Così come l’invasione russa in Ucraina aveva raccolto una condanna pressoché unanime nei paesi balcanici, seppure tra molti distinguo, sfumature più o meno grossolane e – soprattutto – parecchia ipocrisia, anche l’azione di Hamas in territorio israeliano del 7 ottobre scorso ha provocato nella regione un’ondata di indignazione altrettanto unitaria, altrettanto concorde.
Piena solidarietà con Israele
In Croazia il primo ministro, Andrej Plenković, ha definito gli attacchi terroristici “vergognosi e inaccettabili”, mentre il presidente serbo, Aleksandar Vučić, ha tenuto a ricordare che “il popolo ebraico è sopravvissuto a grandi sofferenze, ed è per questo che Israele merita una vita pacifica e sicura”. In Montenegro e in Macedonia del Nord, sono stati i rispettivi presidenti della Repubblica, Jakov Milatović e Stevo Pendarovski, a ribadire la piena solidarietà con Israele.
rDi pari segno anche le reazioni pronunciate nei paesi a maggioranza musulmana, quanto meno quelle provenienti dai vertici istituzionali, un fatto – questo – che merita di essere sottolineato: condannando l’accaduto, Edi Rama, premier albanese, ha rivolto un pensiero “alle vittime, alle loro famiglie e a tutto Israele”, mentre in un post affidato a Twitter la presidente kosovara, Vjosa Osmani, si è detta “inorridita per l’uccisione di civili innocenti” e ha manifestato “piena solidarietà al presidente, al popolo e allo Stato di Israele in questi momenti bui”.
Fuori dalle istituzioni
Se, tuttavia, relativamente al conflitto russo-ucraino, i distinguo e le “capriole retoriche” erano arrivate soprattutto dalla Serbia e – in generale – dai serbi, nel caso dello scontro tra Israele e Palestina è stata una parte significativa della comunità musulmana a disallinearsi dalle posizioni ufficiali riaffermando, talvolta apertamente, piena affinità morale e politica con le rivendicazioni palestinesi, anche quelle più radicali. Una divaricazione che si è ulteriormente allargata a seguito dell’orrore destato dall’attacco sull’ospedale di Gaza, con il suo tragico carico di morte e distruzione. E ciò – quasi per paradosso – indipendentemente dalle responsabilità, vere o presunte, dell’una o dell’altra parte, perché le reciproche rivendicazioni vanno oltre la mera ricerca della verità sui fatti, come a relegarla a corollario marginale, se non addirittura irrilevante.
Manifestazioni dichiaratamente filopalestinesi si sono registrate in tutti i paesi con una forte presenza musulmana, in Albania, in Kosovo e in Macedonia del Nord: esse possono essere configurate, sia per partecipazione che per diffusione, alla stessa stregua di iniziative del tutto analoghe vistesi un po’ ovunque in Europa – Italia inclusa – e nel mondo, non solo musulmano.
Anzi. Si pensi, in questo senso, al clamore suscitato negli Stati Uniti, dal comunicato esplicitamente propalestinese redatto da una coalizione di organizzazioni studentesche dell’Università di Harvard in cui si enuncia di ritenere “il regime israeliano interamente responsabile di tutte le violenze che si sono verificate”. Una nettezza di toni che va oltre lo spirito che ha animato, invece, molte delle manifestazioni anzi dette e, per certo, la gran parte delle posizioni critiche e le voci fuori dal coro istituzionale che, viceversa, si “limitano” – il più delle volte – a porre il focus sulla necessità di valutare gli avvenimenti odierni nel corretto contesto storico.
La peculiarità della Bosnia
In Bosnia Erzegovina l’escalation mediorientale è stata ulteriore benzina su un fuoco mai spento e sta percorrendo, pericolosamente, le vie di sempre: quelle di una società irrimediabilmente divisa secondo linee etnopolitiche, retaggio irrisolto delle guerre degli anni Novanta del secolo scorso.
