Il programma elettorale della coalizione di destra-centro era chiaro: introdurre la flat tax per tutti i contribuenti. Ma fin dall’insediamento del nuovo esecutivo è sembrato un obiettivo arduo al punto tale che, alla prima occasione, la premier Meloni aveva chiarito che la tassa piatta per tutti resta l’obiettivo (sempre che si riesca a bypassare i rilievi di incostituzionalità già evidenziati da molti), ma con l’orizzonte di fine legislatura.
L’approvazione a inizio agosto della legge delega per la riforma fiscale ha messo nero su bianco la progressiva transizione dal modello di imposizione a scaglioni sui redditi delle persone fisiche alla tassa piatta unica. Ora il Governo si appresta al primo step, ovvero accorpare i primi due scaglioni IRPEF, attualmente con aliquote del 23% (fino a 15.000 euro) e del 25% (da 15.000 a 28.000 euro), con un’unica aliquota al 23%. Il provvedimento sarà inserito nella legge di Bilancio del 2024, che verrà varata lunedì prossimo dal Consiglio dei Ministri.
Questa riduzione delle imposte a prima vista sembrerebbe a favore del ceto medio, cioè di chi ha un reddito tra 15.000 e 28.000 euro, che avrà un 2% di riduzione dell’aliquota. In realtà, il sistema a scaglioni prevede che lo sconto fiscale si applichi pienamente soltanto ai contribuenti con redditi superiori ai 28.000 euro. Pertanto, la diminuzione delle imposte di fatto sarà questa: 260 euro per chi ha redditi superiori a 28.000 euro, uno sconto decrescente da 260 a zero euro per redditi da 28.000 a 15.000 euro e nessun risparmio per redditi inferiori a 15.000 euro.
Dai numeri effettivi emerge chiaramente che si tratta di una riforma fiscale disegnata a favore dei più abbienti e di conseguenza contro i più poveri. Infatti, più basso è il reddito e minore sarà il beneficio fiscale, che si azzera per i redditi più bassi. Non solo: le minori entrate dovute alla diminuzione dell’aliquota di 2 punti (circa 4 miliardi di euro), comporteranno minori risorse disponibili per finanziare le spese sociali, cioè proprio quelle che costituiscono un sostegno alle persone più in difficoltà economica.
Ad aggravare la situazione è l’insieme della manovra economica che il Governo sta predisponendo. Si tratta in totale di 22 miliardi euro, di cui 15,7 miliardi in deficit. In questo modo si continua ad aumentare il debito pubblico, pur sapendo che è già il più alto d’Europa (circa il 140% nel rapporto debito/PIL). Di conseguenza aumenteranno gli interessi sul debito, per altro già in aumento per il rialzo dei tassi.
È evidente che il Governo sta spendendo soldi che in realtà non ha. Il conto sarà caricato ancora una volta sulle spalle delle prossime generazioni. Per questa ragione lo sconto fiscale per i più ricchi attraverso l’accorpamento delle prime due aliquote IRPEF non ha alcun senso. È soltanto un tentativo di mostrare agli elettori di aver realizzato almeno una piccola parte delle troppe promesse fatte. E anche questa è propaganda.