« Non basterebbe la sentenza europea più illuminata e generosa a risarcire il danno che un solo giorno di “vita” nel “reparto blu” del carcere di Trapani provoca al detenuto e al “detenente”. Il prezzo della tortura, del trattamento inumano e degradante inflitto all’uno e all’altro, è impagabile ». Tanto scriveva Sergio D’Elia su L’Unità, qualche mese addietro [1], descrivendo la “Casa Circondariale Pietro Cerulli” di Erice ( Trapani ) diretta da Fabio Prestopino.
« Il nostro “viaggio della speranza” nei luoghi di privazione della libertà naufraga in questo cimitero dei vivi, degli abbandonati da Dio e dagli uomini », anticipa il giornalista.
La descrizione del “reparto blu” lascia in effetti di stucco:
« Il reparto si trova nella parte più bassa, buia e sperduta del carcere. Le celle misurano due metri per quattro. La luce filtra a mala pena da una finestrella di 50 centimetri per 40 posta in alto a 25 centimetri dal soffitto. Una fila di sbarre e l’aggiunta di una rete a trama molto fitta impediscono anche all’aria di scorrere libera. Nella stanza, tutto è piantato alla parete o al pavimento di cemento: branda, tavolo, sedile, armadietto, lavabo. Il “cesso” è a vista: a volte si tratta di una tazza, altre volte il water è incastonato in un blocco di cemento, altre ancora il gabinetto è alla turca. L’ora d’aria può avvenire uno alla volta in una vasca di cemento di due metri per nove, con le mura altissime e la rete sopra come quella di un pollaio. In fondo al cortile c’è una piccola tettoia per ripararsi dalla pioggia e una “turca” per i bisogni senza un rubinetto da cui scorra dell’acqua ».
Chi ci sta in quest’inferno?
« Nella cella numero 7 è rinchiuso Domenico, che parla in continuazione. È in cura psichiatrica da un anno e mezzo, e attende che si liberi un posto nell’Articolazione Tutela Salute Mentale di Barcellona Pozzo di Gotto. Nel frattempo continua a compiere atti di autolesionismo. È pieno di cicatrici soprattutto sulle braccia. “Mi taglio tutti i giorni, mi impicco tutti i giorni. Sei o sette volte sono riuscito ad andare in ospedale, uscendo da questo inferno” », racconta il giornalista dell’Unità.
Le altre celle e gli altri detenuti non sono da meno; ma vi salviamo dalla descrizione, comunque reperibile nell’articolo integrale pubblicato su “Nessuno tocchi Caino” [1].
Il carcere è un posto per condannati a morte, mentale se non subito fisica.
L’articolo, e c’era da aspettarselo, ha una conclusione deprimente: « È la seconda volta in quattro mesi che visitiamo il carcere di Trapani e torniamo in questo reparto di isolamento, dove nulla è cambiato, che non può essere riformato, va solo abolito ».
Trapani, con tutta probabilità, non è il peggior carcere d’Italia.
—
Fonti e Note:
[1] Nessuno Tocchi Caino, 2 luglio 2023, “Nel carcere di Trapani c’è un reparto dove non batte il sole” a sua volta ripresa da Sergio D’Elia su L’Unità.