“Hanno venduto la nostra aria”. Questo è il titolo del commovente rapporto della campagna “Carbonio insanguinato” lanciata dall’organizzazione internazionale Survival, che si batte per i diritti delle popolazioni indigene, allo scopo di diffondere ciò che sta succedendo alle Prime Nazioni in tutto il mondo e in particolare in Africa, Asia e America Latina.
Lo scorso 18 settembre, Survival Spagna ha convocato la stampa nella propria sede per spiegare le conseguenze della vendita di carbonio sulla violazione dei diritti umani, esponendo casi concreti come quello del nord del Kenya, nell’ambito di un sistema di compensazione delle emissioni in cui si ottengono profitti milionari dalle terre indigene, e avanzando dubbi importanti sulla credibilità delle affermazioni del Progetto Pastorizia.
Punto dopo punto, la presidentessa internazionale di quest’associazione e i suoi rappresentanti in Spagna hanno illustrato con fermezza che «le popolazioni indigene sono le vere difenditrici della natura e i loro diritti vengono violati di continuo». Aziende e governi sono in lotta per i loro territori in modo da ottenere vantaggi redditizi in crediti di carbonio, senza che gli importi minimamente la situazione in cui si trovano e, in molte occasioni, derubandole dei loro territori ancestrali per trasformarli in zone protette, presentate come “soluzioni naturali”.
Survival e le Nazioni Unite hanno messo ben in chiaro che bisogna creare un nuovo modello urgente con al centro i diritti delle popolazioni indigene. Se tutti i governi rispettassero l’80% dell’area sensibile del pianeta, che si trova in territorio indigeno, e se la gestione fosse concessa agli indigeni, si riuscirebbe a proteggere non solo il 30% come desidera l’Agenda 2030, ma anche l’80% degli ecosistemi essenziali per la vita della nostra Terra.
Tuttavia, governi e multinazionali negano alle popolazioni indigene il loro diritto, avvallato dalle Nazioni Unite, di vivere nelle terre ancestrali; anzi, molto spesso vengono espulse, a volte con il consenso di grandi associazioni ambientaliste.
I crediti di carbonio e i green bond sono un fallimento nella battaglia per fermare la crisi climatica. A volte o quasi sempre è proprio il contrario: aumenta. Si afferma che le Aree Protette consentono la “protezione” dei territori dalla deforestazione e da altre attività che emettono anidride carbonica, e così si possono utilizzare per “compensare” le emissioni di CO2 generate in altri luoghi del mondo. Una strategia che permette di continuare a inquinare senza metter freno all’aumento della crisi climatica.
Survival denuncia che il modello di conservazione più comune è il “mantenimento della resilienza”, basato sull’espulsione delle popolazioni indigene e locali dalle loro terre e poi accompagnato da una maggiore militarizzazione e violenza nel caso in cui i proprietari terrieri provino a entrare nelle stesse, soffrendo in certi casi torture, violenze o assassini. «Le Aree Protette distruggono i migliori guardiani del mondo naturale, le popolazioni indigene, nei cui territori si trova l’80% della biodiversità del pianeta».
https://www.youtube.com/watch?v=5-MaFuBsFgM&t=59s
Le Nazioni Unite devono lanciare un appello urgente al mondo affinché si fermi la compravendita dei crediti di carbonio e dei green bond, sistemi inventati da coloro che inquinano il pianeta con la tutela dei governi.
Il titolo del rapporto di Survival “Hanno venduto la nostra aria” è stato il grido lanciato da Emmanuel, del Pueblo Rendille del nord del Kenya.
Félix Díaz, leader indigeno delle popolazioni del nord dell’Argentina a cui il governo ha rubato una parte del suo territorio per trasformarlo in Parco Nazionale, durante una chiacchierata avvenuta di recente, lo ha detto molto chiaramente: «Ci hanno tolto il nostro campo di caccia, la laguna per bere, le nostre medicine che cercavamo sulla montagna, la spiritualità nelle nostre terre sacre. Siamo solo oggetti. Abbandonati e respinti. Se proviamo a entrare nelle nostre terre, ci uccidono, ci accusano di essere bracconieri. Non ci fanno lavorare da nessuna parte e osano chiamarci fannulloni. Mia figlia di recente ha tentato il suicidio, non ha futuro, non ha speranza. Le mie sono solo parole al vento».
Un messaggio commovente da una realtà dimenticata che nessuno vuole ascoltare.
A che gioco stiamo giocando quando la soluzione è nelle popolazioni indigene? La compravendita del carbonio, dei crediti, dei green bond, che tentano di sedurre la società come soluzioni contro la crisi, o quelle “soluzioni naturali” che non rispettano le popolazioni locali, sono in realtà un crimine contro l’umanità consentito dai governi, dalla comunità internazionale e dal business verde.
Il mondo ha davanti un problema gravissimo. «Molti dei progetti sono monocolture di alberi piantati per compensare le emissioni, ma poi vengono abbattuti ed esce di nuovo la CO2», ci hanno detto durante la riunione tenutasi nella sede di Survival. Nessun media nazionale, TV o radio locale ha assistito alla convocazione di questa campagna dal titolo “Carbonio insanguinato”. Solo alcuni giornalisti indipendenti e il membro dell’ONG “Progetto Grande Scimmia”, che scrive per Pressenza, hanno assistito alla conferenza stampa. Ciò dimostra la scarsa sensibilità che esiste nei mezzi di comunicazione su questo grave problema e il disinteresse da parte dei governi.
Se ne siamo a conoscenza, possiamo agire. Se non lo sappiamo, non esisterà.
Traduzione dallo spagnolo di Mariasole Cailotto. Revisione di Thomas Schmid