Un immigrato greco scrive in risposta al New York Times.
Il New York Times ha pubblicato un nuovo articolo intitolato “Greece, Battered a Decade Ago, Is Booming” [Grecia: martoriata dieci anni fa, ora in piena espansione, NdT] di Liz Alderman, con il contributo di Niki Kitsantonis (lunedì 25 settembre / in stampa sabato 30 settembre, sezione B, pagina 1 con il titolo: “A New Era of Prosperity for Greece”).
L’articolo riferisce che un decennio fa la Grecia era stata colpita da una crisi economica. All’epoca (adesso no?!) aveva contratto un debito pesante, che non era in grado di ripagare, e aveva quasi lasciato l’eurozona. E fin qui tutto bene.
Il giornale riporta che oggi è una delle economie europee dalla crescita più rapida. Ancora una volta, fin qui tutto bene. Ed è chiaro che le rinomate agenzie di rating stanno migliorando la valutazione del debito greco, così si apre la strada ai grandi investitori, e l’economia del Paese sta crescendo al doppio del tasso medio dell’eurozona. Questo è corretto. L’economista del CEPR (Centre for Economic Policy Research), Dean Baker, ha commentato quell’articolo scrivendo con enfasi: «Poiché si prospetta che il tasso di crescita dell’eurozona per il 2023 sia dello 0,8%, una crescita due volte più veloce della media è piuttosto bassa».
La giornalista menziona il tasso di disoccupazione all’11% che, si potrebbe dire con una certa dose di ironia, è “una statistica greca”, perché probabilmente è molto più alto. (Il precedente governo greco aveva falsificato i dati di finanza pubblica per entrare nell’eurozona.) Dean Baker fa notare però che «il tasso di disoccupazione dell’11% è molto più alto rispetto al resto dell’Unione Europea, che ha un tasso di disoccupazione del 5,9%». Ovunque in Grecia c’è povertà e le condizioni sociali sono da miniera.
Io sono uno dei greci che vivono a New York, e ho ricevuto molti messaggi e telefonate da connazionali che vorrebbero emigrare in America perché non riescono ad arrivare a fine mese. Amici e parenti mi hanno chiesto la stessa cosa. Sono costretti a fare due o tre lavori per sopravvivere. Il salario minimo è di 780 euro (650 netti). Quindi com’è possibile che questo articolo parli di un “miracolo”? Si potrebbe dire che anche gli esempi delle persone citate nell’articolo non siano rappresentativi.
E i turisti che sono ritornati in massa, come afferma l’articolo, non hanno contribuito a un aumento dei redditi. Sulle isole più popolari, che il greco medio non può visitare, ci sono spesso condizioni da galera per i lavoratori.
Sfortunatamente, nella società greca solo un esiguo 5-10% della popolazione vive bene e il resto soffre: mentre gli oligarchi “mangiano con cucchiai d’oro”, i figli dei poveri vanno a scuola affamati. Si tratta di un Paese con il carburante tra i più cari in Europa; ma non solo, anche il cibo, le tasse, la corrente elettrica costano molto. Molti non hanno i soldi per le cure dentali, per cambiare le gomme dell’auto, o per formare una nuova famiglia. La giornalista scrive «la miseria dell’austerità è ancora fresca», ma no, non è fresca; è ancora presente nelle condizioni sociali. Da nessuna parte viene menzionato che il governo ha dato, fino a poco tempo fa, dei buoni pasto e carburante in “stile sovietico”, che hanno favorito la rielezione del leader conservatore Mitsotakis con una valanga di voti. Gli investimenti di compagnie come Microsoft e Pfizer non sono riusciti a risollevare la situazione.
Per ragioni del tutto comprensibili, le agenzie di rating come DBRS Morningstar e Moody’s fanno il loro lavoro. Ma è molto probabile che per loro un’economia forte significhi neoliberalismo, potere d’acquisto che diminuisce ogni anno e forza lavoro a basso costo. Alla Grecia mancano personalità come Noam Chomsky, Alexandria Ocasio-Cortez e Bernie Sanders. Tuttavia, il New York Times non dovrebbe presentare queste valutazioni ignorando la povertà ancora esistente nel Paese che ha dato origine alla democrazia. Il New York Times ci ha abituati a uno sguardo più critico sulle sofferenze della gente comune.
Per concludere, «un uomo morto può ballare?». No! Le informazioni del New York Times dovrebbero fornire un quadro completo della situazione e non l’opposto. Forse possiamo accettare che in qualche modo il buon giornale americano voglia contribuire a migliorare la condizione economica disperata che continua a impoverire i greci e a fermare il trasferimento della ricchezza a pochi. Una buona strategia psicologica è tutto, anche in economia. Fino ad allora, il Paese continuerà a vivere il suo triste destino, il suo 1929, una condizione simile a quella che l’America ha vissuto all’inizio della Grande depressione.
Di Dimitris Eleas
Traduzione di Alessandra Toscano. Revisione di Mariasole Cailotto.
Dimitris Eleas è da poco emigrato in America. Fa lo scrittore/articolista/attivista/politologo a New York e collabora con SLpress (Atene) e The National Herald (New York City). È possibile contattarlo via e-mail all’indirizzo: dimitris.eleas@gmail.com.