Nel documento di convocazione della manifestazione di ieri, nell’invitare la società civile panormita alla partecipazione contro il nuovo esodo imposto dal governo israeliano alla popolazione che vive in quel lembo di striscia, l’Associazione “Voci nel Silenzio” (costituita dalla comunità palestinese della città) esortava Palermo ad aderire al richiamo di libertà da Gaza. Cosicché, come in molte altre metropoli occidentali, per le strade del centro storico è sfilato un corteo significativamente partecipato da una stragrande presenza di giovanissimi e vecchi militanti uniti nello slogan free free Palestine, dal quale emergeva tutta la commozione per quanto sta accadendo a Gaza City, in buona parte rasa al suolo dalle incursioni dell’aviazione sionista: migliaia di vittime innocenti accertate senza contare quelle ancora seppellite sotto le macerie dei palazzi bombardati.
Di questi morti si dà notizia solo dopo aver fissato il tempo all’istantanea del 7 ottobre (giorno dell’efferato “atto di guerra” con la “tempesta al-Aqsa” di Hamas che ha provocato la morte di civili innocenti) per esplicitare il legittimo diritto di vendetta del governo Netanyahu posto in essere con la “operazioni Spade di acciaio”, classificando così – cinicamente – i morti di Gaza (ben oltre 4 mila) come “effetti collaterali” attribuibili ad Hamas, responsabile della loro morte poiché utilizzati come scudi umani.
Insomma nel dibattito pubblico è passato in secondo piano il diktat israelo-securitario con cui si ordina – previo “cortese avviso” alla popolazione – l’inumana evacuazione di milioni di persone da Gaza – metà delle quali, è comunemente accertato, è costituita da bambini e ragazzi –, giacché con essi, asseriscono da Tel Aviv, scomparirebbe definitivamente pure la minaccia di Hamas.
In verità l’operazione sionista – così come scrive, fra tanti, anche l’associazione Voci nel Silenzio– è “un vero e proprio genocidio a danno dei civili palestinesi”. Questa non è una percezione della realtà ma l’assoluta certezza, su cui l’intera manifestazione palermitana (così come le migliaia e migliaia di persone scese in piazza nelle grandi città europee in questi giorni) ne ha colto la piena consapevolezza e che, pertanto, ha gridato forte la necessità del blocco degli attacchi sionisti.
Perfino la gente stessa che s’i incontrava casualmente lungo il percorso del corteo, che attraversava la via del Cassaro, esprimeva solidarietà per la popolazione di Gaza. Un sentimento spontaneo che nasce dall’evidenza dei fatti: è talmente palese la violazione del diritto internazionale, in cui incorre sistematicamente il regime sionista, che la gente si domanda perché per Israele non si richiedono rinvii a giudizio presso Alte Corti Internazionali, così come viene spesso richiesto per regimi di pari autoritarismo. cui si contestano crimini di guerra?
Tutto questo non è frutto di una sorta di “antisemitismo diffuso”, come vorrebbero orchestrare certi paggetti dell’informazione, con campagne massmediatiche artatamente congegnate dalla “guerra di propaganda occidentale”, magari anche per mettersi in pace con la coscienza collettiva per i sensi di colpa che ancora si nutrono in Europa per avere generato nella culla della democrazia la mostruosità dell’olocausto nello scorso secolo.
«Scrivere sulla Palestina non è facile perché – si sostiene all’indomani della iniziativa palermitana – esige una lucidità che il sionismo “democratico” e i suoi alleati e i media hanno perso dopo il 7 ottobre “tempesta al-Aqsa”». Inoltre fanno osservare nel post pubblicato sui social, dove è possibile guardare il video della manifestazione di ieri sera, che: “La tempesta perfetta è scoppiata di fronte a una sgomenta opinione pubblica, che in Israele pensava di aver chiuso i conti con la capacità di resistenza palestinese e che all’estero non riesce (per un riflesso razzista e colonialista) a dare alle vittime palestinesi la stessa dignità di quelle israeliane. In un regime di apartheid, definito così dallo stesso Tamir Pardo, ex capo dell’intelligence israeliana”. Come tutti gli osservatori critici si coglie da parte di Israele l’assoluta mancanza di strategia politica, eccezion fatta nel perseguire il genocidio del popolo palestinese, rischiando così, come si afferma nel post di cui sopra, “di trascinare il mondo in una guerra in larga scala, che nessuno vuole. E sicuramente l’appoggio di Stati con la nostalgia imperiale del 1800 non aiuta a fermare l’escalation”.
Dalla mobilitazione palermitana è emerso chiaramente un piano minimo da cui partire per la risoluzione della questione palestinese. Infatti, in sintonia con l’intera comunità palestinese disseminata nel mondo, è stata chiesta fondamentalmente una risoluzione articolata su 3 punti: (a) il “cessate il fuoco” immediato sulla Striscia di Gaza e l’apertura di corridoi umanitari per permettere il flusso di persone, in particolare gli sfollati, e di beni di prima necessità (medicinali e personale medico-sanitario, acqua, cibo, benzina, vestiti etc); (b) il riconoscimento dello Stato di Palestina, e l’imprescindibile diritto al ritorno dei milioni di profughi palestinesi sparsi nel mondo; (c) il ritiro immediato di Israele dai territori occupati in virtù del diritto internazionale e delle innumerevoli risoluzioni Onu.
Questi i presupposti su cui far ripartire un possibile nuovo processo di pace in medio oriente. Altroché continuar ad inneggiare alla supremazia occidentale – come ha fatto Biden nell’ultimo incontro con Netanyahu – che vede la difesa della sua egemonia globale a partire dai campi di guerra presidiati da Ucraina, Taiwan ed Israele.