Scontato il posizionamento dei vertici della Republika Srpska (RS) – l’entità a maggioranza serba della Bosnia Erzegovina – che per bocca del presidente, Milorad Dodik ha sostenuto “pienamente il diritto di Israele all’autodifesa e alla protezione del suo territorio e del suo popolo”, facendo anche maliziosamente riferimento a una presunta “storia comune di sofferenza (che) lega saldamente i popoli serbo e israeliano”. Giusto per non perdere l’occasione.
E’ tra i cantoni della Federazione (FBiH), invece, che i distinguo i “ma” e i “se” la fanno da padrone. Una spaccatura plasticamente esemplificata a Mostar, dove una bandiera palestinese ha fatto capolino sulla sponda orientale del celeberrimo ponte ove risiede la quasi totalità della cittadinanza musulmana, mentre su quella opposta – a prevalenza croata – è assai diffuso un sentimento filo-israeliano.
Sul “fronte croato” non deve sorprendere più di tanto la presa di posizione “critica” espressa dal membro croato della presidenza tripartita, il socialdemocratico Željko Komšić, che ha definito l’azione di Hamas come “un gesto di persone disperate che vedono nel terrore dei civili una via d’uscita”, aggiungendo che tutto dovrebbe essere considerato “nel contesto”. Opinione – questa – figlia anche della consapevolezza dell’importanza avuta dalla componente musulmana nella sua elezione e, comunque, largamente minoritaria tra le fila croate. Oltre a raccogliere le vibrate proteste dell’ambasciatore israeliano in Bosnia, Galit Peleg, è stata l’eurodeputata Željana Zovko (croata di Mostar) a stigmatizzare con maggiore veemenza le parole di Komšić arrivando addirittura a definirlo come uno “strumento nelle mani dei terroristi”.
Borjana Kristo, presidente croata del Consiglio dei ministri della Bosnia e, come Zovko, appartenente all’Unione Democratica Croata di Bosnia ed Erzegovina (HDZ), ha detto di sentirsi “a fianco di Israele”. Sulla medesima linea il governo del Cantone 10, anch’esso gestito da una coalizione a guida HDZ, che ha diffuso una lettera di solidarietà e sostegno a Israele. Sembrerebbe, quindi, che il dramma in corso in Medio Oriente abbia assunto i toni della bega di bottega, diventando solo l’ennesimo spunto polemico per rinvigorire lo scontro politico tra i partiti che rappresentano i croati in Bosnia Erzegovina.
Sul fronte musulmano è invece palpabile la vicinanza alle rivendicazioni palestinesi e la condanna per la reazione militare scatenata da Israele.
Nihad Uk, primo ministro uscente del cantone di Sarajevo, scrivendo all’ambasciatore palestinese in Bosnia, Rezeq Namoor, ha espresso “simpatia e solidarietà umana verso il popolo palestinese”, mentre la sindaca di Sarajevo, Benjamina Karić, ha tracciato un parallelismo tra quanto accadde durante l’assedio serbo alla sua città e le sofferenze inferte alla popolazione di Gaza in questi giorni, definendo “ipocrita condannare Hamas se non si condanna tutto ciò che è successo prima e che è successo dopo”.
Ma è tutto il mondo musulmano a compattarsi attorno alle istanze palestinesi, innumerevoli sono state le manifestazioni di piazza, tantissime le prese di posizione in tal senso. Pur non ritenendola giustificativa di violenza, la Comunità islamica di Bosnia ha ricordato “l’ingiustizia subita dal popolo palestinese per decenni”, mentre l’associazione di beneficenza musulmana “Merhamet” ha lanciato la campagna umanitaria “Aiuti al popolo di Gaza”.
La guerra medio-orientale ha dunque un suo effetto collaterale nella riaccensione delle tensioni in Bosnia, una sorta di estensione europea della guerra, fortunatamente solo a parole.
(East Journal, Pietro Aleotti 23 Ottobre 2023)