore 16:30 – nel Chiostro della Biblioteca Centrale  della Regione Siciliana di Via Vittorio Emanuele n.431, sarà presentato il libro di Fabio Lo Verso, Il mare colore veleno. Indagine su uno dei più grandi  disastri ambientali del paese (Fazi Editore,2023). Si tratta di una inchiesta in cui Lo Verso mette in luce risvolti e retroscena, nonché le possibili soluzioni, “di una vicenda drammatica di cui si è colpevolmente parlato troppo poco e che rischia di inghiottire, come un buco nero, il futuro di un territorio e dei suoi abitanti”.

In una intervista a MicroMega, rilasciata subito dopo la pubblicazione del volume, nella quale gli si chiedeva di riassumere la drammatica questione incombente sul “quadrilatero della morte” – Augusta, Melilli, Priolo Gargallo e Siracusa, l’area di insediamento del petrolchimico aretuseo -, l’autore così sintetizzava: «La riassumerei come l’ho fatto decine di volte con parenti, amici e colleghi giornalisti, raccontando cioè un unico fatto: nella sola rada di Augusta, a trenta chilometri circa a nord di Siracusa, gli sversamenti industriali – di mercurio, piombo, idrocarburi pesanti, esaclorobenzene, diossine e furani –, mescolandosi con i fondali marini hanno formato un impasto tossico monumentale. Per coglierne le proporzioni, ho chiesto allora ai miei interlocutori di estrarre mentalmente, con uno sforzo di immaginazione, la totalità dei fanghi industriali dalle profondità marine e poi di usare gli stessi, come fossero calcestruzzo, per costruirci dei palazzi: ebbene, se ne potrebbero erigere circa tremila, ognuno di sei piani, in cui troverebbero posto ottantamila inquilini, più del doppio della popolazione di Augusta».

Insomma, viene fuori un quadro disperato, attestato anche dalle tante testimonianze raccolte nel volume, dove quel ch’era stato il miraggio industriale della seconda metà dello scorso secolo, presentato come un modello di riscatto socio-economico per il Mezzogiorno, oggi s’è dissolto in uno stato agonizzante, non solo dal punto di vista ecologico, economico e sociale, ma soprattutto dal lato sanitario e della qualità  della vita: «In questi trenta chilometri di territorio dove fabbriche, cisterne e ciminiere si estendono a macchia d’olio sfigurando il paesaggio, ormai da mezzo secolo si consuma un disastro ambientale di proporzioni incalcolabili. Veleni industriali di ogni tipo – mercurio, piombo, idrocarburi, arsenico, benzene, biossido di zolfo e diossine – hanno contaminato il mare, la terra, l’aria e le falde acquifere, e sono entrati nelle case per mietere vittime, tra caduti sul lavoro, morti per tumore e malformazioni congenite nei neonati».

Questo destino è comune a molte altre grandi aree del paese. Eppure sin dagli anni settanta tutto ciò era stato messo in evidenza, toccando il nervo scoperto di un sistema di produzione, qual è quello capitalistico, che ha sempre guardato più ai risultati della crescita esponenziale dell’accumulazione e della massimizzazione del profitto, piuttosto che alla sostenibilità umana ed ecosistemica. Non a caso in quegli anni le lotte operaie scoprirono l’importanza della salute e della natura, del pari a quello del salario. Infatti le battaglie ambientali diverranno un importante terreno di scontro politico, economico e sociale, sia  contro la nocività degli impianti – come, per esempio, a Napoli e a Taranto – sia sul terreno occupazionale.

In quel decennio sorsero nel sud una infinità di discariche di rifiuti tossici – provenienti dagli impianti del nord Italia – e di stabilimenti nocivi spacciati come interventi per lo sviluppo e l’occupazione, come nel caso di quelli per la lavorazione del fosgene che nel ’73 la Montedison spostava nell’area di Brindisi. In sostanza, nel corso degli anni, saranno sempre più numerosi i disastri che segneranno la storia dei territori meridionali, come – ad esempio – quello del Petrolchimico di Manfredonia dove il 26 settembre 1976 esplose una colonna di lavaggio dell’impianto di sintesi dell’ammoniaca, riversando nell’aria 10 tonnellate di arsenico: la popolazione venne avvertita molte ore dopo l’incidente, suscitando la  pronta mobilitazione della cittadinanza che chiese l’immediata chiusura dell’impianto e la bonifica del territorio, rifiutando l’antico ricatto occupazionale tra lavoro, salute e ambiente. (cfr.archivioautonomia.it/meridione)

In conclusione, stringendo il campo dell’osservazione sull’area sud orientale dell’isola, il pregevole lavoro di Lo Verso fa risaltare non soltanto le responsabilità politiche delle classi dirigenti, in uno con gli effetti devastanti provocati dal modello di sviluppo – a cui oggi bisogna aggiungere quell’«effetto-serra» causa del climate change –, ma anche l’insostenibilità paradigmatica della razionalità dominante nella società da oltre due secoli.

Nell’incontro di mercoledì prossimo alla BCRS, prendendo spunto dalla ricerca magistralmente documentata dall’autore, si approfondiranno i nodi brevemente qui tracciati e che vedranno la partecipazione di due giovani donne espressione della nuova generazione ambientalista: Ludovica Di Prima (Ecologia Politica di Palermo) e Laura Caviglia (Dip. Scienze della Terra  e del Mare -UNIPA). Inoltre interverranno:  Maria Giannì (Osservatorio Permamente sui Disastri Ambientali)  e l’autore del libro Fabio  Lo Verso. Condurrà il dibattito Antonio Roccuzzo  (caporedattore telegiornale-La7). I lavori saranno introdotti da Margherita Perez, Direttrice della Biblioteca centrale  “Alberto Bombace”.