Prima delle elezioni dello scorso maggio in Grecia, secondo il primo ministro uscente la sua politica “ferma ma giusta” sulla circolazione delle persone funzionava, ma non è così.

L’isola di Samos, a un miglio dalla costa turca, è diventata nota come uno dei cinque hotspot dell’Egeo, che ospitano chi arriva in Grecia per chiedere asilo. Oggetto di un’episodica attenzione da parte dei media negli ultimi cinque anni, sull’isola i respingimenti, il sovraffollamento, le condizioni terribili, gli incendi, la violenza e la mancanza di cibo e acqua, così come l’accesso all’assistenza sanitaria, a un rifugio sicuro e alle opportunità di istruzione, hanno messo a rischio la salute fisica e mentale delle persone.

Con la chiusura del criticatissimo Centro di accoglienza e identificazione nel settembre 2021 e l’apertura al suo posto del Centro ad accesso controllato e chiuso (CCAC) di Zervou, il governo greco ha sostenuto di aver adottato un nuovo approccio all’asilo e alle tendopoli, che avrebbe posto fine al sovraffollamento e garantito il soddisfacimento delle esigenze di base, accelerando al contempo la procedura di asilo. Secondo il governo greco, il ruolo di questi centri è quello di fornire “protezione e alloggio sicuro ai cittadini di Paesi terzi che entrano in Grecia senza i requisiti di legge”. Tuttavia, il CCAC di Samos è stato ampiamente criticato per le condizioni simili a quelle di una prigione – con detenzioni illegali in piccoli container dietro recinzioni di filo spinato e accuse di violenza nei confronti dei residenti – nonché per le strutture guaste e l’accesso limitato all’acqua potabile e a un cibo nutriente.

Ulteriore peggioramento

Nelle ultime settimane la situazione è ulteriormente peggiorata, poiché gli arrivi sono aumentati e il campo ha superato la sua capacità, così come quelli sulle isole di Lesbo e Leros. Come nel 2019, il sovraffollamento è di nuovo una preoccupazione.

A maggio, in vista delle elezioni che hanno visto il suo partito di destra, Nuova Democrazia, tornare al governo, il Primo Ministro Kyriakos Mitsotakis e l’allora Ministro dell’Immigrazione Notis Mitarakis hanno dichiarato di essere “eccezionalmente orgogliosi” dei risultati ottenuti nel decongestionare le isole e nell’instaurare una politica migratoria “ferma ma giusta”. Anche se ciò è avvenuto a spese dei respingimenti vietati dalla Convenzione sui rifugiati del 1951 e dei trasferimenti di massa verso i campi non adeguatamente finanziati della terraferma.

In effetti il bisogno di mostrare una situazione sotto controllo ha portato al tentativo di nascondere la realtà: un’organizzazione non governativa ha riferito la scorsa settimana che “da un giorno all’altro le capacità nominali [dei CCAC] sono cambiate senza alcun chiarimento”, con quella di Samos che è stata portata da 2.040 a 3.659 persone – un aumento di quasi l’80%. Tuttavia, secondo le ONG, non sono stati aperti altri alloggi e non è stato apportato alcun cambiamento reale che possa giustificare questo aumento.

Alla fine del mese scorso, all’interno del CCAC di Samos c’erano 4.123 persone, più del doppio della capacità originaria. Le ONG, tra cui I Have Rights, hanno ricevuto segnalazioni da parte dei residenti che sono detenuti arbitrariamente in container e corridoi sovraffollati, con più di 50 persone che dormono in un container ristorante. Ci sono state altre segnalazioni di nuovi arrivi trattenuti per due settimane o addirittura un mese, senza la lettera di decisione individuale necessaria per dare legittimità a questo procedimento, non solo abrogando i diritti umani, ma danneggiando anche il loro benessere.

Mancanza d’acqua

Le persone assistite da I Have Rights l’hanno informata di una grave mancanza di accesso all’acqua, che viene fornita solo a intervalli irregolari: in alcuni giorni si tratta di 30 minuti per tre volte al giorno, in altri solo una volta al giorno per un’ora. Questa estrema carenza d’acqua non è solo intrinsecamente problematica, ma influisce anche sull’igiene e sulla salute.

Secondo i residenti e le ONG che li sostengono, attualmente nel campo non ci sono servizi di lavanderia, probabilmente a causa della carenza d’acqua. Questo ha portato il mese scorso a un’epidemia di scabbia e a un aumento di altre malattie della pelle. Per curare la scabbia è necessario lavare tutti i vestiti e la biancheria da letto a 60°C. È stato inoltre riferito che la distribuzione di nuovi indumenti e di articoli per l’igiene è stata ritardata, per cui i residenti non hanno altra scelta che indossare abiti sporchi.

Nel frattempo, il cibo del campo è stato nuovamente criticato per lo scarso valore nutritivo e la mancanza di prodotti freschi. In passato la ONG Project Armonia è dovuta intervenire per fornire cibo ai più vulnerabili.

I residenti riferiscono ancora una volta di lunghe code per il cibo – un problema che avrebbe dovuto essere risolto con il trasferimento al CCAC – di quantità insufficienti di cibo, di bambini affamati e di una serie di problemi gastrointestinali. Un residente ha riferito a un’altra ONG, Refugee Biryani and Bananas: “Non c’è cibo, non c’è acqua e stiamo morendo di fame”.

Azione sindacale

Le agitazioni non si limitano ai residenti e alle ONG che esprimono le loro preoccupazioni in un campo finanziato dall’Unione Europea. Il mese scorso il personale ha intrapreso un’azione sindacale con uno sciopero di due giorni in tutti i CCAC, a causa della situazione attuale.

Poiché la situazione sull’isola continua a peggiorare, è importante non solo attirare l’attenzione su di essa, ma è necessario anche un cambiamento: i diritti di coloro che cercano asilo, alle frontiere europee e ovunque, esigono che vengano alloggiati in condizioni sicure, dignitose e accoglienti, non in spazi di detenzione sovraffollati che non riescono a fornire nemmeno i beni di prima necessità.

Traduzione dall’inglese di Anna Polo

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